venerdì 13 marzo 2009

La promessa di Obama nel nome della scienza

Repubblica — 11 marzo 2009 pagina 26

La promessa di Obama "non possiamo garantire che scopriremo i trattamenti e le cure che cerchiamo ma possiamo promettere che le cercheremo ", è la stessa promessa della scienza. Per questo la scelta del neopresidente americano di abolire i limiti alle ricerche con le cellule embrionali va letta non solo come un' apertura alle staminali, ma come un' apertura alla libertà di ricerca scientifica, che, come ha commentato l' amico Renato Dulbecco su queste pagine, torna a vivere. Questo noi uomini di scienza chiediamo in tutto il mondo: la libertà di ricerca, che è sorella della libertà di pensiero. I freni che le ideologie - o meglio le loro esasperazioni - pongono al pensiero scientifico, sono un' anticamera pericolosa per il più importante dei diritti dell' uomo, e per questo ci inquietano. Non pensiamo noi medici (e biologi, fisici e chimici, astronomi...) che nessun limite debba essere posto alle applicazioni dei nuovi risultati della nostra ricerca, ma chiediamo la possibilità di raggiungere questi risultati, perché la società ne disponga in base alle proprie necessità e i proprio valori, seguendo il principio che "Tutto è concesso all' uso della scienza per l' uomo; tutto è negato all' uso dell' uomo per la scienza". In questo momento la biomedicina mondiale crede moltissimo nei possibili risultati della ricerca sulle cellule staminali embrionali, che sono cellule che dispongono del massimo della capacità generativa e possiedono la caratteristica unica di potersi trasformare in qualunque altro tipo di cellula. A partire da poche decine se ne possono ottenere centinaia di milioni, con le stesse potenzialità iniziali. Per questo sono una grande promessa per la terapia di alcune delle più gravi patologie dell' uomo, in particolare di quelle degenerative come il morbo di Parkinson o l' Alzheimer, o per la sclerosi multipla e la distrofia muscolare. Il loro l' utilizzo in ricerca è tuttavia oggetto di molte limitazioni e di grande dibattito nel mondo perché tocca da vicino il problema dell' inizio della vita ed è del tutto comprensibile l' affanno delle religioni, che considerano la vita un dono e una proprietà di Dio, di voler spostare sempre più indietro e sempre più in là i confini. Esiste però anche una realtà biologica che va considerata e a molti sembra eccessivo decretare che l' uovo femminile fecondato è persona. Un' ipotesi è quella di ritornare alla concezione di Tommaso d' Aquino che identifica l' inizio della vita con l' inizio del pensiero e dunque con il primo abbozzo di sistema nervoso. In attesa di una posizione che possa conciliare la varie visioni, è legittimo però fermare la ricerca che può portare una speranza di vita in più a tutti, di qualsiasi fede, o di nessuna fede? Va chiarito che il problema si è posto da pochi decenni al nostro pensiero, a seguito delle tecniche di lotta all' infertilità, che prevedono la fecondazione in vitro di più ovuli. Alcuni di essi vengono impiantati nell' utero, gli altri in sovrannumero vengono congelati. Il dilemma che molti credenti si pongono è se le poche cellule (visibili solo al microscopio) che formano l' embrione possano essere utilizzate per la ricerca biomedica. Va chiarito che tutti, credenti e non credenti, pensiamo che l' embrione debba essere utilizzato per far nascere bambini. E va anche precisato che nessuno mai ha pensato di "produrre" embrioni per la ricerca scientifica. Tuttavia gli embrioni sovrannumerari, detti anche embrioni "orfani", che come si è detto non sono utilizzati a scopo procreativo e vengono mantenuti congelati, potrebbero essere ragionevolmente utilizzati per creare cellule staminali che potrebbero alleviare le sofferenze di molti malati e in futuro giungere anche a guarire le malattie cronico-degenerative. Quindi ciò che noi medici ricercatori chiediamo è che siano utilizzati per la ricerca proprio le migliaia di embrioni congelati che giacciono nei frigoriferi dei centri per la fecondazione assistita e che sono destinati comunque a morire. Nel nostro Paese, poi, la situazione è ancora più difficile da capire. Si può accettare il divieto di utilizzare a scopi di ricerca gli embrioni destinati alla procreazione; ma la legge italiana vieta anche l' utilizzo di quegli ovuli fecondati umani (si stima siano circa 20.000) che non saranno mai impiantati. Tutti sappiamo che con il passare degli anni sono destinati a perdere la capacità di evolversi in un feto e poi in un neonato. In Gran Bretagna, ad esempio, vengono eliminati dopo cinque anni. D' altronde quale donna accetterebbe di ospitare nel proprio utero un embrione che è rimasto anni e anni congelato, sapendo che tentare una gravidanza sarebbe rischioso per la sua salute e quella del nascituro? Se un embrione perde la capacità di creare un essere vivente, che è il suo fine biologico, non ha più scopo di esistere. Così avviene in natura per milioni di embrioni ogni anno, che non avendo avuto la possibilità di impiantarsi nell' utero, vengono persi con il primo ciclo mestruale. Il suggerimento logico è quello di dirottare l' embrione verso la creazione di cellule staminali, dandogli quindi uno scopo sempre nobile e di alto valore, che è quello di curare quell' infinito esercito di pazienti affetti da malattie degenerative cerebrali, epatiche, cardiache. E resta inoltre "congelata" insieme agli embrioni anche la speranza di vedere sconfitte nelle generazioni dei nostri figli, quelle malattie degenerative che oggi non riusciamo a guarire.

UMBERTO VERONESI

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