venerdì 5 giugno 2009

Vuole un figlio dal marito in coma. Il giudice dice no

Corriere della Sera - 4 giugno 2009 - Pagina 23

«Non basta il generico desiderio di paternità»

MILANO - Per la scienza si può fare, per la legge italiana ancora no: il Tribunale di Vigevano ha respinto ieri la richiesta della donna che desidera avere un figlio dal marito in coma irreversibile in seguito a un tumore al cervello. «Non è stato possibile ricostruire la volontà dell' uomo di accedere alla procreazione assistita» ha stabilito nel suo provvedimento la presidente del tribunale Anna Maria Peschiera. Il caso era stato presentato come un «bis» di quello di Eluana Englaro: anche a Vigevano, come a Lecco, è stato chiesto di stabilire a posteriori la volontà di un paziente non più in grado di rispondere ad alcuna sollecitazione. Ma mentre per Eluana si trattava di interrompere una vita umana, questa volta ai giudici era stato chiesto l' ok a metterne al mondo una nuova. Il no del Tribunale ha suscitato l' aspra reazione del professor Severino Antinori, il ginecologo che stava seguendo il caso nonché feroce critico dell' attuale legge sulla fecondazione in provetta: «Quella presa a Vigevano è una decisione talebana, che nega un diritto sacrosanto». La richiesta della donna di Vigevano, trentenne di cittadinanza bulgara, da due anni sposata con un impiegato trentanovenne di Vigevano, risale al gennaio scorso. Di fronte alla diagnosi che lasciava all' uomo solo pochi mesi di vita, la donna aveva chiesto che venisse prelevato un campione di liquido seminale e che si procedesse alla fecondazione «in vitro». Il prelievo, effettuato da Antinori nel reparto di rianimazione del San Matteo di Pavia, era stato autorizzato ed era stato nominato come tutore il padre del paziente. Ma la richiesta si era scontrata con le barriere imposte dalla legge 40, quella che regola appunto l' inseminazione artificiale in Italia. Il pm e il giudice tutelare di Vigevano avevano subito mosso due obiezioni: innanzitutto la norma consente di concepire un bimbo in provetta solo se la coppia ha problemi di sterilità (disturbo di cui i due protagonisti della vicenda non soffrivano); in secondo luogo dove essere espressa - sempre in base alla legge - la chiara volontà di entrambi i genitori a fare ricorso alla fecondazione artificiale. «Ma noi eravamo pronti a presentare in tribunale almeno sette testi in grado di confermare il desiderio di paternità del paziente» dichiara Claudio Diani, l' avvocato della famiglia. Quei testi non sono stati ammessi e il tribunale di Vigevano ha dichiarato inammissibile la richiesta proprio perché non basta un generico «desiderio di paternità», ma serve in modo specifico la volontà esplicita di fare ricorso alla fecondazione «in vitro». «Ma questo pronunciamento - tuona da Roma il professor Antinori - non ha tenuto conto della sentenza della Cassazione sul caso Englaro che autorizza anche la ricostruzione della volontà del paziente in coma attraverso testimonianze: mi sembra un provvedimento scritto al di là del Tevere. Ma il vero scandalo è la legge 40, che impedisce alle famiglie in difficoltà di avere dei figli proprio quando il tasso di natalità in Italia è bassissimo». Il provvedimento di Vigevano non chiude però il caso: Antinori si dice pronto a portare all' estero il campione di seme in suo possesso e procedere con l' inseminazione artificiale in uno degli stati che lo consentono; l' avvocato Diani annuncia che presenterà appello. Tempo, in ogni caso, ne resta poco: l' uomo in coma la scorsa settimana ha avuto una forte crisi respiratoria, le sue condizioni vanno peggiorando e in caso di morte ogni procedura dovrebbe interrompersi.

Del Frate Claudio

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