lunedì 27 giugno 2011

Legge sulla fecondazione artificiale: l'Europa sconfessa l'Italia

Corriere della Sera - 27 giugno 2011

La Corte dei diritti dell'uomo accoglie il ricorso di una coppia esclusa dalla normativa

MILANO - La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha deciso di accogliere il ricorso presentato da una coppia italiana contro la legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita. Rosetta Costa e Walter Pavan, questi i nomi dei due ricorrenti, sono entrambi affetti da fibrosi cistica, una malattia genetica che si trasmette in un caso su quattro al nascituro e vorrebbero quindi poter ricorrere alla fertilizzazione in vitro per poter fare uno screening embrionale.

Ricorso Accolto - Ma attualmente la legge 40 non gli consente di ricorrere alla fertilizzazione in vitro, pratica riservata solo alle coppie sterili o a quelle in cui il partner maschile abbia una malattia sessualmente trasmettibile, come per esempio l'aids. La coppia si è quindi rivolta a Strasburgo sostenendo che, in base alla sua attuale formulazione, la legge 40 viola il loro diritto alla vita privata e familiare e quello a non essere discriminati rispetto ad altre coppie, diritti sanciti dagli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Nel comunicato con cui ha reso noto di aver accolto il ricorso della coppia italiana, la Corte sottolinea come coppie nella stessa situazione possano già ricorrere alla fertilizzazione in vitro (e quindi allo screening embrionale) in 15 Paesi europei: Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito.

Roccella "Vorrebbero eliminare gli embrioni malati"- Il ricorso presentato da una coppia italiana alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo contro la legge 40 «si basa su un presupposto che è esplicitamente vietato dalla legge, cioè la possibilità di selezionare gli embrioni». Lo sottolinea il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, secondo cui «il parallelo che si fa nel ricorso con i malati di Aids non regge: a loro la fecondazione assistita è consentita perchè possono ricorrere al lavaggio del seme maschile, un trattamento sui gameti in grado di ridurre il rischio di infezione, ma la coppia in questione, malata di fibrosi cistica, non ha questa possibilità. L'unico motivo per cui può voler accedere alla fecondazione assistita è eliminare gli embrioni malati, una selezione che è vietata». Inoltre, precisa Roccella, «Il ricorso non è stato accolto, ma solo dichiarato ammissibile, poi verrà valutato. E secondo me non potrà essere approvato, perchè dalle informazioni in mio possesso la coppia non ha esaurito i gradi di giudizio in Italia, e la Corte europea può entrare in gioco solo in ultima istanza».

Redazione online salute

sabato 25 giugno 2011

Sempre di più i bimbi nati da ovociti congelati

Corriere della Sera - 25 giugno 2011

Dal 2005 al 2009 in Italia sono ben 1170, un primato
Alla base, la legge sulla fecondazione assistita


MILANO - La legge 40 sulla fecondazione assistita ha scatenato polemiche e cambiato nei fatti le prospettive di molte coppie in cerca di un figlio. Ma molti sono riusciti comunque ad avere il tanto desiderato bambino grazie a una tecnica, il congelamento degli ovociti, per cui l'Italia è all'avanguardia: secondo gli ultimi dati dell'Istituto Superiore di Sanità dal 2005 al 2009 nel nostro Paese sono nati 1170 bambini da ovociti congelati e sono stati ben 15068 i cicli di scongelamento di ovociti: un vero primato mondiale, arrivato forse perché abbiamo dovuto fare di necessità virtù.

TECNICA – L'Italia infatti ha puntato molto su questa tecnica proprio perché la legge del nostro Paese, fino alla sentenza della Corte di Cassazione del 2009, non consentiva di congelare embrioni. I primi successi risalgono però a tempi non sospetti: era infatti il 1997 quando nacque la prima bambina frutto del congelamento di un ovocita, poi fecondato direttamente attraverso l'iniezione di uno spermatozoo. Congelare l'uovo consente di superare d'un balzo i dilemmi etici posti dalla conservazione degli embrioni: l'ovocita è un gamete, come lo spermatozoo, e non una potenziale nuova vita messa in freezer. Oggi, al di là delle questioni di coscienza, gli studi scientifici e i dati che arrivano dai centri di fecondazione assistita fanno comprendere come la strada sia stata ormai imboccata con convinzione. Il nostro Paese continua a essere uno di quelli con il maggior numero di nuovi nati da ovociti congelati, e tutti i dati dimostrano che si tratta di una tecnica sicura.

OVOCITI – Tre anni fa, infatti, una prima indagine internazionale su tutti i bambini nati da ovociti congelati (per un terzo italiani, anche allora l'Italia aveva il primato) ha dimostrato che l'incidenza di difetti genetici fra questi piccoli è assolutamente identica a quella fra bimbi concepiti per via naturale. «Il Registro Internazionale che doveva riportare i dati di tutti i bimbi nati da ovociti congelati non è partito, ma tutti i dati raccolti anche dopo il 2008 confermano che non ci sono differenze nell'incidenza di problematiche genetiche. Certo, non stiamo parlando di una casistica di milioni di bambini e quindi la cautela è sempre obbligatoria», spiega Andrea Borini, responsabile clinico e scientifico di Tecnobios Procreazione, una delle strutture italiane dove è stata concepita gran parte del migliaio di bimbi nati da ovociti congelati. Le percentuali di successo con gli ovociti congelati oggi sono molto simili a quelle che si ottengono utilizzando embrioni congelati, ma non si tratta proprio della stessa cosa, come spiega Borini: «Il congelamento degli ovociti è un'opportunità per non dover ripetere troppe stimolazioni ovariche e per poter fecondare qualche embrione in più, fra cui scegliere quelli migliori per il trasferimento. È un metodo che garantisce buoni risultati: fino al 2009 non potevamo fare molto altro e abbiamo acquisito esperienza e capacità, che oggi ci consentono di proporre questa possibilità in più alle coppie che si rivolgono ai centri per la fecondazione assistita. È anche una tecnica che può essere molto utile per le donne che devono affrontare un trattamento antitumorale, per “conservare” la fertilità per il futuro, ma tuttora questa applicazione del congelamento degli ovociti non è diffusissima», conclude Borini.

Elena Meli

giovedì 16 giugno 2011

Fecondazione assistita, mamme fino a 50 anni

Corriere del Veneto - 16 giugno 2011

Delibera della Regione: "Non così rari i casi Nannini". Medici in rivolta: "Si alimentano solo false illusioni"

VENEZIA — Musa ispiratrice è stata anche Gianna Nannini, diventata mamma a 50 anni. Un messaggio di speranza che piace alla Regione al punto da rilanciarlo concedendo la fecondazione assistita in regime di livelli essenziali di assistenza (cioè a carico del sistema sanitario nazionale, la paziente paga solo il ticket) alle signore fino a 50 anni. Una decisione clamorosa, sancita dalla delibera che disciplina la materia approvata all’unanimità martedì dalla giunta Zaia, la quale ha alzato d’imperio il limite di 43 anni proposto dal gruppo tecnico (medici specialisti) voluto proprio da Palazzo Balbi per muoversi in base a dati scientifici sicuri. Disatteso il più importante, sono rimasti invariati gli altri parametri fissati dai ginecologi Federica Nenzi (ospedale di Oderzo), Antonino Lorè (primario a Belluno), Franco Diani (Azienda ospedaliera di Verona), Gianni Nardelli (primario dell’Azienda ospedaliera di Padova), Giancarlo Stellin (ospedale di Trecenta), Emanuela Zandonà (clinica Pederzoli di Peschiera) e Andrea Baffoni (ospedale di Conegliano): e cioè il massimo di 65 anni per il futuro padre, il termine di 4 cicli di trattamento per il primo livello e di 3 per il secondo (Fivet e Icsi).

Nuove chance «Portare il limite d’età a 50 anni è stata una scelta condivisa, anche dal governatore Luca Zaia— spiega Luca Coletto, assessore alla Sanità —. Pur nel rispetto della letteratura scientifica, non possiamo non tener conto di un’aspettativa di vita in crescita e di casi, come quello di Gianna Nannini, che testimoniano la possibilità di procreare anche nella maturità. Abbiamo voluto andare incontro ai desideri della nostra gente e regalare un’opportunità alle pazienti più grandi. Non c’è niente di male». L’altra novità introdotta in delibera per «incoraggiare le aspettative », è il considerare sinonimi la sterilità e «l’incapacità di concepire e di procreare dopo un anno o più di rapporti sessuali non protetti». Il che consente di avviare subito gli opportuni accertamenti diagnostici, senza perdere tempo. Infine cambiano le prestazioni di fecondazione assistita (anche per «razionalizzare le risorse»), da garantire non più in regime di ricovero ma in ambulatorio, fatta eccezione per i casi a rischio. Le indicazioni citate, oltre all’obbligo di mantenere determinati requisiti, sono valide per i 17 centri pubblici e i 20 convenzionati autorizzati. Il privato continuerà a regolarsi sulla legge 40, che però non fissa limiti di età (anche se l’articolo 5 parla di «età potenzialmente fertile»).

Medici contro La «magnanimità» della Regione scatena le proteste dei medici, a partire dagli esperti del comitato tecnico. «In Italia non si registrano parti di donne sopra i 43 anni sottoposte a procreazione assistita — rivela la dottoressa Nenzi —. Ricorrere a tale tecnica per una cinquantenne significa ingolfare le liste d’attesa e sprecare soldi, che vengono sottratti a pazienti trentenni con tutte le carte in regola per diventare mamme. Perchè la Regione chiede il parere degli specialisti se poi non li ascolta?». «Non è condivisibile un limite d’età così avanzato—aggiunge il professor Nardelli — anche perchè aumentano i rischi di parto prematuro, di morte del feto e di eventi avversi per la gestante, che può incorrere in problemi cardiopolmonari, renali, di ipertensione e coagulazione. La Nannini? Una rondine non fa primavera. Certo, aumenta l’età delle donne che si rivolgono ai centri di procreazione assistita, ma gli insuccessi crescono proporzionalmente all’avanzare degli anni. Noi nel pubblico scoraggiamo le donne sopra i 43 anni, forse nel privato, dove conta anche l’interesse economico, non è sempre così. Ma ci chiediamo cosa è meglio per il bambino? Una donna di 50 anni ha l’energia per stare sveglia notti intere, per esempio?». Allibito anche Roberto Sposetti, presidente veneto della Sigo (Società italiana ginecologi e ostetrici), che nel 2001, prima dell’entrata in vigore della legge 40, praticò il cesareo a una mamma di 63 anni. «Alimentare le speranze di signore mature è una presa in giro — dice — e uno spreco di denaro pubblico. E comunque non è un bene per un bimbo avere una mamma-nonna». Il paradosso è che proprio ieri, mentre Coletto era a Roma, a pochi passi da lui si riunivano i referenti delle Regioni per la fecondazione assistita, guidati dal padovano Carlo Foresta. Su richiesta dell’Istituto superiore di Sanità, stanno redigendo un documento che fissa per tutta Italia il limite d’età della futura mamma tra i 42 e 43 anni. Se la commissione Salute, presieduta proprio da Coletto, lo recepirà con delibera sarà vigente anche in Veneto. Chi «sforerà» dovrà affrontare il trattamento in privato, pagandolo migliaia di euro di tasca propria. A questo punto la giunta Zaia non poteva rimandare l’approvazione del provvedimento? «Non è la prima volta che precorriamo i tempi— osserva Coletto—se il ministero ci chiederà di farlo, correggeremo il tiro».

Michela Nicolussi Moro