giovedì 28 gennaio 2010

Utero in affitto: «Volevamo fortemente un figlio»

Corriere della Sera - 28 gennaio 2010

La coppia di Mogliano sotto accusa: «Stiamo vivendo una tremenda sofferenza»

MOGLIANO VENETO (Treviso) - «Volevamo avere un figlio nostro, ora viviamo una tremenda sofferenza e vogliamo solo restare in silenzio». A dirlo è la coppia di Mogliano Veneto (Treviso) che dieci giorni fa è atterrata all'aeroporto Marco Polo di Venezia con in grembo una bimba di nemmeno un mese. Arrivavano da Kiev. Ma le date non coincidevano: la donna italiana era partita per l'Ucraina lo stesso giorno in cui era nata la piccola. «Surrugacy» hanno spiegato agli agenti della Polizia di Frontiera di Venezia i due genitori appena sbarcati. Hanno detto di essere ricorsi all'inseminazione artificiale dopo aver firmato un contratto con una ragazza ucraina: la madre surrogata che ha partorito la piccola e poi l'avrebbe ceduta alla coppia di italiani. Dalla clinica li avrebbero lasciati andare via con la neonata a una condizione: se registravano da un notaio (a Kiev) che la bimba era della madre italiana oltre che del papà. Sarebbe la pratica delle cliniche per non lasciare alcuna traccia della ragazza ucraina che ha portato a termine la gravidanza.
Donne che dopo aver ricevuto poche migliaia (a volte centinaia) di euro vengono di nuovo inghiottite dalla periferia di Kiev. Un caso su cui indaga la procura di Venezia. Tutto è nato dai contatti con il sito «russurrogate.com» dove il costo di una gravidanza surrogata - compreso albergo, ecografie e atto notarile - termina con l'ultima rata a 30mila euro. Alla «Isida clinic» si possono scegliere le ragazze «surrogate». Lo chiamano «turismo procreativo». In Svizzera, a esempio, è triplicato l'accesso alle cliniche specializzate come quelle di Kiev dopo l'introduzione della Legge 40 in Italia che vieta la fecondazione eterologa. Tanto che nascono siti come: «uteroinaffitto.org». Dietro si consuma un dramma di chi desidera avere un figlio tutto suo e oltreconfine si aggrappa a un'ultima speranza. Le cliniche prevedono due clausole per non eludere la legge ucraina: che la coppia sia sposata e l'impossibilità di avere figli per uno dei genitori.
La nebbia quel giorno ha dirottato il volo della coppia di Mogliano Veneto all'aeroporto di Venezia: dovevano sbarcare a quello di Treviso. I voli da Kiev non atterrano di solito al Marco Polo. Gli agenti della Polizia di frontiera, diretta dal dottor Antonio Campanale, al controllo passaporti, hanno incrociato i dati delle partenze con quella del ritorno della coppia e sono incappati in un caso che non ha precedenti: la maternità surrogata è vietata in Italia. Ma non lo è in Ucraina o in Usa o nella Gran Bretagna (ma aumentano i costi). Una pubblicità su un quotidiano di Kiev: «Madri in affitto, remunerazione a partire da 3mila euro». Ora la piccola è affidata al papà. E' sua figlia, lo attesta un esame del Dna che è stato fatto analizzare a Londra. Lo dovrà accertare anche quello disposto dalla procura veneziana. Il pm Giovanni Zorzi dovrà valutare l'ipotesi di reato per «alterazione di stato» visto che i genitori hanno registrato la piccola con una maternità (quella della donna italiana) che non è si mai verificata.

Ma.Gal

mercoledì 27 gennaio 2010

Il figlio sognato? A 40mila euro

La tribuna di Treviso — 27 gennaio 2010 pagina 14 sezione: CRONACA

Dai 20 ai 40 mila euro per un utero in affitto. Ecco quanto costa la speranza di avere un figlio per una coppia italiana costretta al «turismo procreativo» verso paesi esteri. «Le mete più battute sono il Canada, gli Stati Uniti o l’Est Europa dove la pratica è consentita». A parlare è il primario di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Ca’ Foncello, Giuseppe Dal Pozzo. Sono le restrizioni delle leggi italiane alla procreazione assistita a costringere molte coppie ad affrontare il viaggio. Un viaggio in cui gli affari si intrecciano con l’etica e la morale. Un viaggio compiuto da decine e decine di coppie italiane ogni anno, nella speranza di riuscire ad avere quel figlio tanto desiderato. Viaggio rischioso, sul filo della legge, dove raggiri e truffe possono mandare in frantumi il sogno.

Professore, quanto successo alla coppia di Mogliano fermata al Marco Polo al rientro da Kiev con una bimba frutto di inseminazione artificiale ha aperto uno squarcio su un fenomeno poco conosciuto. Come si arriva a ricorrere all’utero in affitto per avere un figlio?

«Esistono agenzie specifiche che si occupano di offrire alle coppie tariffari e modalità per la pratica. Si trovano nei paesi dove “affittare un utero” è possibile. Parliamo di aree come il Canada, gli Stati Uniti, i paesi dell’Est Europa. Nel web esistono diversi siti dove si trovano informazioni in merito, anche molto dettagliate, ma credo che molte coppie trovino informazioni attraverso il passaparola, sentendo coppie che lo hanno già fatto».

Quali sono attualmente i limiti della legge italiana in merito alla fecondazione assistita?

«Le coppie vanno all’estero perché nel nostro Paese è legale solo il tipo di fecondazione in cui i gameti (spermatozoo e ovocita, ndr) appartengono alla coppia. Le pratiche di fecondazione che prevedono il ricorso a un donatore esterno, sia esso maschio o femmina, non sono ammesse».

Quali sono le coppie che ricorrono all’utero in affitto?

«Quelle in cui nella donna manca l’ovulazione, o per l’età avanzata o per patologie come l’arrivo di una menopausa precoce. Oppure le coppie in cui l’uomo soffre di azoospermia, ossia azzenza di sperma. Si è costretti così a ricorrere a un donatore e questo può essere una donna che mette a disposizione il proprio corpo e il proprio utero per l’intera durata della gravidanza».

Ci sono rischi?

«Non tanto a livello fisico, quanto piuttosto sul piano psicologico. Di fatto la coppia vede crescere un figlio geneticamente loro nel corpo di un’altra donna. Vi sono poi problemi a recuperare il proprio bambino, come accaduto alla coppia di Mogliano al ritorno dall’Ucraina. Di solito papà e mamma vivono con ansia il momento del parto perché non sanno se è stato naturale, se ci sono state complicazioni, se c’è stato un parto cesareo. Non ne hanno un controllo diretto».

Chi sono le donatrici?

«Donne povere, che hanno bisogno di soldi. Per loro una somma come diecimila euro può significare davvero la possibilità di cambiare vita. Di solito le coppie cercano di superare i sensi di colpa pensando a un atto di generosità da parte di queste donatrici. Ma la realtà è spesso diversa».

Laura Canzian

La coppia rischia 10 anni

La tribuna di Treviso — 27 gennaio 2010 pagina 14 sezione: CRONACA

Alterazione di stato anagrafico, da 3 a 10 anni di reclusione in caso di condanna. E’ la pesante ipotesi di reato che spicca sul fascicolo aperto dalla Procura nei confronti di una coppia moglianese, bloccata all’aeroporto Marco Polo con una bimba di 25 giorni, al ritorno da un viaggio in Ucraina. Il controllo è avvenuto prima di Natale. La bimba non risultava nel passaporto dei genitori: dopo aver raccontato agli agenti che il parto era avvenuto all’estero, la coppia ha presentato un atto notarile vidimato dall’ambasciata di Kiev, che attesta il fatto che l’uomo è il padre della bambina, che sarebbe così nata da una gravidanza «in affitto». Una giovane ucraina avrebbe perciò accettato il seme dell’uomo e, dopo il parto, affidato al padre la piccola: un contratto economico riconosciuto in molti stati - come gli Usa - ma non possibile in Italia, tanto che molte coppie si affidano ad un’associazione con sede a Kiev. Ora la Procura dovrà accertare se «l’utero in affitto» sia legale in Ucraina e in base alle risultanze decidere se procedere o meno penalmente contro la coppia, che in ogni caso ha reso anche false dichiarazioni agli agenti dell’aeroporto, in prima battuta. Un reato decisamente meno grave, quest’ultimo, rispetto a quello per il quale intende procedere con gli accertamenti il pm Giovanni Zorzi: l’articolo 567 del codice penale persegue «chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile». infine, le condanne salgono da 5 a 15 anni nei confronti di «chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni o false attestazioni». Ma gli accertamenti sono ancora lunghi: nel passaggio del fascicolo dal magistrato di turno nel giorno del controllo a quello d’area non è ancora stata disposta - ad esempio - l’analisi del Dna, necessaria per accertare la paternità dell’uomo. Al momento, l’uomo ha rifiutato di sottoporsi spontaneamente al test genetico, anche se al momento la sua paternità - allo stato degli atti - non viene messa in discussione, tanto che la bambina vive e cresce con i genitori. E’ arrivata in Italia che aveva appena 25 giorni, una bella neonata bionda, nel passaporto della coppia moglianese che l’ha portata con loro non c’era. E questo ha fatto sorgere i primi sospetti agli agenti di polizia in servizio all’aeroporto di Tessera. Nelle prime dichiarazioni i due hanno sostenuto che lei era in dolce attesa quando è partita, ma il suo medico l’ha smentita. Adesso la Procura veneziana ha aperto un’inchiesta, anche perché, alla fine, marito e moglie hanno confessato: la bambina non l’aveva partorita lei. Però, hanno mostrato un atto notorio rilasciato da un professionista di Kiev, un vero e proprio contratto.

Utero in affitto, inchiesta su una coppia moglianese

Il Gazzettino - 27 gennaio 2010

MOGLIANO - Sotto inchiesta per una figlia avuta grazie ad un utero preso in "affitto" in Ucraina. La posizione di una coppia residente a Mogliano è finita all’attenzione della Procura di Venezia sulla base della segnalazione inoltrata dalla polizia dell’aeroporto Marco Polo di Tessera (nella foto: lo scalo). La coppia è stata fermata per un controllo durante le feste di Natale, di ritorno dal viaggio all’estero: la bimba bionda che portavano in braccio, di appena 25 giorni di età, non era infatti annotata sul passaporto. Gli agenti chiesero spiegazioni e la donna inizialmente disse di aver partorito all’estero; versione però contraddetta dal suo medico, il quale smentì che fosse incinta. A questo punto la coppia ha ammesso di aver siglato un contratto, regolarmente registrato, in base al quale una giovane ucraina si era prestata ad una pratica di inseminazione artificiale con il seme del moglianese; pratica che nel Paese ex sovietico è consentita, al contrario di quanto accade in Italia. La coppia sarebbe in possesso anche di un documento dell’ambasciata che attesta la paternità e la gravidanza in "affitto". L’uomo, da quanto si è appreso, si sarebbe rifiutato di sottoporsi al test del dna, richiesto dalla polizia.
Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore Giovanni Zorzi, il quale dovrà ora valutare il da farsi, dopo aver disposto i necessari accertamenti. Se l’"utero in affitto" è pratica legale in Ucraina, nessun reato potrebbe essere contestato alla coppia di Mogliano. L’unico profilo di possibile illecito, eventualmente, potrebbe riguardare la dichiarazione non veritiera effettuata all’arrivo in Italia, sulla base della quale si potrebbe configurare un’ipotesi di alterazione di stato anagrafico, reato che peraltro prevede una sanzione piuttosto severa, fino a 15 anni di reclusione.
Ma è ancora presto per tirare qualsiasi conclusione. Preliminarmente, il magistrato cercherà di ricostruire innanzitutto l’iter della pratica seguita dalla coppia in Ucraina e disporrà, con molte probabilità, una consulenza tecnica sul dna dell’uomo per avere certezza della sua paternità ed escludere l’eventualità che la bimba possa essere stata "comperata".

Figli sani da sieropositivi, l' Imi rinuncia

Repubblica — 27 gennaio 2010 pagina 8 sezione: PALERMO

Veder nascere un figlio sano è un diritto, anche se a volte è difficile ottenerlo. Dopo dieci anni di lavoro c'è incertezza sul futuro del servizio di procreazione assistita per coppie colpite dall' Hiv, fin qui garantito dall' Istituto materno infantile. Che debba essere trasferito è cosa certa, e lo è anche la data: entro il 30 giugno. Quello che non si sa, invece, è dove verrà spostato. Il che fa dubitare gli operatori della reale volontà di mantenere in vita il servizio. Aperto nel 2000, il laboratorio è dedicato alle coppie in cui il partner maschile è affetto da Hiv: in questi casi è molto probabile che il bambino nasca infetto e che, durante il parto, contagi la malattia alla madre. Nel centro dell' Imi questo rischio viene annullato: con un particolare macchinario (Nasba) di biologia molecolare si effettua il washing degli spermatozoi, ossia viene ripulito il seme dal virus e con questo si effettua una fecondazione intra-uterina della donna. Che così avrà una gravidanza sicura e sarà certa di partorire un bambino immune dal contagio. Dal 2000 a oggi il reparto ha assistito 290 coppie, e sono 40 i bambini nati del tutto sani. Oltre che nel centro palermitano, un trattamento del genere è possibile soltanto a Milano, dove le liste d' attesa sono molto lunghe, o nei centri privati, dove tutto l' iter costa diverse migliaia di euro. «Vogliamo sapere che fine farà il laboratorio - dice Elena Rubino, responsabile del servizio - non possono dirmi che a giugno devo lasciare i locali e non spiegarmi dove pensano di trasferirci. Questo lavoro va fatto con ampia programmazione, ci sono le terapie da seguire e i macchinari da spostare: solo per il trasferimento delle macchine bisogna chiamare un tecnico specializzato da Firenze, se no lo strumento diventa inservibile. E tutto questo va pensato per tempo». I dubbi della responsabile dell' unità si basano anche su alcuni eventi degli ultimi mesi: «A marzo la biologa che avevamo in forza- racconta la Rubino - è stata trasferita al laboratorio del Policlinico, adesso hanno sostituito l' ecografo che avevo con uno che ha una sonda che non funziona. In questa fase avremmo dovuto stimolare venti pazienti, ma ho rimandato tutto a data da destinarsi: non possiamo cominciare un lavoro che non sappiamo se potremo portare a compimento». Dal Policlinico però smentiscono l' intenzione di chiudere il laboratorio: «Proprio domani (oggi, ndr) - dice Nino Perino, primario di Ginecologia e Ostetricia - devo incontrare il direttore sanitario per discutere anche di questo. L' unità di "Procreazione assistita per coppie discordanti per Hiv" mi sta molto a cuore perché è una specialità rara che va tenuta in grande considerazione. Riteniamo però che non abbia senso lasciarla isolata all' Imi, soprattutto ora che quasi tutte le branche sono state trasferite al Policlinico: la mia idea - spiega Perino - è di unirla al laboratorio di fecondazione in vitro che già abbiamo all' Istituto materno infantile. La centralizzazione di sicuro servirà a ottimizzare personale e macchinari». Nel frattempo restano senza certezze le coppie che erano in cura all' Imi e che ora non sanno cosa fare: «Ho 41 anni - dice B., tedesca che da tredici anni vive a Palermo, dove ha sposato un ragazzo sieropositivo - non possiamo permetterci di aspettare le liste d' attesa che ci sono a Milano per avere un figlio e non abbiamo i soldi per farlo privatamente. Mi sembra assurdo che un servizio che funziona debba essere interrotto». «Abbiamo già fatto un tentativo - racconta un aspirante papà - e questo sarebbe il secondo, ma questa interruzione è per noi un fulmine a ciel sereno. Ci tolgono il diritto ad avere una prospettiva e, ancora di più, ad avere un figlio sano».

SONIA PAPUZZA

domenica 24 gennaio 2010

Fecondazione assistita maxi-centro a Catania

Repubblica — 16 gennaio 2010 pagina 9 sezione: PALERMO

Da oggi Catania ospiterà uno dei più grandi centri italiani di procreazione medicalmente assistita. La nuova struttura non gode di alcun finanziamento pubblico o privato e le risorse sono arrivate solo dal lavoro degli operatori e dalla fiducia accordata dai pazienti. Realizzato dalla cooperativa Unità di Medicina della Riproduzione con il fondamentale supporto di Hera onlus (la prima in Italia a far nascere bimbi sani da genitori talassemici attraverso la diagnosi preimpianto) il centro aprirà in via Leucatia Crocea Sant' Agata Li Battiati, su una superficie di 2.245 metri quadrati. Tre le sale operatorie e ben sei i laboratori, tra i quali due dedicati alla biologia molecolare. Il centro catanese punta ad avere un ruolo avanzato anche sul fronte della ricerca scientifica. «La realizzazione del nuovo centro, a carattere no profit, completa un percorso iniziato 11 anni fa - spiega il responsabile Nino Guglielmino - che ha visto insieme pazienti e operatori della procreazione assistita in un' esperienza probabilmente unica a livello internazionale. Un' esperienza non solo di "buona medicina" ma anche e soprattutto una straordinaria esperienza umana».

ROSA MARIA DI NATALE

Fecondazione assistita: « No alle donne obese o fumatrici»

Corriere della Sera - 20 gennaio 2010

La Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (Eshre) invita i medici a negarla a meno di decisi cambiamenti nello stile di vita

ROMA - Il ricorso alla fecondazione assistita dovrebbe essere proibito alle donne che bevono, fumano o soffrono di obesità anche moderata, a meno che non decidano di cambiare il proprio stile di vita. Lo afferma la Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (Eshre) in una dichiarazione pubblicata dalla rivista Human Reproduction.

LE «LINEE-GUIDA» - Le raccomandazioni seguono la pubblicazione di uno studio che dimostra, sulla base di ricerche precedenti, che stili di vita impropri hanno un effetto negativo sui risultati delle procedure di fecondazione assistita. Secondo le linee-guida pubblicate, che non sono vincolanti, i medici della fertilità «dovrebbero rifiutare i trattamenti alle donne che hanno un consumo di alcol superiore a "moderato", a meno che queste non dimostrino la volontà di ridurlo. Anche le pazienti sovrappeso dovrebbero, secondo il documento, prima dimagrire: il rischio di complicazioni come il diabete gestazionale può aumentare fino a otto volte. Lo stesso discorso vale per le fumatrici, che in caso di fecondazione assistita vanno incontro a rischi maggiori di complicazioni. «Ci rendiamo conto che si tratta di argomenti delicati, in cui bisogna bilanciare il diritto alle cure con la salute della mamma e del bambino - conclude il documento - ma l'autonomia della paziente deve essere confrontata dalla responsabilità nei confronti della società e del futuro bambino». (Fonte Agenzia Ansa).

Intervista a Filomena Gallo sul caso di una coppia che ha ottenuto dal giudice l'analisi preimpianto

La legge sulla procreazione medicalmente assistita: intervista a Filomena Gallo sul caso di una coppia che ha ottenuto dal giudice l'analisi preimpianto a causa di una malattia genetica



www.radioradicale.it/scheda/295205/la-legge-sulla-procreazione-medicalmente-assistita-intervista-a-filomena-gallo-sul-caso-di-una-coppia-che-

venerdì 22 gennaio 2010

mercoledì 20 gennaio 2010

Siamo di nuovo in onda ... giovedì 21 gennaio 2010 dalle 10.00 alle 12.00

Domani mattina a Cominciamo Bene (Rai 3 dalle 10.00 alle 12.00) si parlerà di procreazione medicalmente assistita (PMA), della recente sentenza di Salerno e ci sarà un servizio sulla nostra storia.

Fecondazione assistita, Fazio si schiera con la legge 40... o forse no

"Do fiducia alla legge" sulla fecondazione medicalmente assistita. "Quello che viene fatto nell'ambito della legislazione vigente e' per definizione corretto". Cosi' il ministro della Salute Ferruccio Fazio, oggi a margine di un'inaugurazione all'ospedale San Paolo di Milano, risponde ai giornalisti sulla sentenza con cui il Tribunale di Salerno ha autorizzato una coppia fertile portatrice di malattia genetica alla procreazione assistita con diagnosi preimpianto."Non so nulla di particolare a riguardo ma presumo che quello che viene fatto sia nell'ambito della legislazione vigente". 'Da' fiducia ai giudici?', gli chiedono i giornalisti. "Do fiducia alla legge", risponde il responsabile della sanita' italiana.

Aduc - 18 gennaio 2010

lunedì 18 gennaio 2010

Legge 40, il giudice e il sottosegretario

Liberazione - 17 gennaio 2010

La confusione di Eugenia Roccella

Cara "Liberazione", e se i nostri governanti, invece di argomentare artificiosamente, facessero un onesto e semplice esame di coscienza? Se prendessero atto che la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita è illiberale, classista, inefficace? Un governo adulto, maturo, deve saper fare soprattutto autocritica, deve saper porre in tempo rimedio alle storture che esso stesso ha determinato. Negli ultimi mesi, la Consulta ha cominciato a smontare pezzo per pezzo la restrittiva e assurda legge sulla fecondazione assistita. E' vero, il Parlamento ha regolarmente e maldestramente legiferato su una pregnante e vitale questione eticamente sensibile: ciononostante, in un Paese democratico, è pienamente legittimo che titolati giuristi intervengano per aggiustare, per migliorare parzialmente una normativa (quella del 2004) che fa acqua da tutte le parti. In questi giorni, con coraggio e con ragionevolezza, un giudice del tribunale di Salerno ha concesso ad una coppia fertile e malata, in controtendenza con i pronunciamenti della legge 40, la possibilità di poter accedere alle tecniche di diagnosi genetica preimpianto. Nella mucosa uterina della futura mamma potranno essere impiantati solo gli embrioni "sani", senza che essa corra il rischio di trasmettere al neonato l'atrofia muscolare spinale di tipo I, una terribile malattia che in breve tempo fra laceranti sofferenze conduce a morte. Nell'Italia delle improduttive diatribe, incentrate su un controproducente e mortifero bipolarismo etico, succede che il sottosegretario con delega ai temi bioetici del governo Berlusconi, Eugenia Roccella, confonda malamente acquisizioni di eccellenza della genetica e della biologia della riproduzione con la nefasta "eugenetica" (che è davvero altra cosa). Sconcertano veramente le parole estremistiche della Roccella: «E' una sentenza gravissima. Così si introduce il principio che la disabilità è un criterio di discriminazione rispetto al diritto di nascere». Se la donna, in piena autonomia e consapevolezza, decide di farsi impiantare un embrione "non malato" non commette alcun reato, non compie alcuna discriminazione, non viola alcuna norma morale. Oltre al diritto di nascere, dovrebbe valere un diritto di vivere, magari una esistenza senza tormenti e tribolazioni estreme. Il sottosegretario dovrebbe spigarci, soprattutto, la contraddizione colossale delle nostre normative, che garantiscono l'aborto terapeutico eventualmente anche fino al sesto mese, epperò vietano tassativamente una normalissima e benedetta selezione embrionale, che è routine in tanti altri Paesi civili.

Marcello Buttazzo - Lequile (Le)

venerdì 15 gennaio 2010

Un figlio in grado di vivere: desiderio umano, non eugenetica

Corriere della Sera - 15 gennaio 2010

La coppia vorrebbe avere un bambino non condannato a morire entro l' anno: si tratta di amore, non egoismo
La sentenza tiene conto della sofferenza; altri, più inflessibili, restano ancorati a teorie astratte

Il giudice di Salerno ha avuto pietà e ha concesso alla giovane coppia di sottoporsi alla fecondazione assistita - con selezione di embrione - nonostante sia fertile, cosa che la già abbastanza contestata (e però anche infranta) legge 40 proibisce espressamente. E sul fatto che i due siano fertili non ci possono essere dubbi visto che hanno già messo al mondo una figlia morta a sette mesi e hanno affrontato tre aborti - chissà con quale sgomento per loro che da anni ostinatamente cercano un figlio - perché i nascituri erano tutti affetti dalla stessa malattia che ha ucciso la bambina e della quale sono portatori sani: l' atrofia muscolare spinale di tipo 1, che porta i piccoli a morire entro l' anno per soffocamento. La sottosegretaria alla salute Eugenia Rocella ha immediatamente e duramente condannato la decisione del giudice, parlando di pratica puramente eugenetica che verrebbe introdotta di soppiatto nel nostro Paese. La sua è la posizione dei cattolici più intransigenti che per salvare una loro regola vorrebbero andare contro la regola della natura secondo la quale il desiderio di un figlio che viva possibilmente più a lungo dei suoi genitori è atavica e irreprimibile. Non che la loro regola sia assurda o ingiustificata o per principio sbagliata, tutt' altro, ma semplicemente non può prevalere, non alla lunga, almeno, contro quell' altra scritta più profondamente e infinito tempo prima e, dunque, più forte e più vitale e non davvero sottomettibile ad alcuna repressione. Inserirsi con norme che inevitabilmente appaiono spietate per legiferare sulle questioni che riguardano maternità e paternità è impresa straordinariamente ardua che, sia pure ispirata, come in questo caso, alla dottrina cattolica, difficilmente va a buon fine. Ne sanno qualcosa coloro che si occupano, per esempio, di affidi e adozioni, spesso costretti a rinunciare, davanti alle ragioni del sangue, a soluzioni che appaiono perfettamente opportune e confacenti. Il desiderio di un figlio il più possibile sano sta, insomma, scritto da sempre nel cuore dell' uomo e della donna, e oggi che scienza e medicina offrono la possibilità di realizzare questa aspirazione, in modo ovviamente ancora più marcato. E visto che sarebbe sbagliato parlare in generale prescindendo dal caso specifico della sfortunata coppia di Salerno - primo caso in assoluto in Italia - davvero può assomigliare a una sinistra pratica eugenetica quel loro estremo tentativo di avere di un bambino che non debba morire, soffocato, entro il primo anno di vita? Sarà sul serio egoistica - come molti sono sempre pronti a sostenere - la loro pressante richiesta di un figlio o è invece una naturale e non più così frequente (ricordiamoci dell' Italia a tasso di crescita zero) istanza di dare amore? Sembra un desiderio, insomma, il loro, non capriccioso né accessorio bensì ragione stessa del loro essere coppia, che, paradossalmente, va nella direzione della più cattolica tra tutte le esortazioni: crescete e moltiplicatevi... «Dio perdona, io no», era il titolo di un vecchissimo spaghetti-western: a volte, la durezza e l' intransigenza degli interventi «cattolici» fanno pensare a quello stesso concetto, in nome del quale un giudice molto probabilmente laico del tribunale di Salerno si lascia convincere della bontà e legittimità della richiesta di quella coppia e forse anche comprende gli anni di dolore e di lutto che vi stanno dietro, mentre i guardiani della fede mostrano, invece, il pollice verso senza esitazioni e senza una parola di sia pure formale comprensione per il dramma capitato ai due sventurati genitori. In altre parole, le teorie possono essere belle e chiare e condivisibili se non altro finché restano tali, ma la pratica, la vita e il suo quotidiano, difficoltoso combattimento sono quasi sempre tutt' altra cosa che apre squarci di sofferenza e di sangue dei quali l' inflessibile legislatore tende probabilmente a tenere troppo poco conto.

Bossi Fedrigotti Isabella

La legge 40 non regge più

Europa - 15 gennaio 2010

Una sentenza del tribunale di Salerno ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto di embrioni.
La coppia che ne ha fatto richiesta è portatrice sana di una gravissima malattia genetica, l’atrofia muscolare spinale di tipo 1 (Sma1), che causa una progressiva paralisi della muscolatura e provoca la morte del bambino entro il primo anno di vita. La coppia ha già un figlio sano, ma la donna ha avuto in precedenza una figlia malata, morta a sette mesi, e tre aborti che seguivano a diagnosi prenatali che avevano diagnosticato la malattia nei feti.
Il giudice Antonio Scarpa ha così motivato la sentenza: «Il diritto a procreare e lo stesso diritto alla salute dei soggetti coinvolti verrebbero irrimediabilmente lesi da una interpretazione delle norme in esame che impedissero il ricorso alle tecniche di pma (procreazione medicalmente assistita) da parte di coppie, pur non infertili o sterili, che però rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili».
«Solo la pma, attraverso la diagnosi preimpianto, e quindi l’impianto solo degli embrioni sani, mediante una lettura “costituzionalmente” orientata dell’art. 13 L.cit. [la legge 40 del 2004], consentono di scongiurare un simile rischio».
Sottotraccia appare chiaro che il giudice ha ritenuto che sia più pericoloso (diritto alla salute) e anche lesivo dei diritti implicitamente riconosciuti dalla legge 40 (dove per la verità non si parla di «diritto a procreare», ma dove si rende lecita a certe condizioni la pma) non consentire la diagnosi genetica prima dell’impianto in utero. La diagnosi preimpianto, infatti, evita il ricorso alla diagnosi prenatale a gravidanza iniziata e l’eventuale aborto (consentito in questi casi dalla legge 194).
Quest’ultimo e la diagnosi in utero, in effetti, non sono privi di rischi per la donna, mentre la diagnosi prenatale consente di non immettere nel suo corpo gli embrioni malati.
Non è del tutto insensato, quindi, dire che la sentenza mira a tutelare la salute della donna evitandole il ricorso a pratiche potenzialmente pericolose per lei. Questo argomentazione appare dunque sensata nell’ottica della legge 194, ma non in quella della legge 40, che antepone i diritti dell’embrione a quelli della donna: questo contrasto non potrà che continuare ad emergere e bisognerà, prima o poi, porvi rimedio.
Vi sono tuttavia anche considerazioni di altro genere. Le tecniche di procreazione assistita generano dilemmi che è riduttivo ricondurre solo a un «progetto eugenetico», come fa il sottosegretario Eugenia Roccella, ieri intervistata da molti giornali. Bisogna però riconoscere senza infingimenti che, in un caso come questo, si tratta (oltre che del diritto alla salute della donna) anche di un giudizio sulla qualità della vita del nascituro: tanto la coppia quanto la comunità civile deve scegliere fra la responsabilità di avviare allo sviluppo un bambino che non supererà l’anno di vita in condizioni tragiche e quella di non offrirgli una chance di vita, sia pure in tali condizioni.
Obbligare l’impianto degli embrioni in queste condizioni significa obbligare la donna ai rischi richiamati sopra; consentire il non impianto significa ritenere che per l’embrione malato la possibilità di impiantarsi e crescere è un bene molto limitato e problematico, considerato il tipo di esistenza che lo attende. Ora, non si esce da questo dilemma se non riconoscendo che la vita accade molto spesso in condizioni fragili e drammatiche; e che, per questo, la vita stessa non è l’unica considerazione in gioco. La sofferenza (del bambino, della madre, della famiglia), il rischio e anche la libertà delle persone (la decisione di abortire o di volere la nascita di un bambino malato) sono sempre coinvolte.
Accusare di mentalità eugenetica le persone coinvolte in questi dilemmi è un segno di insensibilità e di moralismo.
Si tratta in realtà di un bilanciamento fra scelte comunque gravi. È un principio comune difendere la vita con i mezzi a nostra disposizione.
Tuttavia, questi mezzi contro una malattia come la Sma1 sono inermi. L’aspetto tragico è in questo destino del bambino, di cui nessuno ha colpa. È qui che si apre il dilemma che riguarda la madre: si può davvero pensare che tutte le donne debbano obbligatoriamente avviare una gravidanza in queste condizioni? E perché, visto che il legislatore ha riconosciuto che, proprio in queste condizioni, è facoltà della donna non continuare una gravidanza iniziata? Questo passo indietro della legge, che tutela la vita ma non obbliga le persone in casi tragici, appare il segno di una sofferta saggezza: quando la possibilità di una vita si presenta a quelle condizioni e per così poco tempo, prima ancora di giudicarne il valore si può forse riconoscere l’impossibilità di obbligare qualcuno a rischiare e soffrire gravemente per essa intesa come principio assoluto. Mi pare almeno in parte questo il significato morale della legge 194: un’attenzione alle persone che contrasta con l’astratta purezza di certi principi della legge 40.

Roberto Mordacci

Il primo compleanno di Hevan

giovedì 14 gennaio 2010

Il giudice aggira la legge: fecondazione assistita concessa a coppia fertile

Il Giornale - 14 gennaio 2010

Il tribunale di Salerno concede a una coppia di sottoporsi alla fecondazione assistita nonostante i coniugi siano fertili: "Siamo portatori di una grave malattia, abbiamo perso tre bimbi e uno è morto a 7 mesi". Potranno fare la diagnosi preimpianto


I paletti della legge 40 sulla fecondazione artificiale vengono sistematicamente abbattuti nei tribunali. Prima, la Consulta ne aveva dichiarato la parziale illegittimità. Ora, i giudici civili concedono di diritto di accedere alla provetta anche a chi non è sterile. Ieri è stata la volta del tribunale di Salerno. Che ha autorizzato una coppia fertile ma portatrice di una malattia genetica, ad utilizzare la selezione embrionale per far nascere un figlio sano. La decisione è stata presa dal giudice Antonio Scarpa dopo che la coppia si era rivolta a lui per avere la possibilità di accedere alle pratiche di procreazione assistita ammesse dalla legge 40 del 2004 solo alle coppie non fertili. I due potenziali genitori sono infatti portatori di una grave malattia ereditaria, l'Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1 che causa la paralisi di tutta la muscolatura scheletrica. Mettere al mondo un figlio sarebbe stato un percorso troppo doloroso. Da qui il ricorso della coppia accolto dal giudice. Con queste motivazioni. «Il diritto a procreare verrebbe leso da un'interpretazione delle norme che impedissero il ricorso alle tecniche di procreazione assistita da parte di coppie, pur non infertili o sterili, che rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili; solo la diagnosi preimpianto, e quindi l'impianto solo degli embrioni sani, consentono di scongiurare tale simile rischio».
La coppia, dunque, ha il via libera di utilizzare la diagnosi pre impianto per selezionare un embrione sano e mettere al mondo un figlio che non abbia le loro stesse malformazioni genetiche. Ma il loro caso non è isolato. Già nel luglio scorso c’è stato un precedente. Una coppia fiorentina aveva ottenuto dal tribunale di Bologna la possibilità di selezionare l’embrione sano dopo aver avuto un primo figlio colpito da distrofia di Duchenne, trasmessa dalla madre. Anche in quell’occasione, per i giudici «il divieto di diagnosi pre-impianto pare irragionevole».
«È una vittoria della donna», esclama Gianni Monni, primario dell’ospedale Microcitemico di Cagliari e presidente dei ginecologi ospedalieri italiani. «Ora tutte le coppie talassemiche e quelle portatrici di altre malattie genetiche potranno far nascere dei bambini sani ed evitare inutili e dolorosi aborti quando conoscono il destino dei feti ammalati». Ma Francesco Fiorentino, genetista e precursore della diagnosi pre-impianto, avverte. «Questi ricorsi valgono ad personam: sarebbe opportuno che la normativa si adeguasse alle linee guida della Corte costituzionale. Ora, chi vuole ottenere l’accesso alla provetta deve passare da un giudice». In Italia il 4% della popolazione è portatore di fibrosi cistica e in alcune regioni come Sardegna e Sicilia la metà delle coppie è portatrice sana di talassemia.

Procreazione: primo sì a coppia fertile per test preimpianto

Corriere della Sera - 14 gennaio 2010

La sentenza ammette per la prima volta questa possibilità dopo l'istituzione della legge 40 del 2004

ROMA - Il giudice Antonio Scarpa, del Tribunale di Salerno, ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto a una coppia fertile portatrice di una grave malattia ereditaria, l'Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1 (SMA1). Questa malattia causa la paralisi e atrofia di tutta la muscolatura scheletrica e costituisce la più comune causa genetica di morte dei bambini nel primo anno di vita, con un decesso per asfissia. La coppia non aveva potuto accedere alle pratiche di procreazione medicalmente assistita perché la legge 40 del 2004 lo consente solo per casi di sterilità e di infertilità.

LA MOTIVAZIONE - «Il diritto a procreare - si legge nelle motivazioni del giudice - e lo stesso diritto alla salute dei soggetti coinvolti, verrebbero irrimediabilmente lesi da una interpretazione delle norme in esame che impedissero il ricorso alle tecniche di pma (procreazione medicalmente assistita) da parte di coppie, pur non infertili o sterili, che però rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili; solo la pma, attraverso la diagnosi preimpianto, e quindi l'impianto solo degli embrioni sani, mediante una lettura "costituzionalmente" orientata dell'art. 13 L.cit., consentono di scongiurare tale simile rischio».

QUATTRO LUTTI PRIMA DEL RICORSO - La coppia nel 2003 aveva visto morire una figlia di appena 7 mesi, colpita da atrofia muscolare spinale di tipo 1. «Siamo riusciti ad avere un bambino sano nel 2005 ma siamo stati costretti - ha spiegato la donna, quasi 40anni, lombarda, con un marito quasi coetaneo e fertile come lei - a tre aborti perchè questa malattia è assolutamente incompatibile con la vita». «Ho avuto 5 gravidanze, un figlio solo e 4 lutti».
La coppia ha fatto allora richiesta al ginecologo Domenico Danza, di Salerno, di accedere alla procreazione medicalmente assistita e di poter effettuare la diagnosi preimpianto con tecniche combinate di citogenetica e di genetica molecolare per avere un figlio che potesse vivere. Lo specialista però non ha potuto dare il suo assenso alla luce delle norme previste dalla legge 40 del 2004. La donna ora, dopo il sì del tribunale di Salerno, si rivolgerà nuovamente allo stesso medico.

ROCCELLA: «GRAVE APERTURA» - La legge 40 consente l'accesso alla fecondazione assistita «solo alle coppie non fertili, per dare loro le stesse opportunità di procreazione di quelle fertili. È molto grave che un giudice violi questo principio basilare della legge». Questa la dura reazione del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, interpellata dall'Agenzia di stampa Agi. «Una sentenza motivata con il "diritto alla salute": ma la salute di chi? - si chiede il sottosegretario - non certo degli embrioni, che anzi vengono sacrificati in un numero molto alto, anche 20. Il giudice in sostanza stabilisce che per il diritto alla salute di uno si può sacrificare il diritto alla vita di venti». Con la diagnosi preimpianto e la selezione degli embrioni da impiantare, autorizzate dal giudice, secondo il sottosegretario «si introduce un principio di eugenetica, e si dà un minor valore alla vita dei disabili. Se l'aborto, ad esempio, è consentito solo in caso di rischi psichici o fisici della madre, qui si proclama il non diritto di un disabile a vivere». La sentenza, tra l'altro, «conferma la tendenza della magistratura a invadere campi che non sono suoi: la magistratura non ha compiti creativi, deve applicare le leggi. Non può contraddirle palesemente come fatto dal giudice di Salerno. Eppure abbiamo un giudice che decide che una legge votata dal Parlamento è carta straccia. Se si vuole introdurre l'eugenetica - conclude Roccella - lo si dica chiaramente e si voti una legge in Parlamento, e non in tribunale, e vedremo se gli italiani daranno il loro consenso».

lunedì 11 gennaio 2010

Benevento: nati sei gemelli

Corriere della Sera - 11 gennaio 2010

BENEVENTO - Sei gemelli, quattro femmine e due maschi, sono venuti alla luce nel reparto di neonatologia dell'azienda ospedaliera Rummo di Benevento. I sei gemelli, figli di una coppia di Orta di Atella, in provincia di Caserta, stanno tutti bene.

EVENTO STRAORDINARIO - I sei gemellini vengono adesso assistiti presso la terapia intensiva neonatale, diretta dal dottor Luigi Orfeo. Il peso dei neonati varia dai 610 agli 800 grammi. L'evento assume una particolare straordinarietà se si considera che, in letteratura medica, l'unico episodio simile in Italia risalirebbe al 1996. Il «Rummo» di Benevento ha accolto la donna, alla ventiseiesima settimana di gravidanza: la neomamma era stata trasferita nella struttura beneventana dal Policlinico Universitario Federico II di Napoli, dove non era possibile attrezzare sei posti in terapia intensiva neonatale. La paziente, C.O., 30 anni, ha partorito nella prima mattinata, quando si è proceduto al taglio cesareo per far nascere i sei gemellini. Le strutture aziendali di ostetricia e ginecologia e di terapia intensiva neonatale hanno quindi messo in campo tutte le forze possibili per la gestione di un parto così complesso, affiancate dalla direzione medica di presidio e dalle direzioni generale e sanitaria che hanno coinvolto oltre trenta persone.
I sei figli sono nati dopo che per cinque anni la coppia non era riuscita ad avere bambini, e perciò era ricorsa a una terapia di stimolazione.