giovedì 18 settembre 2008

Il confine fra vita e morte e i poteri del Parlamento

Da "IL SOLE 24 ORE" di giovedì 18 settembre 2008

La domanda. Un’assemblea elettiva può intervenire su beni di carattere personale?
La sfida. Le nuove tecnologie spingono l’aggiornamento delle regole giuridiche

Chiedersi sei giudici possano essere padroni della vita è fuorviante, perché induce la risposta negativa (sulla quale si è tutti d’accordo) e crea una cortina di sensi confliggenti che non aiutano a comprendere.
Per esempio, esclusi i giudici, vi è qualcun altro che invece (e a ragione) possa essere padrone della vita? Le reazioni di parte politica e delle gerarchie cattoliche alla decisione della Cassazione sul caso Englaro e il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Parlamento italiano sembrano indicare un diverso padrone, il Parlamento quale luogo idoneo a decidere anche sulle questioni di vita. Anche alcuni importanti parlamentari non cattolici dell’opposizione sono dello stesso avviso.

Ma siamo proprio sicuri che il Parlamento possa essere "padrone della vita" dei cittadini? Si ricorderà la vicenda del Parlamento islandese che il 17 dicembre 1998 approvò, a maggioranza, una legge che autorizzava la raccolta e l’elaborazione di campioni biologici e di dati sanitarie genetici dell’intera popolazione dell’isola da parte di imprese private a scopo di profitto (è il caso deCode genetics). Proprio in quell’occasione feci notare come le assemblee elettive, per giunta a maggioranza, non hanno poteri illimitati, perché nessuna teoria della rappresentanza politica comprende la possibilità di cessione a scopo commerciale di beni di natura così personale dell’intera popolazione.
Infatti, per riconoscere allo Stato un potere di cessione di beni così personali bisogna pensare che i cittadini, nel riunirsi in società, abbiano ceduto quei loro diritti. Ma, come ricorda Hobbes nel Leviatano, «il motivo e il fine per cui sono introdotti la rinuncia e il trasferimento del diritto non è altro che la sicurezza della persona riguardo alla vita e ai mezzi per conservarla senza disagi [...] se il sovrano comanda a un uomo (per quanto giustamente condannato) di uccidersi, ferirsi o mutilarsi; di non fare resistenza a coloro che lo aggrediscono; o di astenersi dall’uso del cibo, dell’aria, di una medicina odi qualsiasi altra cosa senza d cui non può vivere, quest’uomo è libero di disobbedire».

Lo Stato non può, quindi, imporre a una persona di «astenersi dal cibo» e, per lo stesso motivo, non può imporgli di «non astenersi», se è sua libera scelta. E il Parlamento non può essere miglior padrone della vita dei cittadini, mentre lo Stato deve farsi carico della protezione della vita dalle aggressioni esterne.

Qualcuno dirà che il Parlamento italiano vuole legiferare proprio a difesa della vita e per impedire che una persona sia privata del cibo e dell’acqua. Ma così svela un altro dei sensi nascosti dalla domanda iniziale, dove attraverso costrutti indiretti e formule impersonali, si cela la vera questione della vita: «di chi» si sta parlando? Sono stati i giudici padroni della vita quando hanno autorizzato la sospensione di idratazione e nutrizione, mentre non lo sono stati quando hanno negato questa possibilità? Oppure sarebbe stato "non padrone" il giudice cha ha negato il diritto di Welby di ottenere il distacco del respiratore, mentre sarebbe stato "padrone" quello che lo ha riconosciuto? Per dire questo (e i giudici lo hanno ripetuto tutte le volte che hanno brandito il diritto alla vita contro le volontà e la personalità di Eluana Englaro o di Welby) bisogna assumere che, nel gran parlare di vita, l’unico che non ha diritto di parola è il diretto interessato.
Mentre è evidente che o si riconosce alla persona della cui vita si sta parlando il controllo delle decisioni sul proprio corpo oppure si fa di quella persona il più misero schiavo. Negare il diritto di rifiutare (anche in anticipo) di essere artificialmente nutriti, come il Parlamento italiano sembra intenzionato a fare a breve, equivale a dire che il Parlamento si è arrogato un diritto che i cittadini non hanno conferito nel loro entrare in società, e cioè il diritto a decidere sui propri corpi.


Amedeo Santosuosso

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