Repubblica - 10 ottobre 2011
Boccuzzi, l'unico sopravvissuto della strage nell'acciaieria diventa papà: ma sulla fecondazione artifificiale la legge è troppo restrittiva. Alle famiglie come la nostra però vorrei dire di non mollare
"Rebecca arriverà il 7 novembre. Non so dire quanto sono felice. Per me, per mia moglie Giusy, per tutti quelli che come noi non potevano avere figli 'naturalmentè e alla fine ci sono riusciti. Il nome l'ho scelto io: suona bene con Boccuzzi, ed è un bellissimo personaggio della Bibbia". Antonio Boccuzzi ha 38 anni, è diventato suo malgrado l'uomo-simbolo della tragedia della ThyssenKrupp, l'unico su otto compagni a essere sopravvissuto al rogo che distrusse l'acciaieria che stava per essere dismessa.Oggi è un deputato del Pd. Ma forse è la prima volta, dopo la notte della tragedia, dopo che le ustioni sulla faccia sono scomparse, che sorride davvero. Perché la vita sta per ricominciare da capo, con l'arrivo di una bambina, e questo rende felici tutti i genitori, ma chi ha vissuto una tragedia ancora di più. Ma anche perché per lui e per Giusy, sposati da undici anni dopo un rapido fidanzamento, è un sogno che si avvera, al termine di un lungo viaggio che li ha portati a numerosi tentativi di fecondazione assistita, e finalmente al successo, a Bologna, nella clinica di Carlo Flamigni. "Io rispetto tutti, credo di capire, dopo questa esperienza, chi vuole un figlio e poi decide di lasciare perdere, o di adottare. Ma alle coppie come la nostra vorrei dire di non mollare, anche se in questo paese c'è una legge assurdamente restrittiva, anche se - purtroppo - per chi ha problemi economici e non può rivolgersi al privato i tempi sono lunghi, troppo lunghi. Qualcuno è più fortunato, altri meno, come la coppia di Mirabello che non ha più la sua bambina: non voglio entrare nel merito, ma sono solidale con loro".
Quando vi siete resi conto delle vostre difficoltà a diventare genitori?
"Ci siamo sposati giovani, era il 2000, io avevo 27 anni e Giusy uno di meno. Ci eravamo incontrati per caso, una sera in birreria, e da allora non ci siamo più lasciati. All'inizio non pensavano di avere figli subito. Io ero già operaio alla Thyssen, lei ha cambiato tanti lavori, faceva la commessa alle Gru. Ma i soldi erano pochi, e oggi ci si preoccupa molto, forse troppo, di poter garantire più benessere ai bambini di quanto ne abbiamo avuto noi. Un fatto è certo: fin dall'inizio, per Giusy diventare mamma era un'esigenza fortissima. Io la sentivo, sì, ma non così forte come lei. Prima dell'incendio, abbiamo cominciato a preoccuparci perché il bambino non arrivava. Poi, c'è stata la tragedia, e per un bel po' di tempo ho pensato a quella e non certo a diventare papà. Tre anni fa, abbiamo fatto i primi esami e scoperto che c'era un problema che dipendeva da me: spermatozoi pigri, un fatto piuttosto comune".
Molte coppie 'scoppiano' di fronte a queste cose, ci si incolpa a vicenda, oppure non si riesce a affrontare una terapia lunga e invasiva. A voi come è andata?
"Benissimo. Neppure per un attimo mia moglie mi ha fatto pensare che fosse 'colpà mia. Abbiamo fatto tutto insieme, i prelievi, le cure... Il ruolo dell'uomo in queste cose non è un granché, per le donne è più pesante. Ma anche quando toccava a me, ci abbiamo riso sopra, abbiamo sdrammatizzato... Del resto c'erano dei precedenti in famiglia".
Quali precedenti?
"Mi chiamo Antonio perché mia mamma (scomparsa nel gennaio del 2008, ndr) e mio papà mi hanno aspettato per sei anni. Sono nato dopo che mio padre si era sottoposto a una cura molto pesante, prescritta da un medico torinese, Antonio Mussa, e dopo che mia mamma era andata in pellegrinaggio a Padova e aveva fatto un voto a Sant'Antonio. Allora non c'erano le tecniche di oggi, ma i miei non si sono scoraggiati, e alla fine di figli ne hanno avuti tre".
A chi vi siete rivolti per cercare di avere un bambino?
"A un centro privato torinese, prima abbiamo fatto una Fivet, poi una Icsi (la tecnica oggi più usata, che consiste nel reimpiantare l'ovocità già fecondato, ndr) che pareva essere riuscita. Ma quella gravidanza è finita dopo venti giorni, per mia moglie è stato un dramma. Avevo già conosciuto il professor Carlo Flamigni, me lo aveva presentato Stefano Esposito a un dibattito a Torino sulla legge 40 e le limitazioni che impone alle coppie. Siamo andati da lui, e al secondo tentativo è andata bene. Ma, cosa altrettanto importante, io e soprattutto Giusy ci siamo sentiti accolti, capiti. Sono nate delle amicizie, sentivamo che il nostro problema era condiviso da tutti, dal professore alle infermiere".
Dov'era quando ha saputo che sarebbe diventato padre?
"In aula, a Montecitorio. E' arrivato un fax con l'esito degli esami e mia moglie mi ha chiamato prima ancora di leggerlo, lo abbiamo saputo insieme. Da lì sono cominciati nove mesi di emozioni incredibili. Io non ci credo che già all'ultima ecografia si vedesse che Rebecca mi assomiglia, ma mia moglie mi ha fatto trovare sul computer di casa una mia foto da piccolissimo accostata a quella dell'ecografia...".
Il 7 novembre è un lunedì. Ci sarà?
"Altroché. E' una data che abbiamo scelto per essere più che sicuri che io potessi essere al Sant'Anna. Siamo nati tutti lì, anche mia mamma, e ora ci nascerà Rebecca".
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