Corriere della sera - 18 settembre 2008
Il mio viaggio nell'Italia della 194
Silvia Ballestra: «È in corso una campagna che trascura la realtà». Il lacerante dibattito sulla vita
MILANO - Il titolo, «Piove sul nostro amore» (Feltrinelli, pp. 174, e 14), ripreso com'è da Modugno — Piove: ma piove piove sul nostro amor — farebbe pensare a un romanzo sentimentale riveduto in chiave post-avanguardia, visto che l'autrice è Silvia Ballestra («Il compleanno dell'Iguana», «La guerra degli Anto'»). Invece non è un romanzo. E se di un sentimento si deve parlare, è l'indignazione con cui la scrittrice compie un viaggio nell'Italia del 2008 per vedere se c'è davvero, come dicono i cattolici e i pro life, «un'emergenza legata ai temi della vita, se davvero italiane e italiani si sentono minacciati dal dilagare dell'aborto, dall'abuso della pillola del giorno dopo, dal rischio dell'eugenetica». A 30 anni dalla 194 (promulgata il 22 maggio 1978, confermata tre anni dopo dalla sconfitta del referendum abrogativo proposto dal Movimento per la vita: il 67,9% di no), l'interruzione volontaria di gravidanza funziona: il numero di aborti è dimezzato.
Perché dunque l'indignazione? «Perché — dice Ballestra — è in atto una campagna feroce contro l'aborto, che si prende grandissimi spazi su giornali e tv, e che vede un fronte d'attacco composito che va dal Papa — dai Papi, direi, anche Giovanni Paolo II non ci andava leggero — ai medici obiettori sempre più numerosi, dai movimenti pro life diffusi ovunque fino a Giuliano Ferrara, che ha partecipato alle ultime elezioni politiche con una lista a sostegno della sua proposta di moratoria sull'aborto». Sì, ma la lista Ferrara ha preso solo lo 0,3 per cento dei voti. «È vero. Però, intanto, si è creato un clima di demonizzazione dell'aborto. Si sono usati termini come "assassinio" o "eugenetica", equiparando l'aborto terapeutico previsto dalla legge alle pratiche naziste. Quando, in febbraio, a Napoli la polizia entrò nel reparto di Ostetricia e ginecologia dove una donna aveva fatto un aborto terapeutico perché il figlio concepito era affetto da gravi malformazioni... ». La polizia era stata chiamata da un portantino che denunciava un infanticidio: falso, ma il giudice autorizzò l'invio di una donna poliziotto. Il giornale di Ferrara denunciò quel caso come l'omicidio di un bambino malato, un caso di eugenetica nazista. «È stato uno dei picchi raggiunti da questa ondata anti-abortista. Tutto era cominciato qualche anno prima, con la brutta legge 40 (19 febbraio 2004) sulla procreazione assistita: il riconoscimento dei diritti per l'embrione è un primo passo per togliere diritti alle donne. È chiaro che se quello è un essere vivente con i suoi diritti, chi abortisce è un'assassina. È assurdo, perché la donna e l'embrione non sono esseri indipendenti».
Da allora, ricorda Ballestra nel libro, le donne sono tornate in piazza: nel 2006 con la manifestazione Usciamo dal silenzio, quest'anno per protestare contro i fatti di Napoli. «Le donne a quel diritto conquistato non vogliono più rinunciare. Ma non si può non vedere — dice Ballestra — come gli antiabortisti ormai, giorno dopo giorno, si fanno più insistenti». Proliferano siti pro life che mostrano feti maciullati; nelle strutture pubbliche ci sono sempre più medici obiettori; farsi prescrivere la pillola del giorno dopo («un anticoncezionale, si badi bene — ribadisce l'autrice — che in altri Paesi è in vendita tra i prodotti da banco») è un'impresa; e per la Ru486 («un farmaco abortivo») è cominciato il turismo sanitario.
Indignata contro questo clima («sembra che tutti abbiano dimenticato la differenza sostanziale: i laici non vogliono imporre niente a nessuno, aborti o eutanasia; sono i cattolici che vogliono impedire agli altri di esercitare la propria libertà di scelta»), Ballestra va in giro nell'Italia 2008 raccogliendo storie di donne, di medici, di ospedali, di consultori, di antiabortisti. L'inizio è a Roma, l'8 marzo, con il ricevimento delle donne in Quirinale e il comizio della lista Ferrara a piazza Farnese; prosegue con la descrizione di due riunioni di Cav (Centri d'aiuto alla vita, ormai fortemente presenti anche negli ospedali), una a Magenta e una a Corbetta. A Corbetta parla il professor Mario Palmaro (docente di bioetica della Pontificia Università Regina Apostolorum) che dice che la legge 194 «trasforma un delitto in un diritto» e che contando 4 milioni e 800 mila aborti compiuti dall'entrata in vigore della legge, afferma che i 4 milioni e 800 mila donne che li hanno fatti «sono una bomba atomica antropologica spolverata sulla nostra società».
Ci sono, poi, tre lunghe interviste. Una al professor Francesco Dambrosio, il medico-simbolo della Mangiagalli di Milano oggi in pensione, denunciato nell'88 per gli aborti terapeutici con la sua équipe, assolto nel 2000. Un'altra è con il dottor Silvio Viale di Torino, che usa la Ru486 ed è indagato per «violazione della legge 194». C'è infine un lungo colloquio con la storica Anna Bravo, che in un'intervista alla Repubblica disse: «Tendevamo a sorvolare sul fatto che le vittime erano due, la donna e anche il feto». Scatenando le reazioni di tante che, preoccupate dalla crescente ondata cattolica, le rimproveravano di fare il gioco del nemico. Invece, sostiene la storica, proprio l'aver lasciato in ombra la questione etica ha concesso tanto terreno agli antiabortisti, che oggi si ergono come depositari della morale. Certo, di aborto le donne non parlano molto. Pochi film e libri ne trattano, anche se recentemente due pellicole — l'americano Juno, il rumeno Quattro mesi, tre settimane, un giorno — hanno fatto discutere. Rimane, l'aborto, l'oggetto di confidenze tra amiche, un pegno di complicità. «Nessuna donna — scrive Ballestra — ha mai abortito con leggerezza». Pesa, comunque, il silenzio. Ora soprattutto che i pro life alzano la voce. E magari, dice Ballestra, andrebbe ricordato che i pro choice sostengono la libertà per la donna di scegliere, e la donna può pure scegliere di avere il figlio. Senza forzature altrui, però. Del resto — ed è il tema del bellissimo ultimo capitolo — quelli che gridano tanto di essere «per la vita», che ne sanno davvero della vita?
È il messaggio con cui Betty, infermiera in pediatria all'Ospedale di Padova, invita a visitare quelle corsie «dove si trovano bimbi costretti a una vita di sofferenze ». In molti casi, dice, non c'è stata una diagnosi prenatale, o è stata fatta male. Ci sono i prematuri che vengono rianimati una, due, dieci volte: «A un certo punto, quando i genitori non ce la fanno più, quando il bambino non ce la fa più, lo lasci andare». A Padova, nella Basilica del Santo, dietro la tomba di Sant'Antonio ci sono le foto dei bambini che ce l'hanno fatta; ma anche i biglietti delle mamme che i bambini li hanno persi, ma ringraziano Dio che ha posto fine alle sofferenze di quei poverini.
Ranieri Polese
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