lunedì 18 gennaio 2010

Legge 40, il giudice e il sottosegretario

Liberazione - 17 gennaio 2010

La confusione di Eugenia Roccella

Cara "Liberazione", e se i nostri governanti, invece di argomentare artificiosamente, facessero un onesto e semplice esame di coscienza? Se prendessero atto che la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita è illiberale, classista, inefficace? Un governo adulto, maturo, deve saper fare soprattutto autocritica, deve saper porre in tempo rimedio alle storture che esso stesso ha determinato. Negli ultimi mesi, la Consulta ha cominciato a smontare pezzo per pezzo la restrittiva e assurda legge sulla fecondazione assistita. E' vero, il Parlamento ha regolarmente e maldestramente legiferato su una pregnante e vitale questione eticamente sensibile: ciononostante, in un Paese democratico, è pienamente legittimo che titolati giuristi intervengano per aggiustare, per migliorare parzialmente una normativa (quella del 2004) che fa acqua da tutte le parti. In questi giorni, con coraggio e con ragionevolezza, un giudice del tribunale di Salerno ha concesso ad una coppia fertile e malata, in controtendenza con i pronunciamenti della legge 40, la possibilità di poter accedere alle tecniche di diagnosi genetica preimpianto. Nella mucosa uterina della futura mamma potranno essere impiantati solo gli embrioni "sani", senza che essa corra il rischio di trasmettere al neonato l'atrofia muscolare spinale di tipo I, una terribile malattia che in breve tempo fra laceranti sofferenze conduce a morte. Nell'Italia delle improduttive diatribe, incentrate su un controproducente e mortifero bipolarismo etico, succede che il sottosegretario con delega ai temi bioetici del governo Berlusconi, Eugenia Roccella, confonda malamente acquisizioni di eccellenza della genetica e della biologia della riproduzione con la nefasta "eugenetica" (che è davvero altra cosa). Sconcertano veramente le parole estremistiche della Roccella: «E' una sentenza gravissima. Così si introduce il principio che la disabilità è un criterio di discriminazione rispetto al diritto di nascere». Se la donna, in piena autonomia e consapevolezza, decide di farsi impiantare un embrione "non malato" non commette alcun reato, non compie alcuna discriminazione, non viola alcuna norma morale. Oltre al diritto di nascere, dovrebbe valere un diritto di vivere, magari una esistenza senza tormenti e tribolazioni estreme. Il sottosegretario dovrebbe spigarci, soprattutto, la contraddizione colossale delle nostre normative, che garantiscono l'aborto terapeutico eventualmente anche fino al sesto mese, epperò vietano tassativamente una normalissima e benedetta selezione embrionale, che è routine in tanti altri Paesi civili.

Marcello Buttazzo - Lequile (Le)

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