domenica 29 giugno 2008

"Una fuga per non essere giudicate"

La Stampa - 29 giugno 2008

Chi sta partendo e chi è appena tornato: «Abbiamo fallito», «Ne vale la pena»

Io ho bisogno di parlare con qualcuno che non mi giudichi. Sono esausta di raccontare balle e mezze verità per evitare parole e prediche che non voglio ascoltare. Tra poco affronterò la mia prima Fivet, e se Dio vorrà riusciremo a produrre tre embrioni». Nella sensazione pesante di Marina c’è «la paura di sperare troppo, perché non c’è emozione più desolante di aver timore di un sentimento così positivo». Nella sensazione delle donne che non accettano una legge che consente di utilizzare solo quei tre embrioni c’è, in più, il disagio e il peso fisico e psicologico di dover «fuggire» all’estero per cercare la vita. Affrontare un viaggio che è comunque un punto interrogativo. E investire molto, non solo emotivamente: spendere per una clinica privata, spendere per un viaggio di andata e ritorno, e spendere per un soggiorno che potrebbe ripetersi, se l’impianto non si tradurrà in gravidanza e si dovrà ricominciare da capo. Ormai l’elenco dei centri esteri è su Internet. Ovunque. Bene ordinato sul sito www.cercounbimbo.it oppure suggerito da mamme felici ad aspiranti-mamme in crisi nei tanti forum dedicati alla procreazione assistita. Ci sono prezzi e giudizi sulle strutture, pareri sulla cortesia del personale. Proprio come fossero hotel o villaggi turistici. «E invece è un calvario a cui questo nostro Stato falso e bigotto obbliga migliaia di donne che sperano soltanto di poter diventare mamme e papà», sbotta Maria, 35 anni e un marito di 40 con astenospermia. Partiranno fra dieci giorni per l’Istituto Marquèz, in Spagna.

Il dolore
«Figli proibiti», li chiama qualcuno, caricando dolore sul dolore di chi non pensa affatto di compiere un gesto sbagliato, ma vuole soltanto avere una possibilità in più. «Avevamo deciso di andare all’estero per non sprecare i miei ovociti e per poter congelare gli embrioni. Avevamo deciso di affidarci a Bruxelles perché lì sono capaci di trattare gli spermatozoi con anticorpi. Siamo tornati senza aver congelato nulla e con soli due embrioni arrivati in terza giornata. Non è così che doveva andare, non è giusto. E il dubbio di come continuare, il dubbio se è giusto spendere tutti i nostri risparmi per un figlio che forse non arriverà, o arriverà e ci troverà sfiancati, moralmente ed economicamente, dalla sua ricerca», scrive Damabianca su un blog. Rossella, invece, non ha dubbi: non demorderà, pagherà, e se dovrà viaggiare viaggerà: «Io e mio marito - racconta - tra convivenza e matrimonio abbiamo dieci anni di vita assieme. Circa otto anni fa, dopo un anno di tentativi falliti, iniziammo l’iter diagnostico, cominciando da lui, visto che era l’esame più semplice. Passarono gli anni durante i quali tentammo con la medicina cinese e quella tibetana e si sperava ogni mese nel miracolo. Facciamo il primo tentativo un anno fa al San Raffaele di Milano. Il secondo al centro Promea di Torino. Terzo tentativo tra breve, se questa legge ci permetterà ancora di farlo decentemente in Italia. Altrimenti emigreremo». Chi cerca un figlio ad ogni costo e guarda all’estero trova nell’anonimo passaparola della Rete non solo un indirizzo, ma anche la forza di andare avanti: «Mia cognata è a caccia da 8 anni e ha tentato già diverse inseminazioni e due Fivet in Italia, andate tutte male. Si è rivolta a un centro in Spagna conosciuto tramite una trasmissione su Rai3. Costo 25 mila euro: comprende tre cicli di Fivet con impianto di cinque embrioni. In più loro congelano gli embrioni che avanzano per poterli riutilizzare eventualmente il prossimo ciclo. Dicono che la probabilità di riuscita di ottenere una gravidanza è del 90 per cento».

I dubbi
Qualsiasi viaggio della speranza è una sofferenza in più, anche per questo la Legge 40 è stata subito contestata. Emerge chiaro, nelle parole di ogni donna, di ogni coppia rassegnata con la valigia ormai pronta: «Me lo sono chiesta tante volte e spesso me lo hanno chiesto: vale la pena fare tutto questo? Stimolazioni, esami, ecografie che portano stress, illusioni e rabbia. Vorrei urlare a tutti i sostenitori di questa Legge 40, a coloro che l’hanno confermata e a coloro che se ne sono fregati, che non hanno capito nulla: noi la vita la amiamo e la vogliamo creare». «E’ proprio una vergogna che l’Italia sia così tanto ignorante», accusa Betty. «E’ così tremendo desiderare un figlio?», domanda Federica, trentadue anni, che ad ogni incontro col nipotino di nove anni sogna il figlio che non ha potuto avere ma desidera ancora: «So che all’estero, oltre a non esserci limitazione del numero di ovuli da fecondare in coltura si aggiunge la possibilità di congelare gli embrioni». Sta facendo i conti per capire quando potrà partire anche lei, come tante donne. Per Sabrina, trentacinque anni, andare all’estero invece non è solamente un modo per superare il limite per legge di ovociti utilizzabili: «Sono portatrice sana di un malattia genetica e non voglio che mio figlio soffra quello che sta attreversando mio fratello. Desidero che prima dell’impianto ci sai un analisi sull’embrione per non ricorrere all’aborto dopo un eventuale diagnosi di malattia».

MARCO ACCOSSATO

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