martedì 30 giugno 2009

"Crossing border" per l'Europa. I numeri del turismo procreativo

Repubblica - 30 giugno 2009

Studio su quelle coppie che pur di avere un figlio sfuggono alle legislazioni di casa propria riparando in altre nazioni dove la legge è più permissiva. Molti italiani, ma non solo

AMSTERDAM - Li chiamano "crossing borders" perché in effetti non è che si allontanino molto dai loro paesi. Tutti, però, hanno una cosa in comune: pur di avere un figlio sfuggono alle legislazioni di casa propria riparando in altre nazioni dove la legge è più permissiva ed è consentito ricorrere - è il caso più frequente - a donazioni di ovociti o spermatozoi. Il fenomeno del turismo procreativo, insomma, non è solo italiano e i dati presentati al venticinquesimo congresso dell'ESHRE, la Società europea di Riproduzione umana ed Embriologia, in corso ad Amsterdam, ne sono la prova. "C'è una considerevole migrazione di pazienti entro i confini europei - spiega Francoise Shenfield, dell'University College Hospital di Londra, coordinatore di uno studio effettuato su cliniche di sei paesi europei, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Slovenia, Spagna e Svizzera - una cifra stimata da almeno ventimila a venticinquemila trattamenti. Difficile dire quanti pazienti, perché ogni paziente può ricorrere a più di un trattamento prima di riuscire ad ottenere una gravidanza". Almeno due terzi dei pazienti individuati dallo studio proviene da quattro paesi, il numero maggiore arriva dall'Italia (31,8 per cento), seguono Germania (14,4), Paesi Bassi (12,1) e Francia (8,7). Le ragioni principali per andare all'estero sono per tutti quelle di sfuggire alle leggi di casa propria: è questo il motivo per l'80,6 per cento dei tedeschi, il 71,6 dei norvegesi, il 70,6 degli italiani e il 64,5 dei francesi. Ma molti ritengono anche di poter ricevere all'estero cure migliori. Gioca un ruolo anche l'età delle donne: a fronte di un'età media di 37,5 anni, in Germania e Gran Bretagna l'età è superiore ai 40 anni (addirittura ha più di 40 anni il 63,5 per cento delle inglesi). Quanto allo stato civile, cambia molto a seconda dei paesi di provenienza e mentre le italiane che ricorrono alla fecondazione assistita sono quasi tutte sposate (82%), la media europea è di 69, con un 43,4% di svedesi single e un 50% di francesi conviventi.
Ma che cosa vanno a cercare queste coppie all'estero? La stragrande maggioranza, il 73%, cerca trattamenti di riproduzione assistita (Fivet e Icsi, tecniche di secondo livello), il 22 per l'inseminazione intrauterina, il 4,9 entrambe. "Il 60% circa delle coppie italiane - spiega Anna Pia Ferraretti, membro della task force di ESHRE che studia su scala europea il fenomeno della migrazione riproduttiva - è andata all'estero per donazione di seme, di ovociti e, in minore misura, per la diagnosi genetica pre-impianto. Ma circa il 40% delle coppie è andata via dall'Italia per eseguire trattamenti leciti da noi, ma che credono più efficaci in paesi dove esiste una legge più liberale. In quasi il 50% dei casi, entrambi i partner della coppia erano laureati, a conferma del fatto che la necessità di emigrare crea una discriminazione a livello culturale-economico". Alcuni paesi europei poi si sono, per così dire, specializzati: e così si va in Spagna e nella Repubblica Ceca per la donazione di ovociti, le svedesi vanno in Danimarca per le inseminazioni e le francesi, soprattutto le coppie lesbiche, in Belgio, anche loro per le inseminazioni. Sono aumentate così tanto le donne che vanno in Belgio chiedendo spermatozoi, che nelle banche del seme belghe comincia ad esserci scarsità di deposito. Per quanto riguarda l'Italia, a parte le coppie che comunque continueranno ad andare all'estero per le donazioni di gameti, la situazione sta cambiando, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha modificato di fatto alcune parti della legge 40. "Già adesso c'è una inversione di tendenza - precisa Andrea Borini, presidente dell'Osservatorio Turismo Procreativo - ma la situazione in Italia è ancora poco chiara, ambigua, e molti centri si mantengono sulla difensiva perché temono difficoltà". Eppure la legge è chiara. "La sentenza della Corte Costituzionale - precisa Filomena Gallo, avvocato e presidente dell'associazione di pazienti Amica Cicogna, ad Amsterdam per la nascita di Fertility Europe, associazione europea di pazienti - ha di fatto determinato una nuova applicazione della legge e dunque l'esodo di pazienti dovrebbe subire un brusco arresto. Le coppie possono inseminare più di tre embrioni e possono congelare quelli in più se c'è un rischio per la salute della donna. Inoltre è il medico a decidere caso per caso quali tecniche applicare alla sua paziente". Viaggi della fertilità a parte, all'ESHRE sono stati presentati alcuni studi che probabilmente cambieranno il futuro prossimo della pratica medica: oggi, in particolare, è stato il giorno del Karyomapping, un nuovo test in grado di poter individuare negli embrioni anomalie genetiche, come la fibrosi cistica, e cromosomiche, sia a livello numerico (aneuplodie) che strutturale. Messo a punto da ricercatori inglesi e statunitensi, il test, più rapido di quelli attualmente utilizzati e in futuro anche più economico, dà risultati completi in 3 giorni ma - secondo Gary Harton, direttore scientifico del Genetics & IVF Institute a Fairfax, in Virginia, che lo presentato - i tempi potrebbero contrarsi fino a 18-24 ore. L'obiettivo è arrivare all'uso di Karyomapping in un trial clinico già quest'anno. E poi, se dimostra di funzionare sui grandi numeri, arriverà anche nei laboratori, dove si incrociano scienza e speranze.


ELVIRA NASELLI

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