domenica 27 maggio 2012

Quella madre che darà alla luce il figlio del marito scomparso

Repubblica - 27 maggio 2012 —   pagina 1   sezione: BOLOGNA

Si può avere un figlio da embrioni congelati anche dopo essere rimaste vedove. Dall'uomo che si è perso, nel dolore, ma che rimane il padre di quel bambino che ora la donna vuole dare alla luce. Il via libera è arrivato dal Comitato di Bioetica dell'Alma Mater. Un caso esaminato la scorsa settimana, non il primo in Italia, che ha portato a un responso quasi unanime: nove voti favorevoli, due astensioni. Senza spaccature tra laici e cattolici.
Il comitato, presieduto dal giurista Stefano Canestrari, ex preside di Giurisprudenza, membro del Comitato nazionale per la bioetica, ha dato il nulla osta. «Non si tratta di una fecondazione post-mortem, vietata per legge», spiegano i saggi dell'Ateneo. «È il completamento di un percorso iniziato molti anni or sono quando il marito era ancora in vita». In questo caso c'è un embrione già fecondato e una madre che desidera accoglierlo, anche se il padre non c'è più. È la storia di una donna di 47 anni che si è rivolta al Centro di infertilità e procreazione assistita del Sant'Orsola, diretto dalla dottoressa Eleonora Porcu, vicepresidente del Comitato accademico. Rimasta vedova da alcuni mesi, ha richiesto il trasferimento in utero di embrioni crioconservati presso il centro stesso da 16 anni e generati con il seme del marito poi defunto. «È un suo diritto», ha sentenziato il Comitato, chiamato ad esprimersi sui casi (l'anno scorso quello delle gemelline siamesi nate con un cuore unico) solo sotto il profilo bioetico e non medico. Dopo un'ampia discussione (gli astenuti sono la psicologa Fiorella Giusberti e il chirurgo Giampaolo Ugolini), si legge nell'atto pubblico già trasmesso alla direzione sanitaria del policlinico, il comitato di Bioetica ha ritenuto che «nulla osti» alla richiesta della donna. Tra le motivazioni, anche il rispetto della legge 40 e la garanzia di tutela della salute della donna e dell'eventuale nascituro. «Esiste documentazione in letteratura relativa a bambini sani nati da embrioni crioconservati fino a venti anni», è scritto. È la stessa dottoressa Eleonora Porcu ad aver ottenuto il risultato di un bambino nato da un embrione congelato per undici anni, il periodo più lungo riportato in Italia. Bambini venuti dal freddo, nati da coppie che hanno tentato la strada della procreazione assistita e che hanno congelato gli embrioni non impiantati. Ora si dà speranza affinché una donna possa generare il figlio dell' uomo che ha perduto. 

Ilaria Venturi

mercoledì 23 maggio 2012

Fecondazione eterologa, la battaglia di una coppia bresciana

Corriere della Sera - 23 maggio 2012

Due anni fa hanno presentato ricorso al tribunale di Firenze contro la legge 40 del 2004. La donna: “Pronti a rivolgerci alla corte europea per i diritti dell'Uomo”

Tutto è iniziato con Giulia e Sergio. Una coppia giovane - i nomi sono di fantasia - con il desiderio di avere un figlio. La legge 40 glielo ha negato e loro, decisi a non darsi per vinti, hanno presentato un ricorso, per avere la possibilità di utilizzare quell'unica tecnica che potrebbe rendere possibile il loro sogno: la fecondazione eterologa. Il loro ricorso, che definiscono una «battaglia per la giustizia», è arrivato fino alla Consulta, che il 22 maggio ha deciso di restituire gli atti ai Tribunali che l'avevano investita del caso. Giulia e Michele vivono a Brescia, poco più di 30 anni lei e 35 anni lui. Michele è sterile. L'idea di rivolgersi a qualche centro estero per effettuare la fecondazione eterologa la escludono sin da subito: hanno paura, troppe le storie di esperienze negative di loro amici o conoscenti. E poi c'è il fattore, non trascurabile, di natura economica: hanno entrambi un lavoro dipendente e non abbastanza soldi per affrontare un simile «viaggio della speranza».Da qui la decisione, due anni fa, di rivolgersi ad un avvocato, per «affermare i propri diritti proprio qui, in Italia». Il ricorso è stato presentato al tribunale di Firenze, ed il giudice decide di sollevare il dubbio di legittimità costituzionale per il divieto dell'eterologa. Altre due ordinanza sulla stessa questione, dei tribunali di Catania e Milano, sono state riunite con il provvedimento del tribunale di Firenze ai fini del pronunciamento della Consulta. «Non so se riuscirò mai ad avere una gravidanza - afferma Giulia - ma volevo affermare un diritto. La nostra, arrivata fino alla Consulta, è una battaglia di giustizia. Siamo pronti, nel caso di un pronunciamento negativo, a rivolgerci alla Corte europea dei diritti dell'uomo». La decisione della Consulta. La decisione della Consulta è stata definita interlocutoria. I magistrati che hanno sollevato dichiarazione di incostituzionalità dovranno riformulare il quesito, basandosi solo sulle norme nazionali e non avendo come parametro la sentenza della Corte Ue per i diritti dell'uomo che trattava del divieto parziale alla fecondazione eterologa riferito alla legge austriaca.

martedì 22 maggio 2012

Eterologa, la Consulta non boccia la legge. "Non viola i princìpi Ue, decidano i tribunali"

Repubblica - 22 maggio 2012

La Corte Costituzionale ha invitato i giudici che avevano sollevato la questione (Firenze, Catania e Milano) a riconsiderare quanto deciso nel novembre 2011 dalla Corte europea che non ha ravvisato violazioni dei diritti dell'uomo: "I tribunali ora valutino se infrange la Costituzione italiana e nel caso formulino nuovi ricorsi"

ROMA - La Corte Costituzionale, che ha esaminato oggi il divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40, ha restituito gli atti ai Tribunali che l'avevano investita del caso, chiedendo di valutare la questione alla luce della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo pronunciata il 3 novembre 2011, sullo stesso tema.

La Consulta, in sostanza, invita i tribunali che avevano sollevato la questione (Firenze, Catania e Milano) a considerare la sentenza della Camera Grande della Corte di Strasburgo, che il 3 novembre scorso di fatto aveva giudicato legittimo vietare la fecondazione eterologa nei paesi comunitari. La sentenza si riferiva al ricorso di due coppie austriache sterili contro il divieto, stabilito dalla legge austriaca, di ricorrere a tecniche di fecondazione eterologa. Il divieto, secondo i giudici europei, non viola "l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione dei diritti dell'uomo".

La decisione di oggi della Consulta dunque non boccia la questione di incostituzionalità né dà un via libera definitivo alla legge 40. Spiega Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale e attualmente docente di Giustizia costituzionale presso l'università degli Studi di Milano: ''La Corte Costituzionale ha deciso di riproporre ai giudici di primo grado la questione, dicendogli di tenere conto di quanto deciso dalla Corte di Strasburgo'', la cui decisione è arrivata dopo che era stata sollevata dai tribunali la questione di costituzionalità.

''I giudici dovranno perciò rivalutare la questione - conclude - e decidere se riproporre il giudizio di costituzionalità alla Consulta, perché secondo loro continua a sussistere un contrasto con la Costituzione italiana, o invece valutare che, alla luce della sentenza europea, l'incostituzionalità non esiste più''.

Una sentenza accolta con toni decisamente favorevoli dai sostenitori della legge (come il Movimento per la Vita). Ma - sulla scia della spiegazione dei costituzionalisti - gli avvocati delle coppie che hanno sollevato la questione già annunciano la possibilità di un ricorso per la violazione del diritto all'uguaglianza sancito dalla Costituzione italiana.

LE SENTENZE DI STRASBURGO. In una prima sentenza, il primo aprile 2010, la Corte di Strasburgo aveva dato ragione alle due coppie, per le quali l'unico modo per avere un figlio è il ricorso alla fecondazione eterologa in vitro, ma il governo austriaco, sostenuto da quello italiano e quello tedesco, aveva chiesto una revisione del caso davanti alla Grande camera. A novembre la Corte ha invece ribaltato il proprio giudizio esaminando una legge austriaca, sottolineando che, viste le questioni etiche sollevate ma anche la rapidità dei progressi medici, ogni paese ha un ampio margine di manovra nel normare questa materia, e quindi la decisione di Vienna non lede di per sé i diritti delle due coppie.

LE REAZIONI. "Con il rinvio della questione di costituzionalità del divieto italiano di fecondazione eterologa ai giudici a quo, la Corte ha ritenuto preminente la soluzione negativa sul tema della discriminazione offerta dai giudici europei nel simile caso austriaco, ma ha lasciato aperta la questione in ordine a conflitti del divieto con altri principi costituzionali, non dando così una lettura definitiva". Con queste parole ha commentato la sentenza il prof. Alberto Gambino, ordinario di diritto Civile e direttore del dipartimento di Scienze umane dell'Università europea di Roma. "Mi dichiaro soddisfatto della decisione della Corte sulla fecondazione eterologa perché si allinea con la decisione del 3 novembre scorso della Corte europea dei diritti umani. La sentenza della Grande Camera non si era limitata a distruggere l'argomento con il quale i giudici ordinari avevano dubitato della costituzionalità del divieto di pma eterologa. La sentenza finale infatti nega che il divieto di pma eterologa violi i diritti umani e di conseguenza lascia liberi gli Stati di decidere sulle modalità della pma. E questo legittima le scelte che in Italia erano state fatte con la legge 40". Una decisione 'discutibile', secondo Marilisa D'Amico, ordinario di Diritto costituzionale all'Università degli Studi di Milano e legale di alcune coppie, "la decisione della Corte Costituzionale di restituire gli atti ai tribunali anziché esaminare la legittimità o meno del divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40, come invece abbiamo chiesto nell'udienza di stamattina. Noi andremo comunque avanti". Non vede nella scelta della Consulta di non decidere un segnale del tutto negativo Maria Paola Costantini, uno dei legali delle coppie sterili i cui casi sono giunti oggi davanti alla Corte: "La Corte costituzionale, in pratica, ha deciso di non decidere. Ma se avesse dichiarato costituzionalmente legittimo il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge italiana, nel nostro Paese questa pratica non sarebbe stata possibile per molti anni. La questione, in questo modo - dice Costantini - non è affatto chiusa". Di "sentenza positiva, anche se interlocutoria" parla Filomena Gallo, segretario dell'associazione Luca Coscioni e legale di una delle coppie coinvolte: "La Consulta poteva dichiarare che il divieto di fecondazione eterologa è costituzionale, invece ha rinviato la questione ai tribunali ricorrenti invitandoli a tener conto della sentenza di Strasburgo. La Consulta ha respinto le tesi dell'avvocatura di Stato - spiega Gallo - e ha accolto le nostre. La sentenza di Strasburgo è vero che sanciva la legittimità del divieto di eterologa, ma in modo parziale: si prescrive infatti ai singoli stati di adeguare la propria legislazione ai progressi delle tecniche. Ora i tribunali potranno riformulare l'eccezione di costituzionalità in maniera più precisa alla luce della sentenza di novembre della Corte europea, e ritornare alla Consulta, che a quel punto non potrà che dichiarare incostituzionale la legge 40".

L'ITER DAVANTI ALLA CONSULTA. Due ore di udienza pubblica, poi i giudici della Corte Costituzionale si sono ritirati in camera di consiglio per raggiungere il verdetto sul divieto di fecondazione eterologa - ossia con ricorso a ovociti o gameti non appartenenti alla coppia - stabilito dalla Legge 40 del 2004 che regola in Italia la disciplina della procreazione assistita. Il dubbio che i giudici dovevano sciogliere era quello sulla possibile incostituzionalità del divieto, sollevato con ordinanza di rinvio alla Consulta da tre tribunali in seguito al ricorso di tre coppie sterili che si ritevano discriminate dal comma 3 dell'articolo 4 della legge 40. Ma, alla fine, la Consulta ha scelto di non decidere.

L'udienza pubblica, che si è aperta con l'intervento del giudice Giuseppe Tesauro, riguardava tre specifiche ordinanze con cui si sono rimessi gli atti alla Corte Costituzionale: quella emanata il 6 settembre 2010 dal
Tribunale di Firenze 1, con cui per la prima volta in Italia un giudice ordinario ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il divieto di procreazione eterologa per una coppia in cui l'uomo soffre di mancanza di spermatozoi causata da terapie fatte in adolescenza; quella del Tribunale di Catania 2 del 21 ottobre 2010, riguardante il caso di una coppia in cui la donna ha problemi di fertilità per una menopausa precoce; e quella del 2 febbraio 2011 del Tribunale di Milano, legata a una coppia in cui l'uomo è affetto da infertilità totale e irreversibile.

In realtà, teoricamente, l'abolizione del divieto non comporterebbe la "caduta" dell'intera legge perché questa disciplina l'intera materia della fecondazione assistita e della tutela dell'embrione. Il vuoto normativo eventuale riguarderebbe di fatto la decisione, tutta politica, di consentire alle coppie sterili italiane di ricorrere alla fecondazione eterologa in patria, senza dover andare all'estero, come anche l'anno scorso hanno fatto oltre 4mila coppie con problemi di sterilità.

È su questo punto che si è sempre acceso il dibattito, con il centrodestra e la Chiesa saldamente immobili nel negare questo diritto con una posizione che isola l'Italia dal resto d'Europa.

venerdì 18 maggio 2012

La truffa dei centri per l'infertilità, 4 arresti. Falsi tumori per lucrare sui farmaci gratis

Repubblica - 18 maggio 2012

Quattro ginecologi ai domicialiari, tra cui uno del policlinico di Bari. Diagnosticavano gravi malattie inesistenti alle aspiranti mamme per caricare sul servizio sanitario nazionale i costi dei medicinali e ofrrire prezzi vantaggiosi per la fecondazione assistita. Indagati altri tre medici e due pazienti

Prescrivevano farmaci per curare tumori al seno o altre gravi malattie alle stesse donne che tre settimane dopo si sottoponevano a fecondazione assistita. Un'anomalia possibile solo nel piano messo a punto dalla 'cricca' dei ginecologi pugliesi accessibili a prezzi concorrenziali, in virtù del fatto che i costi dei medicinali sommistrati in clinica venivano addebitati al Servizio sanitario nazionale. Quattro ginecologi sono stati arrestati dai carabinieri del Nas con le accuse di truffa aggravata ai danni dello Stato e diverse ipotesi di falso materiale e ideologico. I professionisti, due donne e due uomini, sono in servizio presso i centri per la cura dell'infertilità San Luca di Bari Pro Andros di Barletta, perquisizioni anche nell'Amalthea di Lecce; uno di loro è anche in servizio presso il Policlinico di Bari: Franco Causio. Con lui, nei guai, anche Simona Geusa e Teresa Leonetti che con lui operavano nel centro di procreazione assistita San Luca e nella Pro Andros di Barletta. L'altro arrestato è Edoardo Di Naro. Altri tre ginecologi pugliesi e loro due pazienti risultano indagati.

I fatti contestati si riferiscono agli anni compresi tra il 2008 e il 2011, nel corso dei quali i medici, secondo la ricostruzione effettuata dai militari dell'Arma, avrebbero effettuato una serie di diagnosi evidentemente non corrette, con tanto di certificati medici e piani terapeutici, per spingere le pazienti ad effettuare cure tramite costosi farmaci, che alle cliniche venivano poi rimborsati dal Servizio sanitario nazionale.

E se le diagnosi e le conseguenti cure erano del tutto false, veri risultavano invece i rimborsi agli istituti privati, che ammonterebbero a circa 200.000 euro. E' questa la cifra che i quattro operatori sanitari avrebbero indebitamente ottenuto a danno dello Stato. Nel corso delle indagini sono stati effettuati capillari controlli sulle aspiranti mamme, che negli anni sono state curate nelle tre cliniche, e sulle patologie ad esse diagnosticate, che hanno fatto emergere l'esistenza di un sistema truffaldino a detta degli investigatori ben collaudato. L'inchiesta è stata coordinata dal sostituto procuratore Michele Dentamaro, mentre l'applicazione delle misure cautelari è stata disposta dal gip Michele Parisi.

L'inchiesta della Procura di Bari, delegata ai carabinieri del Nas, nasce da una segnalazione di un dirigente della Asl Bt che evidenziava alcune anomalie relative alla prescrizione di un farmaco a pazienti alle quali veniva diagnosticata una grave malattia (tumore alla mammella, endometriosi, fibromi uterini...). In virtù della presenza di queste gravi diagnosi il medicinale era a totale carico del Servizio Sanitario nazionale. Poi, però, alle stesse pazienti dopo tre settimane, veniva prescritto un altro farmaco che invece, serve nella seconda fase della fecondazione assistita. Di qui i sospetti denunciati dal dirigente sanitario della Asl della Bat: donne affette da gravi malattie mai avrebbero potuto assumere il secondo farmaco a meno che il primo non fosse stato utilizzato per un altro scopo terapeutico: quale, appunto, la prima fase della fecondazione assistita.

Quindi le diagnosi che davano diritto alla prescrizione gratuita del costoso farmaco potevano essere false. In realtà, secondo l'accusa, servivano solo per la fecondazione assistita, ma in quel caso il costo sarebbe dovuto essere a carico del paziente o del Centro al quale si rivolgeva per iniziare un percorso di Procreazione medica assistita (Pma). Lo stesso dirigente denunciava anche che le maggiori prescrizioni anomale veniva effettuate da una precisa Clinica ginecologica del Policlinico di Bari. Gli accertamenti dei militari del Nas, coordinati dalla Procura, sono così risaliti a un vero e proprio "modus operandi" che permetteva agli arrestati non solo di essere concorrenziali rispetto ad altre Centri di procreazione assistita perchè il costo dei farmaci era sostenuto dalla Sanità pubblica, ma anche di truffare sul costo dei medicinali che in alcune occasioni veniva addebitato in fattura alla paziente. Da primi accertamenti risulta che sarebbero stati truffati almeno 200mila euro al Ssn.

In modo particolare i medici-ginecologi che operavano, come ricercatori al Policlinico di Bari, rilasciavano falsi certificati di diagnosi di gravi malattie a donne che in realtà si rivolgevano a loro solo con la speranza di diventare mamme. Queste donne poi venivano indirizzate nei Centri di Pma privati e qui iniziavano le procedure assumendo i suddetti e costosi farmaci forniti dagli stessi Centri che riuscivano a procurarseli a carico della Sanità pubblica, ma che venivano calcolati direttamente o indirettamente nel "pacchetto terapeutico" (composto di quattro fasi) che le donne acquistavano.


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