martedì 20 dicembre 2011

Inchiesta sulla fecondazione Arrestato il primario di Pieve

Corriere del Veneto - 20 dicembre 2011

Ai domiciliari il ginecologo Carlo Cetera. Il medico è considerato un luminare. Aveva seguito la prima «mamma-nonna». Contatti sospetti con una coppia

PIEVE DI CADORE (Belluno) — È stato arrestato ieri, nel primo pomeriggio, il primario della Divisione di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Pieve di Cadore, Carlo Cetera, originario di Cittadella. Da qualche giorno gli uomini delle Fiamme Gialle del nucleo di polizia tributaria del comando di Belluno si aggiravano tra i reparti del nosocomio in cerca di documentazione. Le indagini sono culminate lunedì, quando è stato firmato il mandato di arresto del sostituto procuratore Antonio Bianco, che cura l’indagine, e sono scattati i domiciliari. Stando alle pochissime indiscrezioni trapelate, l’indagine riguarda il settore dei reati contro la pubblica amministrazione e la tutela della spesa pubblica: pare sia ipotizzata la concussione e che siano coinvolte anche altre strutture esterne. Sono ancora limitati i dettagli dell’operazione della Guardia di Finanza, ma sembra che il dottor Cetera sia scivolato in richieste di denaro per anticipare una prestazione nel campo della procreazione assistita.

Come siano andate veramente le cose non è dato sapere, per ora. Si tratterebbe, in ogni caso, di una segnalazione alla quale sarebbe seguita una denuncia. Una delle ipotesi circolate ieri, riguarda una coppia che si sarebbe presentata per chiedere di anticipare la lista d’attesa per la fecondazione artificiale, forse non andata a buon fine. E pensare che, per Carlo Cetera, queste dovevano essere le ultime settimane nell’ospedale di Pieve di Cadore. Dal 7 gennaio il medico doveva prendere servizio a Piove di Sacco. Il primario è molto conosciuto soprattutto nell’ambiente della procreazione assistita. Nel 2009 curava perfino una rubrica on-line chiamata «Le risposte di Carlo Cetera» nel sito «Qui mamme, il portale delle mamme». Nell’ottobre scorso era salito agli onori della cronaca per aver inseminato artificialmente una donna che a quarant’otto anni ha partorito il suo secondogenito. Il caso venne descritto come eccezionale, perchè non coinvolse l’ovodonazione e soprattutto perchè il secondogenito nacque da un unico ovocita congelato dopo il primo parto.

In quel periodo la giunta regionale approvava all’unanimità la delibera che, unica in Italia, ha alzato l’età della donna da sottoporre a fecondazione artificiale in regime di livelli essenziali di assistenza (paga solo il ticket) da quarantatré a cinquant’anni. «È un problema serio — aveva commentato Cetera in un’intervista —. Ogni giorno riceviamo telefonate da aspiranti madri cinquantenni che vivono in ogni parte d’Italia, che confidano in un’ultima chance. Ma sono false illusioni: a quell’età di solito si va incontro alla menopausa e poi i centri pubblici hanno liste d’attesa di due anni e mezzo, quindi le signore in questione vi accederebbero a cinquantatré. Ovvero dieci anni dopo il termine ultimo consigliato dalla letteratura scientifica per affrontare la fecondazione assistita». Come a dire, a quell’età si può fare ma solo in rari casi. Consigli di un medico al quale finora hanno guardato con speranza centinaia di coppie che non riuscivano ad avere figli. E qualcuna di loro, forse, pur di averli è stata disposta a pagare.

R.B.

giovedì 8 dicembre 2011

Il social-freezing anche in Italia

Corriere della Sera - 8 dicembre 2011

Ovociti congelati per posticipare la maternità. A San Marino nasce la prima banca di conservazione: costerà 3.000 euro

Conservare in banca la fertilità congelando ovociti giovani e sani da utilizzare negli anni successivi, per posticipare la maternità. Il ricorso al social freezing, cioè il congelamento dei gameti femminili da parte di donne senza malattie ma desiderose semplicemente di ritardare i progetto di allargare la famiglia, è già molto diffuso negli Stati Uniti. Esigenze di carriera o la mancanza di un partner stabile col quale realizzare il sogno di avere un bambino inducono le donne a rimandare il momento di diventare mamma. Col rischio che, superati i 35-40 anni, debbano rinunciare alla gravidanza perché il concepimento diventa statisticamente più difficile.

LA BIOBANCA - In questi casi la possibilità di mettere da parte le proprie cellule riproduttive può costituire un buon compromesso. A San Marino, presso il Bioscience Institute, è stata aperta la prima biobanca su territorio italiano espressamente dedicata alla crioconservazione di ovociti per uso personale. Dunque un’impostazione ben diversa da quella di un centro di procreazione assistita, riferimento per donne già infertili o con malattie tumorali da trattare con cure che potrebbero compromettere la fertilità. Social freezing è il termine anglosassone col quale si definisce la pratica di congelamento dei gameti femminili da parte di «clienti» giovani per un impiego futuro. L’età migliore per mettere da parte cellule di buona qualità è tra i 25 e 30 anni. Dopo i 35 infatti la prospettiva di portare a termine con successo una gravidanza e avere un bambino si allontana.

LA DURATA DELLA FERTILITA' - La giovinezza procreativa femminile ha breve durata. Se a 23 anni ogni ovulazione si trasforma in gravidanza nel 28% dei casi, a 39 anni la percentuale scende al 14% per assottigliarsi fino al 12% a 40 anni. Superata questa soglia le difficoltà aumentano e quando non si riesce ad avere un figlio l’unica alternativa è affrontare cure di fecondazione assistita con ridotte possibilità di successo.

LA BANCA DI SAN MARINO - A San Marino una procedura di social freezing (prelievo degli ovociti, bancaggio e un anno di conservazione) costerà 3 mila euro contro costi ben più alti negli Stati Uniti (12mila), Canada (6 mila-8.500), Regno Unito (4mila). Oltrettutto in cambio di queste tariffe non sempre vengono garantite tecnologie di massima sicurezza. Quando lo riterrà opportuno la proprietaria richiederà i propri ovociti e avviare un percorso di fecondazione artificiale col vantaggio di avere a disposizioni cellule giovani. «E’ un'opzione in più per la donna – dice Andrea Borini, società italiana di fertilità e sterilità e medicina riproduttiva – La donna può essere costretta a rinviare la maternità per motivi sociali e questa è una strada per non rinunciare del tutto. La tecnica di crioconservazione e scongelamento degli ovociti anche se ritenuta ancora sperimentale garantisce buoni risultati». Per motivi etici il Bioscience Institute non accetterà clienti che abbiano superato i 40 anni.

Margerita De Bac

sabato 26 novembre 2011

Ai figli della provetta bisogna dire la verità

Repubblica - 26 novembre 2011 — pagina 17 sezione: CRONACA

ROMA - Svelare il segreto, dire la verità. Anche se è difficile, controversa, a volte così complicata che il silenzio sembra la strada più semplice. Ai bambini nati con la fecondazione eterologa bisogna raccontare come sono venuti al mondo. E cioè che una parte del loro essere non "discende" geneticamente dalla mammao dal papà, ma dal seme o dall' uovo di un donatore o di una donatrice, che così ha permesso la loro nascita. Desiderata, voluta, amata, ma "diversa". Il consiglio, davvero autorevole, non arriva questa volta da uno studio scientifico, ma dal Comitato Nazionale di Bioetica, organo di consulenza del Governo, che ha pubblicato un documento in cui si affronta, per la prima volta, il tema delle origini nella fecondazione eterologa. Ma la particolarità è che in Italia la nascita con donazione di gameti è tuttora vietata dalla legge 40, anche se a breve la Consulta dovrà pronunciarsi sui ricorsi presentati da diversi tribunali italiani. Sono però ormai migliaia i bimbi nati nel nostro paese attraverso fecondazioni eterologhe avvenute all' estero. «Ed è a loro che abbiamo pensato nella redazione di questo documento - spiega Lorenzo D' Avack, vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica - ai tanti bambini già nati che dovranno un giorno affrontare gli interrogativi legati alle loro origini, che i genitori invece continuano a nascondere. Perché riteniamo necessario che si capisca che non è "etico" verso un figlio mantenere il segreto sulle modalità della sua nascita, così come hanno già sancito molte leggi in altri paesi». Un pronunciamento importante, avanzato, e approvato, aggiunge D' Avack, «all' unanimità e soltanto con un voto contrario». Ma raccontare ad un figlio «sei nato con il seme di un donatore o di una donatrice», è soltanto l' inizio. «Perché sancito il diritto alle origini - aggiunge D' Avack, il problema è che cosa deve essere detto. Stabilito che per il "nato" è fondamentale poter accedere ai dati genetici che lo riguardano per la tutela della sua salute, il Comitato si è poi diviso sul dirittoo meno del figlio nato da fecondazione eterologa ad accedere anche ai dati anagrafici del donatore, che alcuni ritengono indispensabili per la ricostruzione della sua identità personale». Dati che com' è noto si possono trovare sui registri conservati dalle banche dei gameti. Insomma quello che il Comitato di Bioetica afferma è che ai bambini bisogna dire la verità, qualunque essa sia, in linea con quanto nel tempo è avvenuto nei casi di adozione. Ma che bisogna fermarsi sulla soglia del nome e della privacy del donatore. «Quasi sempre ciò che accade quando i figli riescono a rintracciare il nome del donatore e della donatrice, e poi ad entrarci in contatto, sono grandi delusioni. Come del resto dimostra quel bel film "I ragazzi stanno bene", quando l' arrivo del padre "biologico" in una famiglia di madri omosessuali sconvolge tutti gli equilibri del gruppo». Dunque un passo in avanti con il paradosso però che tutto questo in Italia è proibito. Però i bimbi dell' eterologa in Italia esistono. E dunque per molte associazioni il parere del Comitato di Bioetica potrebbe aprire nuovi scenari. «Ora ci aspettiamo che la Consulta - afferma la presidente di "Madre Provetta" Monica Soldano - rimuova il divieto di fecondazione eterologa perché incostituzionale». E il parere dei bioeticisti è un "segnale" verso una nuova tutela dei diritti, secondo l' avvocato Filomena Gallo, segretario dell' Associazione Coscioni, che annuncia l' arrivo di un nuovo disegno di legge. «Si tratta di un testo che sarà presentato nelle prossime settimane, che prevede appunto il doppio binario, donatori anonimi e non, con la possibilità per la coppia di scegliere e per il nato di sapere, nel rispetto delle libertà con il principio base della donazione gratuita». Ma quanti sono i bimbi nati con la fecondazione eterologa? Erano cira il 12% di tutte le nascite prima che la legge 40 nel 2004 non vietasse questo tipo di fecondazione. Oggi secondo le stime dell' Osservatorio sul turismo procreativo in 36 centri stranieri, sono oltre 2.700 le coppie italiane che si recano all' estero per poter ricorrere alla fecondazione con l' apporto di gameti esterni alla coppia.
MARIA NOVELLA DE LUCA

I diktat sui figli in provetta del Comitato di bioetica

Repubblica - 26 novembre 2011 — pagina 1-17 sezione: PRIMA PAGINA

La questione dei "segreti di famiglia", delle ombre, dei non detti che rischiano di danneggiare le relazioni e lo stesso senso di appartenenza degli individui è oggetto di un' ampia letteratura, di romanzi, di film. Non riguarda solo l' origine di nascita, ma certo questa ne è un' ampia parte. Nel caso dell' adozione ormai vi è un diffuso consenso sulla opportunità che essa venga comunicata al bambino, per consentirgli di elaborarla, e con essa elaborare soprattutto sia l' essere stati abbandonati (o l' aver perso i genitori) che l' essere stati accolti. Sapere di essere adottato consente anche i eventualmente di cercare di rintracciare i genitori biologici una volta diventato adulto. In altri termini, la comunicazione dell' adozione consente al bambino di ricostruire la propria storia come storia non tanto biologica, quanto di relazioni. Ma naturalmente per i figli della provetta è tutta un' altra cosa. La nascita a seguito di fecondazione cosiddetta eterologa non è assimilabile all' adozione. Qui non c' è abbandono o perdita dei genitori. C' è solo il fortissimo desiderio di una coppia di mettere al mondo una nuova vita. Significa allora che non debba essere comunicato al figlio/a come è venuto al mondo? Non credo, non solo per una questione di informazione sul proprio patrimonio genetico a fini sanitari. Piuttosto anche perché è opportuno che sappia che i genitori lo hanno fortemente voluto, superando ostacoli sia di tipo fisiologico che psicologico ed emotivo. Perché questo desiderio e gli ostacoli che ha superato fanno parte della sua storia: non deve essere una vergogna. Certo, il passaggio successivo può essere la curiosità di sapere chi è il donatore/donatrice. In alcuni paesi ciòè consentito dalla legge. Anzi, in Svezia è addirittura obbligatorio, ma da quando c' è questa norma il numero dei donatori è crollato. È comunque un passaggio delicatoe importantissimo, cui i genitori devono arrivare preparati, anche perché una scoperta tardiva potrebbe provocare ferite psicologiche peggiori. Ma dovrebbero arrivare a questo bivio dopo una lunga riflessionee soprattutto con una libera scelta. Non mi è chiaro in quale veste il comitato di bioetica dia indicazioni in merito. Non è un tema di bioetica, campo già scarsamente definito nei suoi contenuti disciplinari e scientifici e che non è opportuno allargare a dismisura, con più o meno autodefiniti bioeticisti che discettano su tutto il campo delle relazioni che hanno a che fare con la vita e con la morte. Riguarda l' etica e la psicodinamica delle relazioni familiari. Su cui gli esperti dovrebbero dare consigli in punta dei piedi. Più che dare indicazioni su come comportarsi sui figli in provetta il comitato di bioetica dovrebbe riconsiderare il divieto assoluto di ricorrere a questa forma di riproduzione assistita sancito dalla legge in Italia, e sul quale la Consulta sarà presto chiamata a pronunciarsi.

CHIARA SARACENO

giovedì 17 novembre 2011

Fecondazione vietata a chi ha malattie genetiche

Repubblica - 16 novembre 2011

Ecco le nuove linee guida. Ma scoppia la protesta: "Schiaffo alle coppie e ai magistrati". La pratica era stata ritenuta lecita da numerose sentenze. Perina (Fli): norme stupide e crudeli

ROMA - Hai malattie genetiche? Niente fecondazione assistita concessa invece a chi ha l'Aids o l'epatite. Secondo il governo queste tecniche per avere un figlio sono vietate a chi ha la fibrosi cistica, malattie cromosomiche, talassemia. A quelle centinaia di coppie, cioè, che negli anni hanno presentato e vinto ricorsi nei tribunali o si sono sottoposte a cure ed esami per non trasmettere la loro malattia e dare la speranza di un futuro migliore al figlio. Le loro patologie, nonostante le sentenze di Firenze, Roma, Salerno, Bologna, non sono infatti elencate nelle nuove linee guida del Ministero della Salute sulla legge 40, arrivate sul tavolo del Consiglio Superiore di Sanità che deve a giorni esprimere il parere. Linee guida che contengono ancora il divieto alla diagnosi pre-impianto, (praticata in tutt'Italia dopo il sì dei tribunali), e prevedono che gli embrioni prodotti in sovrannumero dovranno essere tenuti nelle regioni e non inviati al centro nazionale creato dall'allora ministro Sirchia, costato 700 mila euro e mai utilizzato.

Ed è polemica. Si parla di un "colpo di coda del governo" sulla legge 40. E nel mirino finisce il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella che nei giorni scorsi aveva ribadito il suo no alla diagnosi pre-impianto: "La legge prevede che si tuteli salute e sviluppo di ogni embrione cosa che l'esame non garantirebbe". Dura la reazione della società italiana studi di medicina della riproduzione che accusa il ministero della Salute "di arroccarsi su posizione ideologiche prive di fondamento scientifico invece che prodigarsi per garantire ai cittadini più deboli la miglior assistenza". "Cancellando le decisioni dei tribunali si finisce per ledere i diritti delle coppie e sprecare denaro pubblico", aggiunge Filomena Gallo, segretario dell'associazione Luca Coscioni mentre Mina Welby invita alla protesta di piazza.

Ancor più duro il ginecologo Severino Antinori: "È una decisione oscurantista, liberticida e discriminatoria nei confronti di pazienti con patologie genetiche che avevano una speranza grazie alla diagnosi pre-impianto, riammessa in seguito al mio ricorso alla Corta Costituzionale".
Flavia Perina, deputato di Futuro e Libertà non usa mezze misure: "Per impedire che le coppie ricorrano alla diagnosi preimpianto, si favorisce di fatto il ricorso all'aborto. Una politica che dice alle donne: se volete, potete abortire dopo l'amniocentesi, ma non potete in alcun caso prevenire il rischio di trasmissione di malattie genetiche con un esame. Non è solo una scelta stupida, ma innanzitutto crudele".

Alle accuse Eugenia Roccella risponde serafica: "Nessun golpe, le linee guida non possono stravolgere la legge 40 che in origine vieta la diagnosi pre-impianto ed è dedicata a chi non è fertile e non a chi è malato. Servono a renderla attuabile. E comunque nessuna sentenza di tribunale può cambiare la legge, può farlo il Parlamento, un referendum. Oppure la corte costituzionale, e infatti in base alla sua sentenza è saltato l'obbligo di impianto di tre embrioni contemporaneamente e abbiamo recepito indicazioni per la tutela della salute della donna".
Come dire: chi ha malattie genetiche è considerato fertile e quindi non può accedere alla legge sull'infertilità. Ma così si costringono le coppie ad emigrare, ad avere figli malati o non averli? Il sottosegretario insiste senza cedimenti: "Non c'è solo il diritto delle coppie e penso che ognuno debba far i conti e accettare la propria realtà e condizione. Non si può rispondere ad un ingiustizia naturale con un ingiustizia legale. Se si dice che chi ha patologie ha indebolito il diritto a nascere, non sono d'accordo, non può esserci disuguaglianza tra abili e disabili".

martedì 15 novembre 2011

«Fecondazione assistita vietata a portatori di malattie genetiche»

Corriere della Sera - 15 novembre 2011

Sarebbe consentita invece a chi ha patologie infettive. Le disposizioni sono nel provvedimento inviato al Consiglio Superiore di sanità, il cui parere è obbligatorio

MILANO- I portatori di malattie genetiche non potranno fare ricorso alla fecondazione assistita. Le nuove linee guida del Ministero della Salute sulla legge 40, arrivate sul tavolo del Consiglio Superiore di Sanità che deve esprimere il parere obbligatorio, infatti non lo prevedono nonostante le sentenze dei tribunali di Salerno, Bologna e Firenze.

CONCESSO A CHI HA L'HIV - L'uso delle tecniche è concesso a chi è infertile ma anche a chi è fertile se portatore di malattie infettive come Hiv, Hbv e Hcv. Non si citano le malattie genetiche nonostante alcune sentenze abbiano riconosciuto questo diritto ad alcune coppie fertili che rischiavano di avere figli con grave malattie come la talassemia e la fibrosi cistica. L'atto aggiorna quello del 2008 firmato da ministro della Salute di allora Livia Turco.

LA LEGGE NON CAMBIA - Le linee guida non possono modificare una legge: il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella spiega che il provvedimento che il governo uscente ha appena inviato al Consiglio Superiore di Sanità per il parere obbligatorio non contiene le modifiche introdotte per alcune coppie con sentenze in tribunale proprio perchè ogni modifica alla legge deve avvenire con un'altra legge. «Sono sentenze amministrative che riguardano singole coppie» spiega Roccella riferendosi alle decisioni nei tribunali che hanno consentito a coppie portatrici di malattie genetiche di utilizzare le tecniche di fecondazione assistita anche si si trattava di coppie che non soffrivano di sterilità. «Questo Governo - ha spiegato Roccella - ha difeso una legge giusta e saggia, che si è dimostrata buona ed efficace anche negli anni rispetto a quanto avviene negli altri paesi».

NESSUN TRASFERIMENTO PER GLI EMBRIONI- Fra le altre novità delle linee guida, ha spiegato il sottosegretario, c'è la norma che riguarda gli embrioni abbandonati, per i quali non è più previsto il trasferimento nella biobanca di Milano che costò 700 mila euro e che non è mai stata utilizzata. «Abbiamo verificato troppi problemi legati e tecnici. Il trasferimento al centro di Milano, che comunque potrà essere utilizzato per altri fini, non può avvenire per la responsabilità giuridica sugli embrioni che resta in capo ai centri dove sono stati lasciati».

Redazione Online Salute

giovedì 3 novembre 2011

La Corte europea dei diritti dell'uomo: legittimo il no alla fecondazione eterologa

Corriere della Sera - 03 novembre 2011

In Italia nei prossimi giorni la Corte Costituzionale dovrà rispondere alle coppie che hanno presentato ricorso

ROMA – Era una sentenza molto attesa, e temuta, dalle associazioni che in Italia si battono a favore dell’eterologa, come viene impropriamente definita la fecondazione ottenuta col ricorso a gameti (ovociti e spermatozoi) appartenenti a terze persone, dunque non alla coppia. La Corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo ha di fatto dato ragione al governo austriaco che ha vietato questa tecnica. «Non c’è violazione dell’articolo 8 – diritto al rispetto della vita privata – della Convenzione dei diritti dell’uomo», hanno stabilito i giudici della Grande Camera ribadendo però il rispetto dell’autonomia dei singoli Stati e la necessità che le leggi si adeguino ai cambiamenti tecnologici e culturali.

RICORSO - La decisione costituisce un punto di riferimento non solo per l’Austria. Riguarda indirettamente tutti e 47 gli Stati comunitari. In Italia il dibattito sull’eterologa è caldissimo. La nostra legge sulla procreazione medicalmente assistita la proibisce. Ma diverse coppie hanno presentato ricorso di incostituzionalità. La Corte Costituzionale dovrà esprimersi nelle prossime settimane e sul giudizio non potrà non pesare la sentenza di Strasburgo. L’associazione Hera, una delle due che hanno partecipato al procedimento europeo, non abbassa però la guardia: «Se oggetto della Corte fosse stata la nostra legge 40 probabilmente l’esito sarebbe stato diverso perché vieta in assoluto la donazione di gameti a differenza dell’Austria che consente la donazione di spermatozoi», osserva il ginecologo Nino Guglielmino.

LA LEGGE ITALIANA - Per il sottosegretario al ministero della Salute Eugenia Roccella la sentenza è al contrario «l’ennesima conferma di saggezza e lungimiranza della legge italiana. Il governo italiano si è voluto affiancare all’Austria nel ricorso per ribadire l’autonomia dei singoli Stati . La fecondazione eterologa dove viene praticata ha aperto gravi questioni». L’intervento della Grande Camera era stato chiesto da due coppie austriache alle quali è stato negato l’impiego di ovociti donati. Dopo essersi rivolti ai giudici del loro Paese con un ricorso di incostituzionalità, attraverso i loro legali hanno bussato alla porta della Grande Camera che si è riunita in udienza il 23 febbraio scorso. All’iniziativa si sono unite l’associazione Hera di Catania e Sos infertilità di Milano, col collegio di difesa composto dall’avvocato Maria Paola Costantini del Foro di Firenze e da Marilisa D’Amico, Milano.

IDENTITA' GENITORIALE - Già il 1 aprile la Corte aveva dichiarato la violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea da parte della legge austriaca (rispetto della vita familiare e privata e principio di non discriminazione). Ma la sentenza è rimasta inapplicata in seguito al ricorso in appello al quale hanno partecipato anche il governo italiano e quello tedesco. Ieri il cambiamento di rotta. Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni è molto critica: «Una decisione lesiva della libertà di ogni individuo di costituirsi un nucleo familiare. Dov’è il rispetto del dovere genitoriale?» L’Associazione Scienza & Vita sottolinea la «prevalenza di un principio fondamentale del diritto, la certezza dell’identità genitoriale». Le coppie italiane che non possono utilizzare gameti propri cercano l’eterologa nei centri stranieri acquistando ovociti e spermatozoi di cosiddetti donatori. In realtà in questa pratica non c’è nulla di volontaristico, non ci sono buoni samaritani.

Margherita De Bac

mercoledì 19 ottobre 2011

Prima maternità a 40 anni record delle donne laziali

Repubblica - 19 ottobre 2011

"Si partorisce sempre più tardi", dice Raffaella Scalisi, tra le socie fondatrici del Melograno, associazione che da decenni si occupa di madri. Nel 1980 le mamme sopra i 34 anni erano il 10 per cento, ora superano il 35%.

Sempre più spesso il primo bebè arriva quando già spuntano anche i primi capelli bianchi. Che fare? Si sospende la "tinta" per poter allattare, certo. E subito dopo ci si butta nel frullatore: tra il lavoro che riprende e quello in casa, con il bebè da svezzare. Che spesso non è uno solo, se è vero che ne Lazio nel giro di 30 anni, i parti gemellari solo quasi quadruplicati. La foto è stata scattata dall'associazione il Melograno che descrive incrociando dati Istat e dell'Asp (l'Agenzia di sanità pubblica) come l'universo delle mamme laziali si sia trasformato nel tempo. Grazie alle tecniche di fecondazione, certo. Alla mentalità che cambia, è ovvio. Ma anche grazie - o meglio per colpa - della crisi economica. Il dato più lampante è l'età attempata delle madri. Lo scorso anno l'8 per cento dei bimbi nati nella nostra regione si è ritrovato a sorridere ad una mamma che aveva già festeggiato i suoi primi 40 anni.

"Si partorisce sempre più tardi", dice Raffaella Scalisi, tra le socie fondatrici del Melograno, associazione che da decenni si occupa di madri. "Questo - spiega - perché le coppie raggiungono un'autonomia economica ormai in là con l'età. Per via del lavoro che non si trova e i costi proibitivi delle case. A volte anche per rincorrere la carriera. Fatto è che nel 1980 le mamme sopra i 34 anni erano il 10 per cento, ora supera il 35%".

Si aspetta dunque il momento più opportuno per mettere su famiglia, ma intanto le lancette dell'orologio biologico vanno avanti. Inesorabili. In Italia nel 2009 secondo la Relazione del ministero della Salute, i bambini nati con la fecondazione assistita sono stati 10.819. Vale a dire quasi il 2 per cento dei neonati. Nel Lazio le donne che per avere un figlio si sono sottoposte a tecniche "a fresco" come la fertilizzazione in vitro, sono state 4.882. Ben 23 sono i centri sparsi nella regione che si occupano di chi ha problemi di sterilità.

Il risultato è che si vedono sempre più passeggini bi e triposto in giro. Effetto dell'inseminazione pilotata. I parti plurimi dal'82 al 2009 sono quindi schizzati dall'1,4 per cento al 4 per cento. E aumenta - secondo i datti del Melograno - l'autodeterminazione della donna. Lo scorso anno, la cicogna ha consegnato un bebè su quattro al di fuori del matrimonio. E in molti casi, a riceverli, non c'erano i papà, ma solo mamme. "Così alla solitudine delle donne - continua Raffaella Scalisi - si aggiunge l'insicurezza. Per un figlio "prezioso", arrivato tardi, con fatica, con un eccesso di medicalizzazione, con pochi aiuti, accresce la naturale ansia di diventare genitore, il timore di non essere all'altezza e la ricerca di esperti e di guide". Non a caso al Melograno, negli ultimi anni, è cresciuta la richiesta di puericultrici a domicilio per spiegare cosa si deve fare con un bambino appena venuto al mondo. "Lavoro" un tempo di nonne e zie, ora sempre più spesso costrette a dare forfait perché, anche loro, troppo avanti negli anni.


ALESSANDRA PAOLINI

lunedì 10 ottobre 2011

C'è una bimba nella seconda vita dell'uomo simbolo della Thyssen

Repubblica - 10 ottobre 2011

Boccuzzi, l'unico sopravvissuto della strage nell'acciaieria diventa papà: ma sulla fecondazione artifificiale la legge è troppo restrittiva. Alle famiglie come la nostra però vorrei dire di non mollare

"Rebecca arriverà il 7 novembre. Non so dire quanto sono felice. Per me, per mia moglie Giusy, per tutti quelli che come noi non potevano avere figli 'naturalmentè e alla fine ci sono riusciti. Il nome l'ho scelto io: suona bene con Boccuzzi, ed è un bellissimo personaggio della Bibbia". Antonio Boccuzzi ha 38 anni, è diventato suo malgrado l'uomo-simbolo della tragedia della ThyssenKrupp, l'unico su otto compagni a essere sopravvissuto al rogo che distrusse l'acciaieria che stava per essere dismessa.Oggi è un deputato del Pd. Ma forse è la prima volta, dopo la notte della tragedia, dopo che le ustioni sulla faccia sono scomparse, che sorride davvero. Perché la vita sta per ricominciare da capo, con l'arrivo di una bambina, e questo rende felici tutti i genitori, ma chi ha vissuto una tragedia ancora di più. Ma anche perché per lui e per Giusy, sposati da undici anni dopo un rapido fidanzamento, è un sogno che si avvera, al termine di un lungo viaggio che li ha portati a numerosi tentativi di fecondazione assistita, e finalmente al successo, a Bologna, nella clinica di Carlo Flamigni. "Io rispetto tutti, credo di capire, dopo questa esperienza, chi vuole un figlio e poi decide di lasciare perdere, o di adottare. Ma alle coppie come la nostra vorrei dire di non mollare, anche se in questo paese c'è una legge assurdamente restrittiva, anche se - purtroppo - per chi ha problemi economici e non può rivolgersi al privato i tempi sono lunghi, troppo lunghi. Qualcuno è più fortunato, altri meno, come la coppia di Mirabello che non ha più la sua bambina: non voglio entrare nel merito, ma sono solidale con loro".


Quando vi siete resi conto delle vostre difficoltà a diventare genitori?
"Ci siamo sposati giovani, era il 2000, io avevo 27 anni e Giusy uno di meno. Ci eravamo incontrati per caso, una sera in birreria, e da allora non ci siamo più lasciati. All'inizio non pensavano di avere figli subito. Io ero già operaio alla Thyssen, lei ha cambiato tanti lavori, faceva la commessa alle Gru. Ma i soldi erano pochi, e oggi ci si preoccupa molto, forse troppo, di poter garantire più benessere ai bambini di quanto ne abbiamo avuto noi. Un fatto è certo: fin dall'inizio, per Giusy diventare mamma era un'esigenza fortissima. Io la sentivo, sì, ma non così forte come lei. Prima dell'incendio, abbiamo cominciato a preoccuparci perché il bambino non arrivava. Poi, c'è stata la tragedia, e per un bel po' di tempo ho pensato a quella e non certo a diventare papà. Tre anni fa, abbiamo fatto i primi esami e scoperto che c'era un problema che dipendeva da me: spermatozoi pigri, un fatto piuttosto comune".

Molte coppie 'scoppiano' di fronte a queste cose, ci si incolpa a vicenda, oppure non si riesce a affrontare una terapia lunga e invasiva. A voi come è andata?
"Benissimo. Neppure per un attimo mia moglie mi ha fatto pensare che fosse 'colpà mia. Abbiamo fatto tutto insieme, i prelievi, le cure... Il ruolo dell'uomo in queste cose non è un granché, per le donne è più pesante. Ma anche quando toccava a me, ci abbiamo riso sopra, abbiamo sdrammatizzato... Del resto c'erano dei precedenti in famiglia".

Quali precedenti?
"Mi chiamo Antonio perché mia mamma (scomparsa nel gennaio del 2008, ndr) e mio papà mi hanno aspettato per sei anni. Sono nato dopo che mio padre si era sottoposto a una cura molto pesante, prescritta da un medico torinese, Antonio Mussa, e dopo che mia mamma era andata in pellegrinaggio a Padova e aveva fatto un voto a Sant'Antonio. Allora non c'erano le tecniche di oggi, ma i miei non si sono scoraggiati, e alla fine di figli ne hanno avuti tre".

A chi vi siete rivolti per cercare di avere un bambino?
"A un centro privato torinese, prima abbiamo fatto una Fivet, poi una Icsi (la tecnica oggi più usata, che consiste nel reimpiantare l'ovocità già fecondato, ndr) che pareva essere riuscita. Ma quella gravidanza è finita dopo venti giorni, per mia moglie è stato un dramma. Avevo già conosciuto il professor Carlo Flamigni, me lo aveva presentato Stefano Esposito a un dibattito a Torino sulla legge 40 e le limitazioni che impone alle coppie. Siamo andati da lui, e al secondo tentativo è andata bene. Ma, cosa altrettanto importante, io e soprattutto Giusy ci siamo sentiti accolti, capiti. Sono nate delle amicizie, sentivamo che il nostro problema era condiviso da tutti, dal professore alle infermiere".

Dov'era quando ha saputo che sarebbe diventato padre?
"In aula, a Montecitorio. E' arrivato un fax con l'esito degli esami e mia moglie mi ha chiamato prima ancora di leggerlo, lo abbiamo saputo insieme. Da lì sono cominciati nove mesi di emozioni incredibili. Io non ci credo che già all'ultima ecografia si vedesse che Rebecca mi assomiglia, ma mia moglie mi ha fatto trovare sul computer di casa una mia foto da piccolissimo accostata a quella dell'ecografia...".

Il 7 novembre è un lunedì. Ci sarà?
"Altroché. E' una data che abbiamo scelto per essere più che sicuri che io potessi essere al Sant'Anna. Siamo nati tutti lì, anche mia mamma, e ora ci nascerà Rebecca".


VERA SCHIAVAZZI

venerdì 7 ottobre 2011

I semi dei padri anonimi (e no)

Corriere della Sera - 7 ottobre 2011

Nel 2005 Londra cambia le regole: i figli hanno diritto di conoscere il donatore. Ma è una legge migliore?

Gli iscritti sono più di 33 mila, i fratellastri che si sono scoperti tali quasi novemila, i padri «ritrovati» 15 mila, i visitatori del sito, anche europei, 10 mila ogni mese: il Donor Sibling Registry da quando è nato nel 2000 per iniziativa di Wendy Kramer, mamma single del Colorado, e di suo figlio Ryan concepito col seme di un donatore anonimo, ha avuto un successo quasi inspiegabile. Per abbattere il «buco nero» della paternità genetica, bisogna inserire il numero identificativo fornito all’epoca dalla banca del seme e vedere se qualcuno si fa vivo. Perché si vuole conoscere le proprie origini? Per semplice curiosità, per essere rassicurati su se stessi, sulle proprie radici, ma anche per trovare i quasi-fratelli. Come se queste persone si sentissero la metà di una mela e intravedessero finalmente la strada per ritrovare l’altra. Se leggiamo qualche storia sul blog troviamo frasi come quella di Cara che scrive: «Il registro mi ha cambiato la vita; ora so di avere una sorella, è come scoprire una nuova famiglia». Che può rimanere virtuale, o arrivare all’incontro in carne ed ossa e poi ad una relazione.

Quella della Kramer non è l’unica iniziativa; esiste da poco un sito web, Anonymous Us, già molto cliccato, creato da Alana Stewart, una ragazza newyorkese che invita altre persone con la sua stessa storia di inseminazione artificiale a raccontarsi (in forma del tutto anonima); va alla grande anche il blog Confession of a Cryokid (un bambino nato grazie a Cryos, la banca del seme danese), avviato da Lindsay Greenawalt, concepita nel 1984 a Cleveland grazie al donatore n˚ 2035. Lindsay vuole essere l’esempio della ricerca del padre genetico e chiede ai frequentatori del suo blog di commentare le notizie in materia. Come l’ultima, di qualche giorno fa, quando un uomo ha confessato alla moglie nel corso della trasmissione televisiva Style Exposed: Sperm Donor di aver 75 figli sparsi per l’America (il record, detenuto da un altro americano, è di 150, possibile perché negli Stati Uniti non c’è limite al numero di inseminazioni del donatore, diversamente a quanto accade in Europa). Padre genetico che di là dall’Atlantico resta per legge top secret, mentre altri Paesi europei (e non) hanno concesso ai figli dell’inseminazione artificiale di conoscere l’identità del donatore al compimento dei 18 anni, senza che questa rivelazione implichi doveri di paternità, giuridici e economici.

La prima a scendere in campo contro l’anonimato fu la Svezia nel 1985; scelta analoga hanno fatto la Svizzera nel 2001, dove il nome del donatore viene conservato per 80 anni presso il ministero della Sanità di Berna in busta sigillata, l’Olanda nel 2004, poi la nuova Zelanda, l’Australia, la Gran Bretagna nel 2005. L’anonimato resta valido in Francia (anche se si discute da tempo sulla sua legittimità), in Belgio, in Spagna. In Italia il problema non si pone perché è vietata la fecondazione eterologa; ciononostante, un po’ paradossalmente, il Comitato nazionale per la Bioetica sta lavorando ad un documento sull’anonimato del donatore (forse tenendo conto di quante coppie vanno a farla all’estero!). Abbattere il «muro» che impediva di sapere, ha portato inevitabilmente ad un crollo delle donazioni: in Svizzera c’è una tale scarsità di seme che le cliniche per l’infertilità non riescono a far fronte alle richieste (e il limite di otto figli per donatore che vige in territorio elvetico non facilita il compito), in Inghilterra, dove nel 2006 un’inchiesta della Bbc documentò una situazione vicina alla paralisi, solo adesso si registra una controtendenza. Alla London Sperm Bank, la più importante del suolo inglese, i donatori stanno aumentando, non perché sia cresciuta la loro parcella, ma perché si è costruito un profilo personale del donatore, cercando di capire meglio le sue motivazioni e valorizzandole anche «nel catalogo», al di là del denaro. Allora capita che il ricco banchiere della City, felicemente sposato con prole, ritenga suo dovere fare qualcosa di altruistico in un’esistenza privilegiata e che il soldato in partenza per l’Afghanistan desideri lasciare una traccia di sé (la legge inglese ammette un limite massimo di 10 figli). «È forse il segno— commenta la sociologa Marina Mengarelli, che da anni si occupa degli aspetti socioculturali dell’infertilità — che ci si sta avviando verso l’accettazione di una genitorialità più ampia dove si riconosce dignità anche al donatore di seme».

La motivazione in certi casi diventa, però, ambigua, morbosa: la rivista Newsweek ha appena riportato la storia dell’americano Trent Arsenault, 36 anni che ha donato il suo seme a 50 donne, generando 10 figli. Ancora «vergine» si dichiara un donorsexual, un uomo la cui vita sessuale si esprime soltanto nella donazione. Mentre insieme a questi fenomeni limite, cresce una nuova frontiera: quella dello scambio di seme al di fuori di qualsiasi transazione economica e vincolo. In gennaio Beth e Nicole Gardner hanno lanciato il portale Free Sperm Donor Registry (il registro gratuito dei donatori di sperma) dove la donazione è soltanto un atto di generosità; sei mesi dopo i donatori sono già 400, i figli in gestazione una dozzina, gli iscritti più di 2000. Un registro che oltre a mandare in soffitta medici e denaro, non ammette più limiti all’anonimato, neanche quello dei diciotto anni. Sembra dare ragione a questa visione radicalizzata (che può anche esporre a qualche rischio sanitario) uno studio appena pubblicato dalla rivista Human Reproduction, realizzato da Diane Beeson, sociologa dell’università della California. Ad oltre 700 figli dell’inseminazione artificiale ormai adulti — dai 18 anni in su—iscritti al Donor Sibling Registry è stata rivolta mediante un questionario una serie di domande sul loro vissuto nei confronti del padre genetico. Nell’80 per cento dei casi viene espresso il desiderio di conoscere l’identità del donatore e di incontrarlo, ad esempio per vedere se c’è una somiglianza. «Non mi meraviglia — commenta Chiara Lalli, filosofa e bioeticista, autrice di Libertà procreativa, edito da Liguori—; è una curiosità legittima, non c’è niente di peggio che avere a che fare con i fantasmi. In una visione più serena, i figli dei donatori di seme dovrebbero avere lo stesso diritto a sapere di quelli adottivi».

Franca Porciani

martedì 4 ottobre 2011

Incinta grazie ad autotrapianto di tessuto ovarico

Repubblica - 4 ottobre 2011

A Torino un caso con pochissimi precedenti. La donna, affetta da una grave forma di talassemia, era diventata sterile con le terapie per il trapianto di midollo e si era fatto in tempo solo a prelevarle dei frammenti di ovaio, "risvegliati" con successo dopo 8 anni di crioconservazione

ROMA - E' rimasta incinta grazie a un autotrapianto di tessuto ovarico: è la prima volta in Italia. Protagonista di questa gravidanza connubio di laboratorio e natura è Alessandra, una torinese di 28 anni, talassemica dalla nascita. Quando aveva 20 anni le avevano prelevato e congelato due frammenti di ovaie prima di sottoporla a un regime intensivo di chemioterapia che l'aveva in seguito resa sterile. Un trattamento, questo, preliminare al trapianto di midollo eseguito al centro onco-ematologico del Regina Margherita, estrema terapia che l'aveva salvata da una forma grave forma di talassemia major che non rispondeva più alle terapie tradizionali e che l'avrebbe condannata.

Dopo otto anni, nonostante la chemioterapia ne avesse compromesso la capacità riproduttiva, i medici l'hanno di nuovo resa fertile, reimpiantandole i frammenti di ovaie conservati per tutto quel tempo nel congelatore. Quei due lembi di ovaio contenevano moltissimi follicoli, cioè potenziali ovociti, che si sono "risvegliati", consentendole di poter restare incinta. Oggi Alessandra è al quarto mese di gravidanza e il suo caso è presentato in tutti i convegni nazionali sulla fecondazione artificiale perché ha solo 14 precedenti nel mondo.

La particolarità - a differenza del recente caso di Bologna 1 - sta nel fatto che nel 2003, quando le condizioni di salute della ragazza precipitarono, non c'era il tempo per una tradizionale stimolazione ormonale e il conseguente prelievo degli ovuli. Per garantirle la possibilità di diventare un giorno madre, c'era solo quella via, urgente ma anche dagli esiti incerti: prelevare direttamente una parte delle ovaie, e congelarla.

Quando Alessandra, nella primavera del 2010, è stata considerata fuori pericolo e con il suo fidanzato ha desiderato un figlio, in frigo da 90 mesi l'attendevano quei due frammenti della sua fertilità perduta. A quel punto, è stata "adottata" dagli specialisti del Sant'Anna di Torino, del Progetto Fertisave fondato nel 2001 dal professor Marco Massobrio. In questo centro si congelano ovociti e tessuto ovarico delle pazienti, in particolare bambine, che devono sottoporsi a terapie che possono comprometterne la fertilità futura.

In Italia, però, nessuno aveva mai tentato l'autotrapianto di tessuto ovarico. Gli specialisti torinesi, coordinati da Alberto Revelli, per approfondire le conoscenze su questa tecnica hanno dovuto fare il giro di quei quattordici centri al mondo - fermandosi soprattutto in Belgio - nei quali era stato in precedenza azzardato quel percorso terapeutico. A organizzare tutte le fasi della complessa operazione, le ginecologhe Delle Piane, Salvagno e Dolfin, mentre la biologa Emanuela Molinari ha curato il processo di scongelamento dei tessuti. Per il reimpianto sono scesi in campo gli specialisti della Fisiopatologia della Riproduzione e della procreazione medicalmente assistita sotto la guida del dottor Gregori e della professoressa Chiara Benedetto.

I medici hanno reimpiantato i frammenti ovarici in due interventi in laparascopia. Con la prima operazione è stata preparata la sede che avrebbe ospitato i tessuti. "È stato come arare il terreno dove poi seminare", hanno spiegato i medici. Con il secondo, eseguito a tre mesi di distanza, i due frammenti di ovaio sono stati riposizionati e dopo alcuni mesi hanno attecchito. "Sono come resuscitati". E con loro è tornata l'ovulazione. Un miracolo? No. La procedura era sperimentale, spiegano i camici bianchi, ed è riuscita. E ora Alessandra aspetta un figlio.


ALBERTO CUSTODERO

martedì 20 settembre 2011

Fecondazione artificiale, vanno all'estero almeno 10 italiane ultracinquantenni ogni anno

L'aspirazione alla maternita' non si ferma con il limite dettato dalla biologia, come dimostrano anche i casi di cronaca di questi giorni. Ogni anno sono almeno 10 le italiane 'over 50' che vanno all'estero, nei pochi Paesi dove i limiti di eta' non sono particolarmente rigidi, per ottenere una gravidanza con la fecondazione assistita eterologa (pratica vietata in Italia dalla legge 40) grazie agli ovociti di giovani donatrici.
Oltre 5 mila i cicli di cure con questa tecnica di procreazione (con la donazione di ovuli ma anche di spermatozoi) a cui si sottopongono, fuori dai confini nazionali, le coppie del nostro Paese: 200 cicli riguardano aspiranti madri tra i 46 e i 46 anni, 150 quelle tra i 47 e i 49 e 15 le donne che hanno superato i 50 anni.
A fornire i dati all'Adnkronos Salute e' Anna Pia Ferraretti, direttore scientifico della Sismer (Societa' italiana studi di medicina della riproduzione) e componente del gruppo della Eshre, Societa' europea di riproduzione umana ed embriologia, dedicato al monitoraggio dei viaggi 'procreativi' in Europa . "Un fenomeno che esiste ed e' consistente - riferisce Ferraretti - e gli italiani ne rappresentano una parte rilevante".
Secondo i dati resi noti dall'Eshre nel 2010 e raccolti a fine 2009 (prima della sentenza della Corte costituzionale che ha riaperto la possibilita' di congelare gli embrioni) sulle circa 12 mila coppia europee che ogni anno vanno all'estero per la fecondazione assistita, 3 su 10 sono italiane, ovvero circa 4 mila coppie.
Per quanto riguarda la fecondazione eterologa, con donazione di ovuli o spermatozoi, si tratta di circa 2.500 coppie. "Ciascuna di queste fa circa 2 cicli l'anno", continua l'esperta che traccia anche un identikit.
"Si tratta, in generale, di famiglie standard, con appena il 7% al di sopra della normale eta' riproduttiva: nell'80% dei casi sono coppie sposate, il 20% sono conviventi in maniera stabile e meno dell'1% e' rappresentato da omosessuali o single", spiega Ferraretti sottolineando che "per la donazione degli ovuli gli italiani piu' giovani vanno in Spagna. E in Svizzera per la donazione di seme. Le coppie piu' anziane, invece, si rivolgono alla Russia e altri Paesi dell'Est", dove non ci sono limiti di eta', e persino alla Grecia.
I prezzi variano a seconda delle tecniche, "per la donazione di ovociti - spiega Ferraretti - il costo medio e' circa 8 mila euro a ciclo e varia dai 2 ai 12mila euro a seconda del Paese. Mentre con la donazione di seme puo' variare dai mille a 5 mila euro, in base al trattamento".
In Europa, ricorda l'esperta, le donatrici di ovociti non possono essere pagate, ma ricevono un rimborso, per la donazione, fino a un massimo di 900 euro. "Una cifra che in alcuni Paesi puo' attrarre. E i rischi di speculazione e di scarsa sicurezza, sia per i donatori che per la coppia, sono dietro l'angolo". Ferraretti evidenzia che dopo la 'fotografia' scattata, attraverso i dati, di questo fenomeno, la Societa' europea ha "messo a punto linee guida per i centri che ricevono coppie provenienti dall'estero. E che dovrebbero avere caratteristiche precise. Cio' rappresenta una garanzia sia per i centri che per i pazienti. Il 'bollino' di qualita' di questi centri, legato al rispetto delle regole indicate dall'Eshre infatti, aiuta a capire che le cure fornite rispondono a regole di buona pratica medica".
Il passo successivo, infine, sara' quello di 'studiare' le donatrici, "per evitare speculazioni, sfruttamento e garantire la tutela della salute di tutti", conclude Ferraretti. (Adnkronos)

Aduc - 20 settembre 2011

mercoledì 3 agosto 2011

Fecondazione eterologa - Interrogazione per rinvio udienza del 20 settembre 2011

ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/12996

Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 512 del 03/08/2011
Firmatari
Primo firmatario: BERNARDINI RITA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 03/08/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatarioGruppoData firma
BELTRANDI MARCOPARTITO DEMOCRATICO03/08/2011
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTAPARTITO DEMOCRATICO03/08/2011
MECACCI MATTEOPARTITO DEMOCRATICO03/08/2011
TURCO MAURIZIOPARTITO DEMOCRATICO03/08/2011
ZAMPARUTTI ELISABETTAPARTITO DEMOCRATICO03/08/2011
Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 03/08/2011
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-12996
presentata da
RITA BERNARDINI
mercoledì 3 agosto 2011, seduta n.512

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. -
Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia.
- Per sapere - premesso che:

il 2 agosto 2011 l'Avvocatura di Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato istanza in Corte costituzionale con richiesta di rinvio dell'udienza del 20 settembre 2011 relativa alla verifica di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa di cui all'articolo 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004;

nell'istanza è stata preannunciata l'adesione delle controparti, ovvero degli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini (nel caso di specie difensori della coppia di coniugi per cui è stato sollevato il dubbio di legittimità costituzionale sul divieto di eterologa con ordinanza del tribunale di Firenze - Registro ordinario corte costituzionale n. 19 del 2011, alla richiesta di rinvio in cui si chiede di attendere una pronuncia nei confronti dell'Austria, già condannata per l'applicazione del divieto di fecondazione eterologa in violazione della Carta europea dei diritti dell'uomo (sentenza del 1o aprile 2010 della corte europea dei diritti dell'uomo condanna l'Austria per il divieto di fecondazione eterologa che viola gli articoli 8 e 14 della CEDU);

a giudizio della prima firmataria del presente atto è gravissimo che l'Avvocatura di Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri preannunci al Presidente della Corte costituzionale una adesione di parti attrici all'istanza quando gli avvocati Filomena Gallo, Gianni Baldini e Gian Domenico Caiazza non sono stati consultati né preventivamente né successivamente al suo deposito;

come risulta da un comunicato stampa diramato il 2 agosto 2011, gli avvocati Gallo e Baldini non sono affatto d'accordo con il rinvio, in quanto ciò comporta l'impossibilità da parte di molte coppie sterili di poter ricorrere alla donazione di gameti per poter avere una gravidanza;

è altresì gravissimo anche che il Governo si costituisca dinanzi alla Corte costituzionale e alla Corte europea dei diritti dell'uomo, in palese violazione degli obblighi assunti in sede di piano d'azione di Interlaken, che impegna il Governo a non costituirsi in giudizi a seguito di sentenze della Corte europea dei dritti dell'uomo che mirano a fornire la corretta interpretazione della Carta europea dei diritti dell'uomo all'interno dell'Unione europea;

l'udienza del 20 settembre 2011 sulla verifica di costituzionalità del divieto di eterologa (articolo 4, comma 3, legge n. 40 del 2004) è stata rinviata a nuovo ruolo -:

sulla base di quali elementi l'Avvocatura dello Stato ha preannunciato al Presidente della Corte costituzionale l'adesione delle parti attrici all'istanza di rinvio dell'udienza depositata lo scorso 2 agosto;

se il Governo intenda revocare la propria costituzione nel procedimento innanzi alla Corte costituzionale in merito alla verifica di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa di cui all'articolo 4 comma 3 della legge n. 40 del 2004, con ciò adempiendo agli obblighi assunti in sede di piano d'azione di Interlaken. (4-12996)
Classificazione EUROVOC:
CONCETTUALE:
AVVOCATI E PROCURATORI DELLO STATO , BANDE ARMATE E ORGANIZZAZIONI PARAMILITARI , CAMERA DEI DEPUTATI , CORTE COSTITUZIONALE , CRIMINALITA' ORGANIZZATA , DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA , GENETICA TERRORISTI
EUROVOC:
Carta dei diritti dell'uomo, carta europea, Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Corte europea dei diritti dell'uomo, diritti umani, procedura penale,procreazione artificiale, professioni artistiche, udienza giudiziaria, verifica di costituzionalita'

lunedì 1 agosto 2011

GERMANIA - Procreazione assistita. La diagnosi preimpianto e' legge

La diagnosi pre-impianto da oggi e' legge. Il Parlamento ha approvato a larga maggioranza una proposta che consente l'indagine sugli embrioni alle coppie ad alto rischio di aborto o di generare figli con gravi malattie genetiche.
Gli embrioni prodotti tramite tecniche di fecondazione assistita potranno essere analizzati, in uno stadio molto precoce, in tutti quei casi in cui i medici sospettino gravi rischi per il nascituro. Solo quelli sani saranno poi impiantati nell'utero delle future madri, mentre quelli che si dovessero rivelare gravemente malati verranno distrutti.
Il partecipato dibattito che ha preceduto il voto e' durato piú di quattro ore. In campo c'erano tre proposte di legge. La prima vietava totalmente qualsiasi indagine medica pre-impianto.
La seconda proponeva un divieto con alcune, poche, eccezioni. La terza - quella piú 'permissiva' e che ha raccolto la maggioranza dei consensi - concede la diagnosi solo in alcuni casi seriamente motivati, riconosciuti tali da un'apposita commissione etica.
Il parlamento ha approvato con 326 voti a favore su 594, con una maggioranza trasversale. Contro hanno votato 260 deputati. I partiti avevano lasciato completa liberta' di voto. La proposta ha avuto sostenitori di peso anche tra i cristianodemocratici, come l'attuale ministro delle Politiche sociali Ursula von der Leyen, medico e madre di sette figli. 'In un paese in cui e' concesso l'aborto - ha argomentato von der Leyen -, sarebbe un controsenso vietare la possibilita' di evitare un aborto'.
Tra i critici c'e' il Consiglio delle chiese evangeliche tedesche, secondo cui la legge 'si spinge troppo in la''.
Il voto di oggi chiude un vuoto legislativo che si era prodotto in seguito a una sentenza della Corte costituzionale, per cui in assenza di divieti espliciti i medici tedeschi erano autorizzati a condurre indagini pre-impianto.

Aduc - 7 luglio 2011

giovedì 28 luglio 2011

Cancro al seno, la fertilità è possibile un ormone protegge le ovaie dalla chemio

Repubblica - 28 luglio 2011

Secondo uno studio dell'Istituto tumori di Genova, la somministrazione dell'ormone Lhrh mette al riparo le ovaie dai danni degli antitumorali e preserva la funzione riproduttiva. Così si evita la menopausa precoce, una realtà per il 50% delle pazienti affette da tumore della mammella

ROMA - Mettere al riparo le ovaie dai farmaci antitumorali per tutelare la fertilità dopo un tumore al seno. Un gruppo di ricercatori italiani ha studiato una tecnica che lascia sperare le pazienti colpite da questa malattia. Lo studio, pubblicato su Jama, è stato coordinato dall'Istituto dei tumori di Genova.

"Il cancro della mammella colpisce sempre più giovani: sei volte su 100 hanno meno di 40 anni - dice Lucia Del Mastro, coordinatrice della ricerca dell'Ist di Genova -. Ogni anno solo in Italia sono 2.300 i casi prococi, per questo è prioritario salvaguardare la possibilità di queste donne di diventare madri". La tecnica messa a punto dai ricercatori prevede la somministrazione di un farmaco che simula l'azione di un ormone, l'Lhrh, in grado di interferire con l'attività delle ovaie. In questo modo si crea una 'gabbia' che protegge i follicoli. In altre parole, secondo gli studiosi, è come se si mettessero le ovaie "al riparo" dalla chemioterapia, preservando così la funzione riproduttiva e riducendo, anche se non eliminando del tutto, i danni provocati dai farmaci antitumorali. E questo consente anche di evitare la menopausa precoce: una realtà per in circa quattro pazienti su 10.

Cinque anni di test. Lo studio è stato condotto dal 2003 al 2008 su 281 donne in 16 centri aderenti al Gruppo italiano mammella (Gim). La tecnica messa a punto dall'Ist, spiega Marco Venturini, presidente Aiom e fra gli autori della ricerca, "consiste nella somministrazione della triptorelina, un ormone analogo dell'Lhrh, che per sua natura agisce 'proteggendo' i tessuti che proliferano rapidamente". Nel gruppo di pazienti trattato, l'8,9% è andato incontro a menopausa precoce rispetto al 25,9% di chi aveva ricevuto le cure standard, con una differenza assoluta del 17%. Non solo quindi la tecnica funziona ma, aggiunge Lucia Del Mastro, "i dati oggi disponibili non hanno indicato alcun effetto negativo sull'efficacia della chemioterapia".

Come agisce con tumori ormonosensibili. "Il ciclo mestrauale salta nel 40% di casi di donne sottoposte a chemioterapia, perché nel corso della cura i follicoli dell'ovaio vengono distrutti - spiega Del Mastro -. Utilizzando questo farmaco innovativo prima della chemio, riusciamo a proteggere le ovaie e i follicoli rimangono intatti. Abbiamo applicato questa tecnica anche nei casi di tumori ormonosensibili e si è dimostrata efficace. E' chiaro però che in questi casi, dopo la chemio sono necessari cinque anni di terapie antitumorali. Per questo motivo l'eventuale tentativo di avere una gravidanza va rimandato".

Meno disturbi. I ricercatori hanno verificato che bloccando le mestruazioni si fermano gli effetti collaterali della chemio, mentre senza questa terapia il danno alla funzione ovarica resta. Questo risultato, dice Venturini "è importante non solo sul fronte della salvaguardia della fertilità della donna colpita da cancro dopo la chemioterapia, ma che ha delle implicazioni molto forti anche sulla problematica della menopausa precoce". La tecnica, ribattezzata 'blocca-ovaie', migliora anche la qualità di vita della donna, evitandole disturbi come l'osteoporosi o le caldane. Grazie alla scoperta dei ricercatori italiani si aprono nuove speranze di diventare mamma per molte pazienti.

"Questa tecnica - precisa Venturini - non va ad escludere, ma semmai ad affiancare la pratica di mettere da parte gli ovuli e di congelarli prima di sottoporsi a chemioterapia per poi riutilizzarli con la fecondazione assistita".

"Addormentare le ovaie non preserva al 100% la fertilità", aggiunge Venturini, ma comunque "aumenta le possibilità di avere mestruazioni normali dopo le cure antitumorali". Possibilità che variano in base a diversi fattori, dal tipo di chemioterapia all'età della paziente. "La somministrazione dell'analogo dell'ormone Lhrh, almeno in donne con tumore alla mammella, potrebbe diventare uno standard - conclude Venturini - e essere utilizzata subito dagli oncologi per tutte le donne che vogliono ridurre il rischio di una menopausa precoce indotta dalla chemioterapia".

Nuove gravidanze dopo la malattia. Questa scoperta apre speranze per salvare la fertilità della donna, ma i ricercatori aspettano ulteriori conferme da nuovi test. "La tecnica può essere utile per prevenire la menopausa precoce. La prevenzione della menopausa è ovviamente condizione necessaria per la potenziale fertilità - conclude Del Mastro - . Ad oggi noi abbiamo osservato tre gravidanze nel gruppo di donne trattate con triptorelin e una gravidanza nel gruppo trattato con da sola. Sono neccessari tempi di osservazione più lunghi per avere una risposta definitiva sulla capacità di questa tecnica di preservare anche la fertilità".

I dati. In Italia ogni anno oltre 38 mila donne si ammalano di tumore al seno, circa una su dieci. Più dell'80 per cento dei casi riguarda persone che hanno superato i 50 anni. E’ importante valutare anche la familiarità, dal momento che circa il 10 per cento delle pazienti colpite dalla malattiaha più di un familiare stretto malato.

VALERIA PINI

lunedì 25 luglio 2011

Figli in provetta, mamma a 48 anni

Il Centro - 25 luglio 2011 — pagina 01 sezione: Chieti

CHIETI. Figli in provetta per non rinunciare al desiderio della maternità. Sono 179 le donne rimaste incinte nel solo 2010 grazie al Centro di medicina della riproduzione dell’ospedale Santissima Annunziata di Chieti. Al caso di Angela Palumbo, che a Sulmona ha partorito il suo Cristian all’età di 58 anni, risponde l’esperienza teatina, che si occupa di fecondazione assistita fin dal 1997. Tra le donne in gravidanza ce n’è una di 48 anni, la più anziana nella storia del centro teatino. La donna, che è ancora in età fertile, ha ottenuto la gravidanza con i propri ovuli.
«La legge italiana», dice Giammario Tiboni, responsabile della Medicina della riproduzione a Chieti, «tutela molto l’embrione. Non possono essere trattate con le nostre metodiche donne al di fuori dell’età fertile».
I divieti legislativi puntano, dunque, a scongiurare i casi di mamme-nonne. Ci sono anche altri limiti, come il no alla fecondazione eterologa, ossia il ricorso ad ovuli o sperma di membri esterni alla coppia, così come quello all’utero in affitto.
Nonostante ciò, la richiesta di trattamenti a Chieti è in costante aumento, in arrivo nel 20 per cento dei casi da fuori regione, in particolare Lazio, Marche e Puglia.
«In Italia la fecondazione assistita è possibile», continua Tiboni, «e ci sono centri pubblici che si dedicano da anni alle problematiche associate. I risultati da noi sono confortanti, con il 29 per cento delle donne trattate che riesce a rimanere incinta e un 15 per cento in media di gravidanze gemellari».
Proprio sui parti plurimi il Centro di Tiboni ha attivato un protocollo di monitoraggio intensivo delle donne in attesa, che ha dato ottimi risultati.
Nel 2009, primo anno di intervento in tal senso, su 165 gravidanze ben 21 gemellari andarono a buon fine con 44 nuovi nati.
Il Centro in media porta a termine ogni anno oltre 500 tecniche di fecondazione in vitro, l’unico in Abruzzo a farle, e oltre 600 inseminazioni artificiali.
Un’eccellenza che paga un prezzo amaro. Opera, infatti, ancora in ristrettezze di spazio e personale. All’interno della ginecologia teatina spesso le pazienti, che devono combattere con le problematiche della fertilità, si ritrovano ricoverate con accanto le neo-mamme e le loro culle.
E’ sottodimensionato anche il personale. L’unico strutturato è Tiboni, poi ci sono due medici a contratto e tre con borsa di studio.
«La Asl ha in programma di metter su un reparto dedicato a Ortona», rassicura Tiboni, «con tre laboratori, sala chirurgica, otto posti letto e stanze dedicate a ecografia e inseminazione. Oltre, finalmente, a un centro di crioconservazione di ovociti e tessuto ovarico, quest’ultimo di donne che sono sottoposte a terapie antitumorali e rischiano di perdere la fertilità».
Il centro teatino, infine, iscritto nel registro nazionale di procreazione medicalmente assistita dell’Istituto superiore di sanità e nel Centro nazionale trapianti, non ancora è inserito tra i centri di riferimento regionali, nonostante la domanda sia stata presentata oltre sei anni fa e sia l’unico a praticare in Abruzzo tecniche del cosiddetto “secondo livello”.

Sipo Beverelli

martedì 12 luglio 2011

Procreazione assistita, tra Sos età e riserva ovarica

Repubblica - 12 luglio 2011 — pagina 33 sezione: SALUTE

Il tre per cento dei bambini scandinavi - e forse non a caso l' Eshre, la società europea di riproduzione umana ed embriologia ha scelto Stoccolma come sede del suo ventisettesimo congresso internazionale - nasce con tecniche di procreazione assistita (Pma). Una percentuale elevata, se si pensa che negli altri Paesi europei la media oscilla tra l' 1,5 e l' 1,8 per cento. La strada seguita nei paesi nordici è quella delle gravidanze singole, con trasferimento di un singolo embrione. La Svezia, in particolare, ha il numero più elevato di trasferimenti singoli in Europa: il 95,3 per cento. E il Belgio non rimborsa i cicli con transfer multipli. In Italia, invece, il trasferimento di un singolo embrione non è certo maggioranza. Per vari motivi: l' età media delle donne che chiedono la Pma, 36 anni ma in molti casi anche 40, e i tempi di attesa che nei centri pubblici oscillano tra 1 e 2 anni. E infatti la Pma in Italia si fa molto nei centri privati (55% del totale) e nei privati accreditati (7,7%). Altro problema, che ha un riflesso sulle liste d' attesa, è il numero dei tentativi concessi alla coppia per arrivare ad una gravidanza, attualmente non stabilito. Per tutte queste ragioni - con l' obiettivo di riuscire ovviamente ad arrivare al cosiddetto bambino in braccio - i trasferimenti di singoli embrioni in cicli a fresco (senza cioè ricorrere a congelamenti) di Ivf (o Fivet) e Icsi in Italia sono soltanto il 19 per cento (dati ministero della Salute 2011), contro i 33,6 di quelli con due embrioni e addirittura il 44,8 per cento dei trasferimenti tripli. Hanno percentuali più alte solo Bulgaria (56,1), Turchia (64,5) e Grecia (68,9). E mentre nel resto del mondo la gravidanza multipla è considerata un fallimento della Pma, per mortalità e malattie correlate ai nati, in Italia quasi la si insegue per tentare una gravidanza in donne anziane (over 35). Ma se è vero che, sopra i 40 anni (vedi disegno) le percentuali di successo crollano drasticamente, è altrettanto vero che l' età anagrafica è un elemento importante ma generico. «La cosa più sensata - racconta Antonino Guglielmino, del centro Hera di Catania, 800 cicli l' anno in una regione in cui l' 87% dei cicli è in mano ai privati - è valutare la funzionalità delle ovaie e la riserva ovarica, perché ci sono donne che a 43 anni possono provarci e donne di 37 che non ha senso sottoporre a terapia. Non è logico il limite dei 50 anni posto dal Veneto, crea false aspettative. Utile invece quello che fa l' Aifa, che lega il rimborso dei farmaci per la stimolazione allo stato ormonale delle donne e non all' età: chi ha l' Fsh sopra 30 non avrà rimborso perché tentare una gravidanza è insensato. Il messaggio per le coppie è pensarci prima». E invece l' età delle donne che si avvicinano alla Pma è non solo alta ma in aumento: secondo l' ultima relazione del ministero della Salute è salita da 35,9 a 36,2. Altro discorso è quello legato al numero di tentativi concesso ad una coppia. Quando ci si deve fermare? E chi lo decide? «Lo decide il medico - chiarisce Francesco Fusi, che guida il Centro di fisiopatologia della riproduzione degli Ospedali Riuniti di Bergamo - anche se non è sempre facile dirlo alle coppie. Del resto continuare a oltranza non ha senso, soprattutto quando i parametri medici indicano chiaramente che le percentuali di gravidanza sono nulle». Questo non toglie, però, che coppie dissuase in un centro possano mettersi in lista d' attesa da un' altra parte, o affidarsi ai privati. Con un limite puramente economico. «Ci credo fino ad un certo punto- conclude Guglielmino - in Australia sono concessi gratis sei tentativi ma la maggior parte delle donne si ferma a 3,3. Perché non regge lo stress psicologico legato alle pratiche».

DAL NOSTRO INVIATO ELVIRA NASELLI STOCCOLMA

martedì 5 luglio 2011

Pma e Fivet, nuovo studio rivela "Più a rischio ovuli delle over 35"

Repubblica - 5 luglio 2011

Una ricerca presentata al congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia indica la possibilità di aumento di alterazioni cromosomiche nei casi di stimolazione farmacologica su donne non più giovani

STOCCOLMA - La stimolazione farmacologica delle ovaie in donne "anziane", sottoposte a trattamenti farmacologici per la fertilità, potrebbe provocare un aumento delle alterazioni cromosomiche negli ovociti prodotti e portare al fallimento della fertilizzazione in vitro, all'interruzione di gravidanza e, più raramente, alla nascita di bambini con alterazioni del numero di cromosomi (come la sindrome di Down).

Utile precisare che per "donne anziane", al congresso europeo dell'Eshre, la società europea di riproduzione umana ed embriologia, che riunisce in questi giorni a Stoccolma novemila specialisti da 115 paesi del mondo, si intendono le over 35, età in cui spesso, nel nostro paese, si comincia appena a pensare di poter avere un figlio.

Lo studio - risultato di un progetto pilota condotto dall'università di Bonn e dal Sismer di Bologna e i cui risultati sono in via di pubblicazione su Human Reproduction - ha utilizzato un nuovo metodo di esame dei globuli polari, piccole cellule prodotte nel corso dello sviluppo dell'ovocita, esaminati con la tecnica Cgh (microarray comparative genomic hybridisation). E si è scelto di studiare l'ovocita perché più soggetto ad anomalie nel numero dei cromosomi rispetto allo sperma.

"Grazie a questa nuova tecnologia del microarray - spiega Luca Gianaroli, chairman Eshre e presidente Sismer, Società italiana studi di medicina della riproduzione - si riescono ad analizzare anche da una sola cellula i frammenti di Dna, e di conseguenza a contare i cromosomi, tutte e 23 le paia. Analizzando i globuli polari, che sono i prodotti di scarto dell'uovo, prima della fecondazione e dopo l'ingresso dello spermatozoo, siamo riusciti ad individuare le anomalie cromosomiche. Se rimuoviamo gli ovociti patologici riduciamo il tempo che occorre per arrivare a una gravidanza, tenendo conto che comunque sopra i 35 anni oltre la metà degli ovociti è danneggiata, e che dai 43 anni in poi la percentuale sale fino al 70 per cento".

Lo studio ha preso in esame 34 coppie che si stavano sottoponendo alle fertilizzazione in vitro, esaminando con il loro consenso i globuli polari. L'età media della donna era di 40 anni (con un range tra 33 e 44). Escludendo le anomalie strutturali cromosomiche sono stati individuati errori nella meiosi femminile (processo di divisione cellulare fondamentale nella riproduzione sessuale, ndr) in 227 cromosomi analizzati su 2376. Il modello di questi errori rivelato dal sistema microarray Cgh, soprattutto nelle donne over 35 che si sottopongono a Fivet, è significativamente diverso dal concepimento naturale e l'alta incidenza di errori multipli nella fase della meiosi può indicare - secondo gli esperti - che la stimolazione ovarica coi i farmaci disturba gli ovociti "anziani".

"Questo studio - spiega Gianaroli - conferma dunque che l'età della donna influenza in modo molto severo la qualità degli ovociti. E a settembre continuiamo con uno studio prospettico randomizzato su centinaia di pazienti, che durerà un anno e mezzo, e coinvolgerà altri 5 centri europei e Israele".

Altro obiettivo dello studio - ha spiegato il professor Alan Handyside, direttore del London Bridge fertility, Gynaecology and Genetics Centre - è quello di analizzare la diversa incidenza di questi errori a seconda del differente regime di stimolazione degli ovociti utilizzato, compreso un regime leggero e anche un ciclo naturale di Fivet, in cui è prelevato un singolo ovocita per ciclo, fertilizzato e poi ritrasferito nella donna. "Il risultato delle nostre ricerche - ha concluso Handyside - dovrebbe permetterci di identificare le migliori strategie cliniche per ridurre l'incidenza di errori cromosomici nelle donne più anziane che si sottopongono a Fivet".

Avendo inoltre la possibilità - ha precisato il professor Joep Geraedts, coordinatore della task force Eshre sugli screening genetici pre-impianto - di identificare quelle donne che vorrebbero utilizzare i proprio ovociti ma che non hanno alcuna chance di successo. "Indirizzandole - ha spiegato - verso l'ovodonazione".
Pratica ancora vietata nel nostro paese, dove però c'è grande attesa tra gli specialisti e le coppie per la sentenza della Grande Camera della Corte europea di Strasburgo che arriverà quasi certamente entro settembre e che pronuncerà la parola definitiva sulla fecondazione eterologa, e quindi anche sulla donazione di gameti maschili e femminili. E dopo quella di Strasburgo dovrebbe arrivare a breve anche la sentenza della Corte Costituzionale, cui hanno fatto ricorso per profili di incostituzionalità della legge 40 i tribunali di Catania, Milano e Firenze.

ELVIRA NASELLI