venerdì 29 maggio 2009

Embrioni nel caos

L'Espresso - 29 maggio 2009

Dopo la sentenza della Consulta, è scontro tra i centri medici sulle regole per la fecondazione assistita È come se si ritrovassero di colpo all’aria aperta, uscendo da un posto buio dove erano rimasti a lungo. Più o meno devono sentirsi così i medici della procreazione assistita, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha messo decisamente le mani nella legge 40, cancellando prescrizioni odiose come l’obbligo di produrre solo tre embrioni e di impiantarli tutti, riempiendo l’Italia di gemelli e anche di trigemini (3 per cento dei nostri nati contro lo 0,8 per cento della media europea). E che nelle motivazioni ha scardinato l’architrave stessa della legge, cioè la difesa a oltranza dell’embrione, privilegiando invece la donna e la sua salute come aveva fatto la legge sull’aborto. Ma come spesso succede, non a tutti la libertà ritrovata ha fatto lo stesso effetto.
Mentre fra avvocati e pazienti fervevano incontri e convegni all’insegna dell’ottimismo, i medici si dividevano in tendenze diverse. E intanto la sottosegretaria alla Salute Eugenia Roccella, che non si è mai stancata di definire la legge 40 come la migliore possibile, tesseva la sua tela per limitare le aperture. I primi a scendere in campo sono stati due pionieri della procreazione assistita in Italia, Luca Gianaroli e Annapia Ferraretti, responsabili del centro Sismer di Bologna e in prima fila ai tempi dei referendum. Stavolta però i due medici hanno scelto la strada della prudenza. Convinti, al contrarlo di altri specialisti, che le novità della Consulta abbiano reso la legge 40 «difficilmente applicabile in modo non controverso», hanno scritto un protocollo dove in sostanza si stabiliscono delle indicazioni di comportamento: per esempio, contenere al minimo la creazione e il congelamento di embrioni, dotandosi di regole comuni e abbandonare quei parametri solo in casi eccezionali. A queste regole promettono di attenersi i medici che firmano il documento, per assicurare i migliori risultati alle pazienti, ma anche per tranquillizzare chi, nel governo e non solo, guarda con preoccupazione alla moltiplicazione degli embrioni e alle altre novità.
«La sostanza è che non vogliamo strafare. In un periodo storico come questo non si passa da un momento all’altro dal niente al tutto», dice Adolfo Allegra dell’Andros di Palermo, un altro dei promotori. Sottoscritto da una quarantina di centri pubblici e privati sui più di 300 che operano in Italia, il protocollo e l’associazione a cui ha dato vita, Bo 1840, ha sollevato molte diffidenze. Ha infastidito l’incontro che intanto Gianaroli aveva avuto con la Roccella assieme al presidente della società italiana di Ginecologia Giorgio Vittori e a Mauro Costa dei Galliera di Genova. Al punto che Claudia Livi, la presidente dei Cecos, una catena di centri diffusi in tutta Italia, ha scritto alla Roccella per ricordarle che quella piccola delegazione «non era rappresentativa del pensiero degli operatori del settore». Molti di loro infatti, come la stessa Livi nel suo centro fiorentino Demetra, non intendono mettere sotto condizione la libertà che si sono improvvisamente trovati fra le mani. «Non abbiamo bisogno di primi della classe ad indicarci la strada. Ogni donna è un caso diverso e spetta al singolo medico decidere che cosa è meglio fare, dopo averne discusso con la paziente e ottenuto il suo consenso informato», dice Livi, che è già in piena attività. Maggiori le difficoltà negli ospedali pubblici. Ci eravamo dovuti rassegnare a un lavoro dimezzato, per certi aspetti umiliante, mentre negli altri paesi la ricerca andava avanti. Adesso dobbiamo riprenderne le fila, ristrutturare i laboratori, rimettere al lavoro i biologi», dice Guido Ragni del Policlinico Mangiagalli di Milano, assediato dalle richieste di numerose coppie.
E sono proprio i pazienti, riuniti in un’associazione di varie migliaia di persone, la spina dorsale dei centro Hera di Catania, con il suo vulcanico presidente Nino Guglielmino che guida l’ala dei medici più libertari e al protocollo di Bologna preferirebbe un documento molto meno impegnativo. «Da noi c’è un grande entusiasmo, quasi un clima di festa. Torneremo a far nascere un bambino al giorno come ai vecchi tempi», promette Guglielmino. Sono in buona parte suoi pazienti e gli uomini e le donne che via via hanno fatto ricorso in tribunale contro gli aspetti più punitivi della legge 40. E adesso il progetto di Guglielmino è di continuare su questa strada, portando in tribunale altri punti abnormi delle norme: come l’obbligo della donna di farsi impiantare comunque l’embrione una volta che l’ovocita è fecondato, o come la proibizione di ricorrere alle tecniche per i portatori di malattie genetiche se non sono sterili. «Smonteremo un pezzo dopo l’altro quella legge, perché ormai il varco è aperto», promette Gianni Baldini, l’avvocato che per conto dell’associazione Madre Provetta ha portato una coppia fino alla Corte costituzionale.
E intanto si muovono anche le donne infertili, a cominciare dalle turiste della provetta che spesso annullano i viaggi all’estero già prenotati, aumentando il numero da tempo crescente delle richieste. Se infarti il nostro ministero della Salute ha potuto vantarsi delle nascite in aumento nonostante la legge, è dipeso dal fatto che nel frattempo sono cresciute a ritmo accelerato le coppie della provetta, ben 55 mila nel 2007 contro le 43 mila del 2005. Un segnale di quanto l’infertilità aumenti e allo stesso tempo un grande business, che contribuisce al nervosismo di molti centri. Fra le altre novità c’è infatti in arrivo anche in Italia l’applicazione di una direttiva europea sulla conservazione dei tessuti e delle cellule, per cui i centri per la procreazione assistita saranno equiparati a quelli per i trapianti e di conseguenza il livello di qualità richiesto sarà particolarmente alto. Ottima notizia per i pazienti, un po’ meno per vari professionisti del settore, timorosi che in un paese come il nostro ci si possa servire di queste norme anche per mettere in riga i medici meno schierati con chi comanda.
E qui torna in campo Eugenia Roccella, che ha definito le motivazioni della sentenza della Consulta «preoccupanti» e sufficientemente ambigue da fornire a qualche centro l’alibi per avviare pratiche fuori legge». Nel mirino della sottosegretaria, infallibile punto di riferimento del Vaticano e dei teodem, c’è la diagnosi preimpianto, che serve ad evitare la trasmissione delle malattie genetiche ma che secondo il fronte cattolico porterà alla ricerca del bambino perfetto, insomma all’eugenetica nazista. Preoccupata di riconquistarsi uno spazio che è molto diminuito da quando il laico sottosegretario Fazio, con cui erano noti gli scontri, è diventato viceministro della Salute, Roccella dubita anche che la sentenza della Corte autorizzi il congelamento degli embrioni. E così, con un colpo a sorpresa, ha annunciato la nascita di due commissioni, una per controllare che i centri non commettano abusi, l’altra appunto sul congelamento. Tutto questo proprio alla vigilia dell’apertura a Riccione del grande congresso che riunisce per la prima volta tutte le società scientifiche della riproduzione assistita e dove si confronteranno le proposte e gli interrogativi di queste settimane. Un modo abbastanza deciso per far capire a Riccione a chi ancora spetta di dare la linea.

Chiara Valentini

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