giovedì 28 luglio 2011

Cancro al seno, la fertilità è possibile un ormone protegge le ovaie dalla chemio

Repubblica - 28 luglio 2011

Secondo uno studio dell'Istituto tumori di Genova, la somministrazione dell'ormone Lhrh mette al riparo le ovaie dai danni degli antitumorali e preserva la funzione riproduttiva. Così si evita la menopausa precoce, una realtà per il 50% delle pazienti affette da tumore della mammella

ROMA - Mettere al riparo le ovaie dai farmaci antitumorali per tutelare la fertilità dopo un tumore al seno. Un gruppo di ricercatori italiani ha studiato una tecnica che lascia sperare le pazienti colpite da questa malattia. Lo studio, pubblicato su Jama, è stato coordinato dall'Istituto dei tumori di Genova.

"Il cancro della mammella colpisce sempre più giovani: sei volte su 100 hanno meno di 40 anni - dice Lucia Del Mastro, coordinatrice della ricerca dell'Ist di Genova -. Ogni anno solo in Italia sono 2.300 i casi prococi, per questo è prioritario salvaguardare la possibilità di queste donne di diventare madri". La tecnica messa a punto dai ricercatori prevede la somministrazione di un farmaco che simula l'azione di un ormone, l'Lhrh, in grado di interferire con l'attività delle ovaie. In questo modo si crea una 'gabbia' che protegge i follicoli. In altre parole, secondo gli studiosi, è come se si mettessero le ovaie "al riparo" dalla chemioterapia, preservando così la funzione riproduttiva e riducendo, anche se non eliminando del tutto, i danni provocati dai farmaci antitumorali. E questo consente anche di evitare la menopausa precoce: una realtà per in circa quattro pazienti su 10.

Cinque anni di test. Lo studio è stato condotto dal 2003 al 2008 su 281 donne in 16 centri aderenti al Gruppo italiano mammella (Gim). La tecnica messa a punto dall'Ist, spiega Marco Venturini, presidente Aiom e fra gli autori della ricerca, "consiste nella somministrazione della triptorelina, un ormone analogo dell'Lhrh, che per sua natura agisce 'proteggendo' i tessuti che proliferano rapidamente". Nel gruppo di pazienti trattato, l'8,9% è andato incontro a menopausa precoce rispetto al 25,9% di chi aveva ricevuto le cure standard, con una differenza assoluta del 17%. Non solo quindi la tecnica funziona ma, aggiunge Lucia Del Mastro, "i dati oggi disponibili non hanno indicato alcun effetto negativo sull'efficacia della chemioterapia".

Come agisce con tumori ormonosensibili. "Il ciclo mestrauale salta nel 40% di casi di donne sottoposte a chemioterapia, perché nel corso della cura i follicoli dell'ovaio vengono distrutti - spiega Del Mastro -. Utilizzando questo farmaco innovativo prima della chemio, riusciamo a proteggere le ovaie e i follicoli rimangono intatti. Abbiamo applicato questa tecnica anche nei casi di tumori ormonosensibili e si è dimostrata efficace. E' chiaro però che in questi casi, dopo la chemio sono necessari cinque anni di terapie antitumorali. Per questo motivo l'eventuale tentativo di avere una gravidanza va rimandato".

Meno disturbi. I ricercatori hanno verificato che bloccando le mestruazioni si fermano gli effetti collaterali della chemio, mentre senza questa terapia il danno alla funzione ovarica resta. Questo risultato, dice Venturini "è importante non solo sul fronte della salvaguardia della fertilità della donna colpita da cancro dopo la chemioterapia, ma che ha delle implicazioni molto forti anche sulla problematica della menopausa precoce". La tecnica, ribattezzata 'blocca-ovaie', migliora anche la qualità di vita della donna, evitandole disturbi come l'osteoporosi o le caldane. Grazie alla scoperta dei ricercatori italiani si aprono nuove speranze di diventare mamma per molte pazienti.

"Questa tecnica - precisa Venturini - non va ad escludere, ma semmai ad affiancare la pratica di mettere da parte gli ovuli e di congelarli prima di sottoporsi a chemioterapia per poi riutilizzarli con la fecondazione assistita".

"Addormentare le ovaie non preserva al 100% la fertilità", aggiunge Venturini, ma comunque "aumenta le possibilità di avere mestruazioni normali dopo le cure antitumorali". Possibilità che variano in base a diversi fattori, dal tipo di chemioterapia all'età della paziente. "La somministrazione dell'analogo dell'ormone Lhrh, almeno in donne con tumore alla mammella, potrebbe diventare uno standard - conclude Venturini - e essere utilizzata subito dagli oncologi per tutte le donne che vogliono ridurre il rischio di una menopausa precoce indotta dalla chemioterapia".

Nuove gravidanze dopo la malattia. Questa scoperta apre speranze per salvare la fertilità della donna, ma i ricercatori aspettano ulteriori conferme da nuovi test. "La tecnica può essere utile per prevenire la menopausa precoce. La prevenzione della menopausa è ovviamente condizione necessaria per la potenziale fertilità - conclude Del Mastro - . Ad oggi noi abbiamo osservato tre gravidanze nel gruppo di donne trattate con triptorelin e una gravidanza nel gruppo trattato con da sola. Sono neccessari tempi di osservazione più lunghi per avere una risposta definitiva sulla capacità di questa tecnica di preservare anche la fertilità".

I dati. In Italia ogni anno oltre 38 mila donne si ammalano di tumore al seno, circa una su dieci. Più dell'80 per cento dei casi riguarda persone che hanno superato i 50 anni. E’ importante valutare anche la familiarità, dal momento che circa il 10 per cento delle pazienti colpite dalla malattiaha più di un familiare stretto malato.

VALERIA PINI

lunedì 25 luglio 2011

Figli in provetta, mamma a 48 anni

Il Centro - 25 luglio 2011 — pagina 01 sezione: Chieti

CHIETI. Figli in provetta per non rinunciare al desiderio della maternità. Sono 179 le donne rimaste incinte nel solo 2010 grazie al Centro di medicina della riproduzione dell’ospedale Santissima Annunziata di Chieti. Al caso di Angela Palumbo, che a Sulmona ha partorito il suo Cristian all’età di 58 anni, risponde l’esperienza teatina, che si occupa di fecondazione assistita fin dal 1997. Tra le donne in gravidanza ce n’è una di 48 anni, la più anziana nella storia del centro teatino. La donna, che è ancora in età fertile, ha ottenuto la gravidanza con i propri ovuli.
«La legge italiana», dice Giammario Tiboni, responsabile della Medicina della riproduzione a Chieti, «tutela molto l’embrione. Non possono essere trattate con le nostre metodiche donne al di fuori dell’età fertile».
I divieti legislativi puntano, dunque, a scongiurare i casi di mamme-nonne. Ci sono anche altri limiti, come il no alla fecondazione eterologa, ossia il ricorso ad ovuli o sperma di membri esterni alla coppia, così come quello all’utero in affitto.
Nonostante ciò, la richiesta di trattamenti a Chieti è in costante aumento, in arrivo nel 20 per cento dei casi da fuori regione, in particolare Lazio, Marche e Puglia.
«In Italia la fecondazione assistita è possibile», continua Tiboni, «e ci sono centri pubblici che si dedicano da anni alle problematiche associate. I risultati da noi sono confortanti, con il 29 per cento delle donne trattate che riesce a rimanere incinta e un 15 per cento in media di gravidanze gemellari».
Proprio sui parti plurimi il Centro di Tiboni ha attivato un protocollo di monitoraggio intensivo delle donne in attesa, che ha dato ottimi risultati.
Nel 2009, primo anno di intervento in tal senso, su 165 gravidanze ben 21 gemellari andarono a buon fine con 44 nuovi nati.
Il Centro in media porta a termine ogni anno oltre 500 tecniche di fecondazione in vitro, l’unico in Abruzzo a farle, e oltre 600 inseminazioni artificiali.
Un’eccellenza che paga un prezzo amaro. Opera, infatti, ancora in ristrettezze di spazio e personale. All’interno della ginecologia teatina spesso le pazienti, che devono combattere con le problematiche della fertilità, si ritrovano ricoverate con accanto le neo-mamme e le loro culle.
E’ sottodimensionato anche il personale. L’unico strutturato è Tiboni, poi ci sono due medici a contratto e tre con borsa di studio.
«La Asl ha in programma di metter su un reparto dedicato a Ortona», rassicura Tiboni, «con tre laboratori, sala chirurgica, otto posti letto e stanze dedicate a ecografia e inseminazione. Oltre, finalmente, a un centro di crioconservazione di ovociti e tessuto ovarico, quest’ultimo di donne che sono sottoposte a terapie antitumorali e rischiano di perdere la fertilità».
Il centro teatino, infine, iscritto nel registro nazionale di procreazione medicalmente assistita dell’Istituto superiore di sanità e nel Centro nazionale trapianti, non ancora è inserito tra i centri di riferimento regionali, nonostante la domanda sia stata presentata oltre sei anni fa e sia l’unico a praticare in Abruzzo tecniche del cosiddetto “secondo livello”.

Sipo Beverelli

martedì 12 luglio 2011

Procreazione assistita, tra Sos età e riserva ovarica

Repubblica - 12 luglio 2011 — pagina 33 sezione: SALUTE

Il tre per cento dei bambini scandinavi - e forse non a caso l' Eshre, la società europea di riproduzione umana ed embriologia ha scelto Stoccolma come sede del suo ventisettesimo congresso internazionale - nasce con tecniche di procreazione assistita (Pma). Una percentuale elevata, se si pensa che negli altri Paesi europei la media oscilla tra l' 1,5 e l' 1,8 per cento. La strada seguita nei paesi nordici è quella delle gravidanze singole, con trasferimento di un singolo embrione. La Svezia, in particolare, ha il numero più elevato di trasferimenti singoli in Europa: il 95,3 per cento. E il Belgio non rimborsa i cicli con transfer multipli. In Italia, invece, il trasferimento di un singolo embrione non è certo maggioranza. Per vari motivi: l' età media delle donne che chiedono la Pma, 36 anni ma in molti casi anche 40, e i tempi di attesa che nei centri pubblici oscillano tra 1 e 2 anni. E infatti la Pma in Italia si fa molto nei centri privati (55% del totale) e nei privati accreditati (7,7%). Altro problema, che ha un riflesso sulle liste d' attesa, è il numero dei tentativi concessi alla coppia per arrivare ad una gravidanza, attualmente non stabilito. Per tutte queste ragioni - con l' obiettivo di riuscire ovviamente ad arrivare al cosiddetto bambino in braccio - i trasferimenti di singoli embrioni in cicli a fresco (senza cioè ricorrere a congelamenti) di Ivf (o Fivet) e Icsi in Italia sono soltanto il 19 per cento (dati ministero della Salute 2011), contro i 33,6 di quelli con due embrioni e addirittura il 44,8 per cento dei trasferimenti tripli. Hanno percentuali più alte solo Bulgaria (56,1), Turchia (64,5) e Grecia (68,9). E mentre nel resto del mondo la gravidanza multipla è considerata un fallimento della Pma, per mortalità e malattie correlate ai nati, in Italia quasi la si insegue per tentare una gravidanza in donne anziane (over 35). Ma se è vero che, sopra i 40 anni (vedi disegno) le percentuali di successo crollano drasticamente, è altrettanto vero che l' età anagrafica è un elemento importante ma generico. «La cosa più sensata - racconta Antonino Guglielmino, del centro Hera di Catania, 800 cicli l' anno in una regione in cui l' 87% dei cicli è in mano ai privati - è valutare la funzionalità delle ovaie e la riserva ovarica, perché ci sono donne che a 43 anni possono provarci e donne di 37 che non ha senso sottoporre a terapia. Non è logico il limite dei 50 anni posto dal Veneto, crea false aspettative. Utile invece quello che fa l' Aifa, che lega il rimborso dei farmaci per la stimolazione allo stato ormonale delle donne e non all' età: chi ha l' Fsh sopra 30 non avrà rimborso perché tentare una gravidanza è insensato. Il messaggio per le coppie è pensarci prima». E invece l' età delle donne che si avvicinano alla Pma è non solo alta ma in aumento: secondo l' ultima relazione del ministero della Salute è salita da 35,9 a 36,2. Altro discorso è quello legato al numero di tentativi concesso ad una coppia. Quando ci si deve fermare? E chi lo decide? «Lo decide il medico - chiarisce Francesco Fusi, che guida il Centro di fisiopatologia della riproduzione degli Ospedali Riuniti di Bergamo - anche se non è sempre facile dirlo alle coppie. Del resto continuare a oltranza non ha senso, soprattutto quando i parametri medici indicano chiaramente che le percentuali di gravidanza sono nulle». Questo non toglie, però, che coppie dissuase in un centro possano mettersi in lista d' attesa da un' altra parte, o affidarsi ai privati. Con un limite puramente economico. «Ci credo fino ad un certo punto- conclude Guglielmino - in Australia sono concessi gratis sei tentativi ma la maggior parte delle donne si ferma a 3,3. Perché non regge lo stress psicologico legato alle pratiche».

DAL NOSTRO INVIATO ELVIRA NASELLI STOCCOLMA

martedì 5 luglio 2011

Pma e Fivet, nuovo studio rivela "Più a rischio ovuli delle over 35"

Repubblica - 5 luglio 2011

Una ricerca presentata al congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia indica la possibilità di aumento di alterazioni cromosomiche nei casi di stimolazione farmacologica su donne non più giovani

STOCCOLMA - La stimolazione farmacologica delle ovaie in donne "anziane", sottoposte a trattamenti farmacologici per la fertilità, potrebbe provocare un aumento delle alterazioni cromosomiche negli ovociti prodotti e portare al fallimento della fertilizzazione in vitro, all'interruzione di gravidanza e, più raramente, alla nascita di bambini con alterazioni del numero di cromosomi (come la sindrome di Down).

Utile precisare che per "donne anziane", al congresso europeo dell'Eshre, la società europea di riproduzione umana ed embriologia, che riunisce in questi giorni a Stoccolma novemila specialisti da 115 paesi del mondo, si intendono le over 35, età in cui spesso, nel nostro paese, si comincia appena a pensare di poter avere un figlio.

Lo studio - risultato di un progetto pilota condotto dall'università di Bonn e dal Sismer di Bologna e i cui risultati sono in via di pubblicazione su Human Reproduction - ha utilizzato un nuovo metodo di esame dei globuli polari, piccole cellule prodotte nel corso dello sviluppo dell'ovocita, esaminati con la tecnica Cgh (microarray comparative genomic hybridisation). E si è scelto di studiare l'ovocita perché più soggetto ad anomalie nel numero dei cromosomi rispetto allo sperma.

"Grazie a questa nuova tecnologia del microarray - spiega Luca Gianaroli, chairman Eshre e presidente Sismer, Società italiana studi di medicina della riproduzione - si riescono ad analizzare anche da una sola cellula i frammenti di Dna, e di conseguenza a contare i cromosomi, tutte e 23 le paia. Analizzando i globuli polari, che sono i prodotti di scarto dell'uovo, prima della fecondazione e dopo l'ingresso dello spermatozoo, siamo riusciti ad individuare le anomalie cromosomiche. Se rimuoviamo gli ovociti patologici riduciamo il tempo che occorre per arrivare a una gravidanza, tenendo conto che comunque sopra i 35 anni oltre la metà degli ovociti è danneggiata, e che dai 43 anni in poi la percentuale sale fino al 70 per cento".

Lo studio ha preso in esame 34 coppie che si stavano sottoponendo alle fertilizzazione in vitro, esaminando con il loro consenso i globuli polari. L'età media della donna era di 40 anni (con un range tra 33 e 44). Escludendo le anomalie strutturali cromosomiche sono stati individuati errori nella meiosi femminile (processo di divisione cellulare fondamentale nella riproduzione sessuale, ndr) in 227 cromosomi analizzati su 2376. Il modello di questi errori rivelato dal sistema microarray Cgh, soprattutto nelle donne over 35 che si sottopongono a Fivet, è significativamente diverso dal concepimento naturale e l'alta incidenza di errori multipli nella fase della meiosi può indicare - secondo gli esperti - che la stimolazione ovarica coi i farmaci disturba gli ovociti "anziani".

"Questo studio - spiega Gianaroli - conferma dunque che l'età della donna influenza in modo molto severo la qualità degli ovociti. E a settembre continuiamo con uno studio prospettico randomizzato su centinaia di pazienti, che durerà un anno e mezzo, e coinvolgerà altri 5 centri europei e Israele".

Altro obiettivo dello studio - ha spiegato il professor Alan Handyside, direttore del London Bridge fertility, Gynaecology and Genetics Centre - è quello di analizzare la diversa incidenza di questi errori a seconda del differente regime di stimolazione degli ovociti utilizzato, compreso un regime leggero e anche un ciclo naturale di Fivet, in cui è prelevato un singolo ovocita per ciclo, fertilizzato e poi ritrasferito nella donna. "Il risultato delle nostre ricerche - ha concluso Handyside - dovrebbe permetterci di identificare le migliori strategie cliniche per ridurre l'incidenza di errori cromosomici nelle donne più anziane che si sottopongono a Fivet".

Avendo inoltre la possibilità - ha precisato il professor Joep Geraedts, coordinatore della task force Eshre sugli screening genetici pre-impianto - di identificare quelle donne che vorrebbero utilizzare i proprio ovociti ma che non hanno alcuna chance di successo. "Indirizzandole - ha spiegato - verso l'ovodonazione".
Pratica ancora vietata nel nostro paese, dove però c'è grande attesa tra gli specialisti e le coppie per la sentenza della Grande Camera della Corte europea di Strasburgo che arriverà quasi certamente entro settembre e che pronuncerà la parola definitiva sulla fecondazione eterologa, e quindi anche sulla donazione di gameti maschili e femminili. E dopo quella di Strasburgo dovrebbe arrivare a breve anche la sentenza della Corte Costituzionale, cui hanno fatto ricorso per profili di incostituzionalità della legge 40 i tribunali di Catania, Milano e Firenze.

ELVIRA NASELLI