venerdì 8 agosto 2008

«Troppo vecchia», niente fecondazione

Il Secolo XIX - 8 agosto 2008

GENOVA - «Al centro di fisiopatologia della riproduzione del San Martino, dopo mesi di esami, siamo stati liquidati dicendoci che per la mia età e per alcuni problemi, risolvibili però, del mio compagno l’ospedale non poteva aiutarci visto che la percentuale di successo nel nostro caso sarebbe stata molto bassa». Serena ha 41 anni, il suo compagno 8 di meno, da 2 stanno inutilmente cercando di avere un figlio. Pensavano che la soluzione ai loro problemi fosse all’ospedale San Martino, si sono sentititi dirottare verso le case di cura private. «Siamo stati trattati come numeri - denunciano ora - siamo stati scaricati perché il nostro caso sarebbe stato negativo per le loro statistiche». Ma c’è una frase che li ha indispettiti più della freddezza dei numeri: «La dottoressa ci ha consigliato che se volevamo cominciare un ciclo di inseminazione, avremmo dovuto sbrigarci, ma avremmo dovuto farla privatamente». Serena e il suo compagno non immaginano neppure di essere vittime di quello che la legge 40 sulla procreazione assistita non dice e che la Regione Liguria non ha ancora regolamentato, ovvero fino a che età una donna nel suo desiderio di maternità può essere sostenuta dal Servizio sanitario pubblico.

All’inizio la storia di Serena e del suo compagno è simile a quella di moltissime delle circa 1000 coppie liguri che ogni anno si rivolgono ai centri specializzati nella procreazione assistita. A Genova sono tre: due pubblici, il Galliera e il San Martino, ed uno privato. In tutto riescono a soddisfare circa la metà delle richieste, circa 500 cicli di terapia per la fecondazione in vitro (Fivet) e quasi il doppio di inseminazioni artificiali (tecnica molto più semplice, considerata di approccio per le coppie con problemi meno gravi). Serena si era rivolta, su consiglio del suo ginecologo, al centro del San Martino. Mesi di esami, poi il 15 luglio il colloquio definitivo con la responsabile del centro, Paola Anserini. Da quell’incontro, Serena esce con una risposta negativa: il San Martino non la sottoporrà alla terapia per la fecondazione in vitro. A parte la lista di attesa di quasi un anno, Serena avrebbe avuto pochissime probabilità, meno del 10%, di restare incinta. «Dopo essere stata cacciata in malo modo dal San Martino, mi sono rivolta a Novi: mi hanno trattato benissimo e sto per cominciare un ciclo di trattamento. Non capisco perché se la legge non pone un limite di età, sia l’ospedale a farlo arbitrariamente» prosegue la sua denuncia.
«È vero che la legge 40 non stabilisce un limite di età per la procreazione assistita, ma - spiega Paola Anserini - l’accesso alle tecniche è subordinato al parere del medico che può decidere di negarle per motivi medico sanitari». Tra questi ci sono circostanze gravi come le malattie sistemiche, patologie aggravate dalle terapie ormonali o un elevato indice di massa corporea: «Ci sono troppi rischi». Poi c’è la questione anagrafica: «L’età della donna è l’indice prognostico più importante nella terapia dell’infertilità. A 40 anni la percentuale di riuscita è del 10% -conclude Anserini - che non supera il 3,4% dopo i 42 anni. Considerando che il tasso di abortività è di circa il 50%, la percentuale di coppie che riescono ad avere realmente un bimbo in braccio è vicino all’1%. Se nel counselling consigliamo alle pazienti più anziane di rivolgersi ad un centro privato è perché la rapidità di intervento aumenta le chances».

Età e percentuali sono alla base delle linee guida di molti paesi in cui il servizio sanitario pubblico sostiene la donna solo fino a 42 anni. Linea che, in Italia, è stata sposata dalla Toscana dove i 42 anni e i tre cicli di trattamento sono il tetto massimo per gli ospedali pubblici. «In Liguria questa discussione è aperta da due anni - sostiene Mauro Costa, responsabile del centro del Galliera - ma la decisione non è ancora stata presa, così i medici vengono lasciati da soli a spiegare alle coppie per quali motivi non possono accedere ai trattamenti. Senza contare che se ci fosse un regolamento di questo tipo la Regione risparmierebbe moltissimo: sono centinaia le coppie che si rivolgono, ad esempio, ai 58 centri lombardi». In Lombardia vengono accolte a braccia aperte, a qualunque età. Anche perché a pagare il conto è la Liguria.


Alessandra Costante

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