giovedì 15 aprile 2010

Creati 80 embrioni con il Dna di tre genitori

Corriere della Sera - 15 aprile 2010

L’esperimento di Newcastle su «Nature». Annullata una malattia ereditaria

La via della terapia genica (su cui si lavora da anni senza mai una sicurezza definitiva) sembra vicina all’essere superata. Almeno per quanto riguarda alcune malattie ereditarie. Basta «creare» un embrione con tre Dna. Il laboratorio dell’università di Newcastle, nel nord della Gran Bretagna, vi è riuscito. Già nel 2008, come riportato dal Corriere della Sera, aveva messo a punto la tecnica arrivando a 10 embrioni, vitali per sei giorni, con due Dna femminili e uno maschile. E senza l’espressione della malattia ereditaria legata al solo Dna mitocondriale della madre perché annullata dal Dna mitocondriale della cellula uovo di una donna sana. In questo ovulo «svuotato» del nucleo centrale (il patrimonio genetico completo) era stato inserito sia il nucleo dell’ovocita materno sia quello paterno.

E lì era stata avviata la fecondazione dell’embrione sano. Gli stessi ricercatori, guidati da Douglass Turnbull, hanno affinato la tecnica e sono arrivati a 80 embrioni, fatti sviluppare e vitali per sette giorni. L’aspetto importante è che, se impiantati, sarebbero andati avanti nello sviluppo. Tecnica riproducibile, e quindi fattibile anche in altri centri, e subito oggetto di una pubblicazione sulla rivista scientifica Nature. L’embrione con tre genitori colpisce la fantasia, in realtà sarebbe sbagliato definirlo così perché la frazione genetica donata non ha nessuna influenza sullo sviluppo di un bambino. Se non quella di assicurargli mitocondri sani. E quindi di annullare all’origine la malattia di cui altrimenti sarebbe affetto fin dalla nascita. Anche se i Dna sono tre, quindi, i genitori restano comunque due perché il Dna mitocondriale, con appena 37 geni, costituisce davvero una frazione piccolissima, rispetto ai circa 23.000 geni contenuti nel Dna del nucleo.

La ricerca condotta a Newcastle, nel più noto «covo» di manipolatori di embrioni al mondo, nel Life Science Center, è finanziata dall’associazione britannica per la lotta alla distrofia muscolare (Muscolar distrophy campaign), dal Medical research council e dal Wellcome Trust. Conferenza stampa obbligata per Douglass Turnbull, divulgata in rete da Nature: «Il mio grande interesse e l’obiettivo di questa ricerca - ha spiegato il ricercatore inglese - sono i pazienti colpiti dalle malattie mitocondriali, ‘trasmesse dalla madre al figlio. E che sono molto numerose». E ha continuato: «La novità del nostro lavoro è nel fatto che, nonostante siano stati utilizzati due ovociti, si ottiene un pronucleo (ossia un ovocita nel quale il Dna paterno e materno non si sono ancora fusi) come in un normale intervento di fecondazione assistita. In altre parole, siamo ora in grado di prevenire la trasmissione delle malattie mitocondriali. Abbiamo dimostrato l’efficienza della tecnica e questo è molto importante per i pazienti». Va bene.

Ma quanto tempo ci vorrà per trasferire la tecnica nella pratica? E qui Turnbull tradisce emozione ed entusiasmo: «Tre anni. Si può arrivare alla pratica clinica nell’arco di tre anni». Ottimista? In ogni caso, gli esperti ritengono questo risultato un enorme progresso nella lotta alla trasmissione delle malattie mitocondriali. Queste oggi sono la più comune causa di malattie genetiche e mutazioni del Dna mitocondriale sono rilevate in un nato vivo su 250. «Questa tecnica è molto interessante - afferma Giuseppe Novelli, genetista dell’università Tor Vergata a Roma - perché potrebbe permettere a una persona portatrice di una malattia terribile, che non ha nessuna possibilità di diagnosi preimpianto, di avere un figlio sano». E aggiunge: «Non è una tecnica nuova, era già stata provata su delle scimmie. Ma a Newcastle sono passati all’uomo. E questo è il passo fondamentale».

Mario Pappagallo

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