sabato 28 marzo 2009

Perché e come occorre cambiare la legge sulla fecondazione assistita

L’approvazione della Legge 40/2004, che disciplina il ricorso alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), ha rappresentato un importante momento di civiltà per il nostro sistema normativo che, dopo oltre 25 anni dalla nascita della prima bambina concepita “in provetta“, si è finalmente dotato di un sistema di regole in questa delicatissima materia.
Dopo un dibattito − che si è prolungato per oltre tre legislature − il Parlamento ha avuto il merito di definire un testo che presenta principi ampiamente condivisi, ma anche argomenti in parte controversi.
I principi condivisi rappresentano i limiti che il comune sentire degli italiani, a prescindere da posizioni ideologiche e religiose, pone alle applicazioni della ricerca scientifica in un ambito che coinvolge le coscienze, prima ancora delle convinzioni morali e politiche. L’articolato approvato dal Parlamento presenta degli aspetti positivi come l’istituzione obbligatoria di un Registro Nazionale − a cura dell’Istituto Superiore di Sanità − che ha consentito un vero censimento dei centri di PMA, nonché il controllo degli stessi; la limitazione al numero di embrioni da produrre − e quindi al numero di ovociti da inseminare − che a sua volta ha prodotto un duplice risultato: da una parte ha consentito alle donne, sottoposte a terapie mediche più leggere, di evitare le gravi sindromi da iperstimolazione ovarica; dall’altra parte ha favorito, soprattutto in Italia, lo sviluppo di una ricerca da parte dei laboratori dei centri di PMA, per ottenere comunque alte percentuali di gravidanza nelle pazienti, verso la selezione dei migliori gameti (ovociti e spermatozoi) da utilizzare in fecondazione assistita, a differenza della attuale metodica di selezione degli embrioni eseguita in altri Paesi.
I limiti della legge sono stati sottolineati a più riprese dalla comunità scientifica e sono diventati oggetto di riflessione da parte dell’opinione pubblica in seguito ad alcuni fatti di cronaca resi noti dalla stampa. Inoltre alcuni termini della Legge 40 sono stati colti anche in sede di redazione delle Linee Guida della normativa che in taluni casi − si veda ad esempio il nodo della incoercibilità del consenso all’impianto − sono intervenute chiarendo e di fatto creando incoerenze con il testo.
Le difficoltà più evidenti create dall’applicazione della Legge 40, come riportato dal “Report 2006 ” dell’Istituto Superiore della Sanità al Ministro della Salute (febbraio 2008), riguarda l’aumento delle gravidanze plurime in Italia rispetto gli altri Paesi Europei; in particolare delle gravidanze trigemine (3.3%) e delle gemellari (24.6%) osservate in classi di età di pazienti non superiori ai 35 anni, mentre in generale la percentuale di gravidanza diminuisce nelle pazienti di età superiore ai 38 anni.
Tutto ciò impone una modifica di alcuni punti dell’attuale Legge 40 e se da una parte si ritiene opportuno mantenere come limite massimo il numero di tre embrioni da trasferire in utero, a salvaguardia sia della salute della donna che del nascituro, dall’altro si ammette che tale limite massimo sia penalizzante per le probabilità di successo della tecnica stessa. Pertanto si dovrebbe rimettere al medico la possibilità di definire il numero di ovociti da inseminare, tenendo conto delle esigenze cliniche, dell’età e delle condizioni di salute della donna e limitando comunque il numero di ovociti utilizzati a quello “strettamente necessario”.
Rilevante sarebbe l’intervento all’art. 4, che enuncia i requisiti dei soggetti ammessi, così come individuati all’art. 5 (coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi), e definisce le condizioni di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Con tale modifica si potrebbero ammettere sia le coppie con problemi riproduttivi che quelle portatrici di malattie genetiche o cromosomiche o infettive trasmissibili. Queste ultime tre categorie dovrebbero essere definite secondariamente nelle Linee Guida da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di modifica.
Tale ampliamento si ritiene necessario in quanto precludere la possibilità di avvalersi delle opportunità offerte dalla scienza alle coppie portatrici di gravi patologie ereditarie appare difficilmente accettabile e viene avvertito da gran parte dell’opinione pubblica come una discriminazione irrispettosa dei travagli umani dei soggetti coinvolti.
Di conseguenza si dovrebbe intervenire anche con una modifica dell’art. 13, prevedendo la possibilità di effettuare la diagnosi pre-impianto sugli embrioni prodotti esclusivamente allo scopo di individuare le patologie genetiche e/o cromosomiche ereditarie, quindi trasmissibili al nascituro, ed indicate poi nelle Linee Guida .
Così si eviterebbe l’eventuale ricorso, da parte della madre e dopo l’amniocentesi, all’interruzione della gravidanza alla sedicesima settimana − come previsto dalla Legge 194 − e con l’evidente vantaggio per la donna di non dover affrontare gravi traumi in termini psicologici e medici. In qualità di medico e di ricercatore personalmente ritengo che gli embrioni in cui si è accertata la presenza di patologie genetiche e/o cromosomiche, quando ne sia rifiutato dalla donna il trasferimento in utero, possano essere utilizzati ai fini della ricerca.
Ritengo pertanto che sia giunto ormai il momento di rivedere la Legge 40 e le relative Linee Guida.


Inserito da: Giuseppe Palumbo - Nato a Catania nel 1940, laureato in medicina e chirurgia, medico, professore ordinario di ginecologia e ostetricia, è deputato del Pdl e presidente della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati.

http://www.libertiamo.it/2009/03/20/perche-e-come-occorre-cambiare-la-legge-sulla-fecondazione-assistita/

Nessun commento: