domenica 21 dicembre 2008

Tutti i 'no' di papa Benedetto

Repubblica — 14 dicembre 2008 pagina 25 sezione: DOMENICALE

CITTA' DEL VATICANO L' autunno di papa Ratzinger si presenta con un rosario di no. Il presidente Sarkozy lancia a nome dei paesi dell' Unione europea la proposta di una risoluzione dell' Onu per depenalizzare l' omosessualità nel mondo? Il Vaticano si oppone. Ventiquattr' ore dopo la Santa Sede comunica anche il rifiuto di firmare la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili, perché nel documento c' è un paragrafo riguardante la «salute riproduttiva», cioè l' aborto legale e sicuro. Ed è fresca di pubblicazione una nuova Istruzione del Sant' Uffizio che intreccia una corona di veti. Niente ricerca sulle cellule staminali embrionali, niente fecondazione in vitro, niente utilizzazione degli embrioni congelati, niente selezione degli embrioni da impiantare nell' utero di una donna anche a rischio di far nascere un bimbo gravemente malato e destinato a morire. No, no, no. Naturalmente dal Palazzo apostolico verrà poi la spiegazione che la Santa Sede non si schiera dalla parte dei novantuno Paesi nei quali l' omosessualità è reato (punito con il carcere, la frusta o la morte). «Occorre ribadire con chiarezza - afferma la Radio vaticana - che la Chiesa sostiene la depenalizzazione dell' omosessualità ma è contro l' intenzione di porre sullo stesso piano ogni orientamento sessuale». Ma l' affanno nell' aggiustare il tiro tradisce la falsa partenza. è sintomatico che alla pubblicazione del documento Dignitatis Personae, fitto di proibizioni in tema di fecondazione e di ricerche scientifiche sugli embrioni, il portavoce vaticano padre Lombardi abbia sentito l' esigenza di diffondere una dichiarazione preventiva: «Il nuovo documento sulla bioetica può dare, a una prima lettura superficiale, l' impressione di essere una raccolta di divieti~». è esattamente questo che l' opinione pubblica percepisce. Valeria, una giovane madre che ha visto il suo bimbo morire per atrofia muscolare spinale (Sma) di primo grado, non sa che fare con un testo che vieta la diagnosi pre-impianto, bollata come pratica «eugenetica». Valeria, cattolica, può raccontare solo che il bimbo è nato in primavera con una difficoltà crescente e inesorabile a deglutire e una domenica di dicembre papà e mamma l' hanno visto «diventare nero, nero... Per un pochino il cuore ha continuato a battere, poi si è spento». Chi dice che un grumo di cellule ha un' esistenza come un bambino nato, dice Valeria, «dovrebbe trovarsi di fronte a un bambino che gli muore davanti, e accanto avere una piastra di coltura con degli embrioni. E forse comincerebbe a chiedersi se il diritto alla vita non sia anche il diritto a non nascere di persone che sono destinate solo a morire». Tre anni di pontificato di Joseph Ratzinger trasmettono all' opinione pubblica l' immagine di una Chiesa e di un pontefice perennemente arroccati. Non è ciò che Benedetto XVI vorrebbe. La missione che si è posta, racconta un suo intimo, è di «tutelare l' integrità della fede e trasmettere che il cristianesimo è gioia». Dei due obiettivi, il secondo non arriva alla gente. Prevale l' immagine di una difesa di princìpi che raffredda il cuore delle persone in carne ed ossa. Sbagliato è paragonarlo a Pio XII. Papa Pacelli, pur nella visione di una Chiesa che tutto giudicava e tutto sapeva, era un modernizzatore. Basti ricordare il suo discorso alle ostetriche, in cui sdoganava per la Chiesa cattolica il parto indolore, o le prime autorizzazioni a celebrare la liturgia nelle lingue nazionali in Francia e in Germania. Il pontificato di Ratzinger è fermo. Da anni il pontefice tiene nel cassetto una riforma delle nullità matrimoniali, che darebbe ai vescovi la facoltà di sciogliere il vincolo, risolvendo la situazione di milioni di cattolici divorziati e risposati che non possono accedere all' eucaristia. Nessun cambiamento notevole si è registrato al Sinodo per dare una reale partecipazione all' episcopato mondiale nel governo della Chiesa. E dinanzi all' enorme crisi di vocazioni il Papa non si decide ad affrontare il nodo dei «viri probati», l' ordinazione sacerdotale di uomini sposati, maturi e di provata moralità. Più che a una transizione il pontificato assomiglia ad una grande pausa. Aveva esordito Ratzinger nella Cappella Sistina, appena eletto, proclamando che era sua «ambizione e impellente dovere» lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della «piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo». Tre anni dopo, a Sidney, annuncia che l' ecumenismo è arrivato a «un punto critico» e la strada verso l' unità «resta ardua». Anche gesti emozionanti come la preghiera insieme al gran muftì turco nella Moschea blu di Istanbul sono rimasti senza seguito. Anzi, poche settimane fa, è arrivata la gelata con la lettera di Benedetto XVI a Marcello Pera, in cui il pontefice mostra di aderire all' idea che un «dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile», mentre c' è spazio solo per un «dialogo interculturale». Con ciò riducendo drasticamente la potenzialità del rapporto tra ebrei, cristiani e musulmani che credono nello stesso Dio di Abramo. Al dunque, le uniche due riforme varate nel regno ratzingeriano sono il ripristino universale della messa preconciliare in latino e il cambiamento delle uniformi della gendarmeria: ora la vigilanza, con i kepì di tipo francese, ha di nuovo un aspetto più militaresco. Giovanni Miccoli, storico, commenta che il pontificato di Ratzinger si rivela ricco di dichiarazioni, ma «povero di fatti». Non è tanto questione di linea dottrinale (uguale a quella di Wojtyla), spiega, quanto di un' insufficiente capacità di parlare al mondo e di avere presa sulla situazione planetaria, come invece riusciva a fare Giovanni Paolo II. Per non dire che sul piano interno della Chiesa viene propugnata una «visione minimalista del Concilio», tutta all' insegna della continuità. Già il linguaggio di tanti documenti è arcigno e di sapore antico. Gianni Geraci, animatore del portale cattolico gay Gionata, riferendosi alle polemiche vaticane sull' iniziativa di Sarkozy all' Onu, sostiene che basterebbe poco per dire le stesse cose in modo da non ferire. «Un conto - dice - sarebbe invitare gli omosessuali alla castità, respingendo subito ogni condanna penale e repressione del loro orientamento. Un conto è mettere in prima piano l' affermazione che non sono paragonabili agli eterosessuali. è questo che colpisce». è come se ci fosse, soggiunge, costantemente l' ansia di voler «pulire» la dottrina da interpretazioni che la possano «sporcare». Resta da capire fino a che punto Ratzinger voglia realmente entrare in comunicazione con l' opinione pubblica. Il rapporto con i mass media è imprescindibile nella società contemporanea qualunque sia la linea perseguita. Che sia un Reagan o un Obama, un leader deve saper parlare al suo popolo e servirsi della stampa. Benedetto XVI la tiene a distanza. Mentre in Wojtyla era chiara l' intenzione di usare i media, recandosi durante i trasferimenti in aereo - lui - al posto di ognuno dei giornalisti al seguito dei suoi viaggi, Ratzinger si ferma a distanza concedendo la risposta a cinque domande già filtrate. Se incontra reporter durante le sue vacanze, le prime parole che affiorano sulle sue labbra sono «Grazie, niente domande». Così si crea uno schermo, che l' opinione pubblica ha percepito da tempo. è impressionante, da giornalista, sentirsi chiedere ancora tre anni dopo l' avvento di Benedetto XVI la stessa frase da tanti uomini e donne diversi: «Mah, com' è questo papa?». Un interrogativo che tradisce mancanza di sintonia. Commenta il professor Mario Morcellini, grande esperto di comunicazione, che Ratzinger ha iniziato giustamente il pontificato evitando di imitare il suo predecessore: «Ma ora appare in difficoltà a rompere il guscio comunicativo e ad entrare in contatto con le masse». è un fatto intenzionale, si chiede Morcellini? Dipende dai media? Dalla stampa non dipende certo il fatto che in Messico siano comparsi dei ciondoli su cui è scritto «Juan Pablo, non sai quanto ci manchi». Per molti credenti o anche non credenti Ratzinger non riesce a rompere la lastra di cristallo per arrivare a "toccarli" direttamente. Non aiuta neanche il recupero di paramenti trionfalistici di altre stagioni o la croce di Pio IX, che ha sostituito il pastorale con il Cristo sofferente portato da Paolo VI e Giovanni Paolo II. Eppure il papa tedesco è bifronte. Quando pronuncia l' omelia in una parrocchia o in una cerchia in cui si sente a suo agio, Benedetto XVI dimostra una sorprendente capacità di coinvolgimento e anche una grande tenerezza. Il cardinale Paul Poupard, uomo di lettere, lo descrive come una personalità in grado di trasferire «con stupenda semplicità ai fedeli la sua grande intensità di meditazione delle Scritture». Chi ha letto il suo libro su Gesù, sa che Benedetto XVI nell' illustrare il Discorso della Montagna, la Parabola del Samaritano o i passaggi chiave del Padre Nostro può essere trascinante. Alla messa dei malati di Lourdes, nel settembre scorso, le sue parole sul «sorriso di Maria» e sulla presenza di Cristo che «entra» nell' isolamento e nella crudele sofferenza di chi è piegato dal morbo, ha commosso profondamente l' uditorio. In questo senso egli è un grande predicatore e non solo un importante teologo. Ma nei confronti del vasto pubblico, quella folla planetaria dove si mescolano indistintamente credenti e diversamente credenti, il gap rimane. è calata anche l' attrazione che nel primo anno di pontificato aveva portato alle cerimonie e alle udienze papali più fedeli di quanto ne venissero negli ultimi anni del pontificato di Wojtyla. Se il primo anno del regno di Ratzinger i pellegrini erano stati oltre quattro milioni, per il secondo anno la Prefettura della Casa pontificia ne ha registrati tre milioni e trecentomila. Mentre per tutto l' anno 2007 i fedeli sono stati due milioni e ottocentotrentamila.

MARCO POLITI

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