lunedì 18 maggio 2009

Madri surrogate a Creta per cinque coppie italiane

Corriere della Sera - 18 maggio 2009

Gravidanze in affitto in una clinica «low cost»

Il gonfiore si vede appena, è una pancia da quarto mese di gravidanza. Il parto è previsto per metà ottobre quando a Chania, sulla costa nord-occidentale di Creta, l'acqua è ancora abbastanza calda da farci il bagno. Il bimbo, che sta crescendo dentro un corpo che non è quello di sua madre, sarà il primo figlio di italiani nato in Grecia con la tecnica dell'utero in affitto: la coppia romana — sui 40 anni, sposata, ceto medio — ha fornito il «materiale genetico», il resto lo fa una madre surrogata. Ma nella stessa clinica di Chania, il Mediterranean Fertility Center & Genetic Services, sono in corso altre quattro gestazioni «italiane»: Creta, ultima arrivata fra le mete di quel turismo procreativo che ha bisogno del ventre di un'altra per un figlio che altrimenti non nascerebbe, sta recuperando terreno in fretta.

La madre in affitto è un tabù che lentamente si va sgretolando. In Italia è vietata e infatti le coppie fuggono all'estero: 100-150 all'anno. Metà si informa, poi si arrende; l'altra metà torna a casa con il figlio. Un dato non statistico, perché di ufficiale in questo settore c'è ben poco, ma raccolto sul campo fra i professionisti che vedono i pazienti prendere la strada d'oltreconfine. In Francia (dove è illegale) si è ricominciato a discuterne con una «guerra» di appelli, pro e contro. L'ultimo, contrario all'apertura, è stato ispirato dalla signora Jospin. In Grecia la legge è del 2005: consentita solo ai greci, i cittadini Ue possono rivolgersi al giudice per ottenere «un'estensione» del diritto. In cambio, debbono prendere casa e restare nel Paese almeno per il periodo della gravidanza. «È importante che la coppia resti vicino alla madre surrogata — dice Ioannis Jacumakis, direttore del Centro dove sono in corso le gestazioni "italiane"—. È difficile accettare di avere un figlio partorito da un'altra, ma se si crea un buon rapporto, è tutto meno complicato».

Il New York Times ha pubblicato il tariffario: 25 mila dollari per una madre surrogata indiana, il triplo se si vuole «giocare» in casa con una madre «di pancia» americana, leggi locali e con il bambino che nasce in un ospedale statunitense. Per gli italiani ci sono da aggiungere i costi della trasferta. «Ho avuto pazienti che hanno deciso di andare in California: ottime garanzie sanitarie e certificati in ordine, con il nome della madre surrogata che non compare sui documenti del bambino», dice Pasquale Bilotta, ginecologo romano della clinica di fertilità Alma Res, una lunga pratica di «uteri in affitto» finché l'ordine dei medici prima e la legge poi non l'hanno stoppato. Il preventivo è 100 mila dollari per un programma. Altrove si spende meno: nell'Est europeo o in Ucraina fra i 40 e i 45 mila euro. I rischi, più che sanitari, sono burocratici: in assenza di leggi che tutelino i genitori «genetici» è possibile succeda di tutto, anche restare impigliati in un giro di ricatti, con avvocati ed agenzie che rilanciano continuamente la richiesta di soldi. «A un mese e mezzo dalla nascita del bambino, c'è una coppia fiorentina che ancora non riesce a rientrare dalla Russia», racconta Bilotta. Ma è Creta l'ultimo indirizzo per gli italiani spaventati dalle tariffe Usa: 9 mila euro per la madre in affitto (la cifra è fissata per legge), 2-3 mila euro per le spese mediche, a cui bisogna però aggiungere il costo degli avvocati, per il ricorso al giudice e del lungo soggiorno nel paese.

La maternità surrogata è un groviglio di incertezze, etiche e giuridiche. Il fatto che ora un'attrice, Sarah Jessica Parker, la Carrie di Sex and the city, decida di ricorrere alla stessa tecnica per la nascita dei suoi gemelli, ha riacceso il dibattito. I blog americani si sono scatenati e i commenti, in genere, non sono teneri. «Dov'è la linea di confine fra il ragionevole e il troppo? — si chiede Lisa Belkin sul New York Times —. Ora che la scienza ha creato apparentemente infiniti modi per diventare genitori, come si fa a capire quando è il momento di fermarsi?». La storia personale dell'attrice ha aggiunto però altra carne al fuoco. Se la pratica fino ad oggi pareva riservata da un pubblico ristretto — coppie gay, soprattutto, oppure donne con seri problemi a concepire — l'utero in affitto sembra diventare la quadratura del cerchio: avere un figlio, ma senza il peso della gravidanza e senza dover mettere fra parentesi la carriera.

Una sorta di seconda rivoluzione sessuale: se la pillola ha liberato le donne dalle maternità indesiderate, l'utero in affitto potrebbe liberarle (non tutte) dalle gravidanze tout court, senza rinunciare ai figli. Alex Kuczynski, giornalista del New York Times, elenca tutto quello che la scelta di una baby sitter biologica — «la donna a cui ho lasciato il mio bambino prima della nascita» — le ha consentito di fare: fino al nono mese (dell'altra) ha continuato a bere birra, a gettarsi con la canoa giù dalle rapide del fiume Colorado, a fare corse di 60 miglia in montagna, «persino a andare al Super Bowl». Fin qui la provocazione, il lato ludico e consolatorio di nove mesi per il resto infiniti. Poi c'è la faccia sporca della transazione: l'ansia da gestire, l'esperienza inedita della totale perdita del controllo, la disistima di sé. «La verità è che volevo essere lei, invidiavo quel suo utero più affidabile del mio», chiude la giornalista. «Le situazioni in cui il problema non è risolvibile se non con l'utero in affitto sono pochissime — dice Enrico Semprini, professionista milanese specializzato in fecondazione assistita —. La contrattistica è molto pesante, la litigiosità ha riempito gli scaffali degli uffici legali statunitensi, e anche gli aspetti psicologici e emotivi sono impegnativi». La differenza con le altre forme di contributo eterologo è enorme, insiste il medico: «Ho ex pazienti che sono andati negli Usa a farlo. Alla fine, ricevo la telefonata e una foto. È una pratica estraniante». «In California la donatrice di utero riceve mediamente 30 mila dollari, poco più di 22 mila euro: chi si lancerebbe in questa impresa se non avesse anche una motivazione, diciamo così, umanitaria? — riprende Bilotta, difendendo la procedura —. Tutto questo parlare di mercimonio mi pare esagerato. Conosco coppie che tutti gli anni vanno negli Stati Uniti a trovare la madre surrogata o la invitano persino in Italia, per Natale».

Daniela Monti

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