martedì 29 giugno 2010

«Fuga dalla provetta»

Corriere della Sera - 29 giugno 2010

Il 78 per cento delle coppie rinuncia alle cure contro la sterilità: troppo costose e pesanti

ROMA – Costano cari i figli in provetta. Non solo sul piano economico ma soprattutto psicologico. Ecco perché il 78% delle coppie infertili non arrivano ai trattamenti di procreazione medicalmente assistista e il 50% di coloro che intraprendono le cure le interrompono ancor prima di verificarne l’esito. È uno dei dati più interessanti emersi dalla più vasta indagine mondiale finalizzata alla comprensione dei meccanismi che condizionano o impediscono la ricerca di un aiuto medico. Allo studio hanno partecipato 10 mila coppie con problemi di concepimento provenienti da 18 Paesi, tra cui l’Italia. «Sono risultati che impongono una seria riflessione da parte dei responsabili delle cliniche. Evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa e occorre una rivoluzione anche nel nostro modo di accogliere queste persone e affrontare i loro problemi. C’è bisogno di umanizzazione. Forse siamo diventati troppo biotecnologici anche noi», commenta e fa autocritica Nino Guglielmino, responsabile del centro Hera di Catania.

LA RICERCA - La ricerca dal titolo «Starting Families» è stata presentata al congresso annuale della European Society of Human Reproduction and Embriology (Eshre) dall’azienda MerkSerono che l’ha realizzata con la collaborazione delle università di Cardiff e il sostegno di associazioni di consumatori. Guglielmino focalizza l’analisi sul fenomeno dell’accesso difficile alle terapie. Il 56% degli aspiranti genitori che non arrivano ai centri lo fanno anche dopo aver preso contatto con i medici. È indicativo il fatto che una buona parte di quelli che, superando gli ostacoli, cominciano un trattamento antisterilità, abbandonano il percorso anche quando l’assistenza viene rimborsata. È il caso dell’Australia dove 6 cicli di iperstimolazione ovarica e i successivi tentativi di fecondazione con le tecniche (Icsi e Fivet) sono a carico dello Stato. Eppure il 65% delle coppie si ritirano dopo il terzo ciclo. «Se vogliamo andare incontro ai pazienti – insiste Guglielmino – dobbiamo correggere il tiro. Innanzitutto occorrono aiuti economici. In secondo luogo bisogna ripensare i protocolli medici preferendo quelli meno aggressivi, chiamati mild, con farmaci per l’ipersimolazione, le gonadotropine, a bassi dosaggi e il trasferimento di un solo embrione. Sul piano delle gravidanze l’efficacia a un anno è uguale a quella dei protocolli tradizionali e le coppie ne traggono benefici psicologici. Meno stress per le donne». La ricerca Starting Families ha messo in luce alcune caratteristiche dell’Italia. Le coppie, assieme ai tedeschi, hanno il grado più basso di capacità di confidare i problemi di concepimento e sono meno propense a cercare soluzioni mediche. Donne e uomini italiani sono inoltre i meno consapevoli di cosa sia un trattamento antisterilità. Tra i dati raccolti nello studio MerkSerono i costi delle cure. Una fertilizzazione in provetta si aggira attorno ai 12.500 dollari per ciclo negli Usa mentre è di 3.900 dollari in Giappone. Dunque in questi Paesi un bambino costa mediamente 41.000 e 24.mila dollari. Gli Stati che prevedono forme di rimborso registrano la più bassa percentuale di gravidanze multiple e, di conseguenza, un minor ricorso a terapie costose associate a nascite premature e bambini sotto peso.

Margherita De Bac

lunedì 28 giugno 2010

Fecondazione artificiale, quasi 4 milioni i bambini

Entro un anno il numero di bambini nati grazie alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita avra' raggiunto quota 4 milioni. La stima arriva dal convegno Eshre (European Society of Human Reproduction and Embryology) sulla fecondazione artificiale che si tiene a Roma a partire da ieri.
In Italia si stima siano nati in questo modo dal 1980 - ha spiegato il presidente del Convegno Luca Gianaroli - dai 100 ai 150 mila bambini.
In alcuni paesi dome la Danimarca si conta ormai un bambino nato con queste tecniche ogni 10-12 bambini. 'Cio' vuol dire che in ogni classe scolastica ce ne sono almeno due - ha proseguito l'esperto - mentre in Italia se ne stima uno su cento'.
Si stima, inoltre, che su scala mondiale siano nati oltre 3,75 milioni di bambini dalla nascita della prima neonata (Louise Brown), avvenuta 32 anni fa grazie appunto alla procreazione medicalmente assistita, ma che ormai nell'arco di un anno solo sara' raggiunta quota 4 milioni. La Francia (65.749 cicli di trattamento), la Germania (54.695), la Spagna (49.943) e il Regno Unito (43.953) rappresentano il 56% di tutti i cicli avviati in Europa.
Gli altri paesi europei eseguono un numero significativo di cicli, come l'Italia (40.748), la Turchia (37.468), il Belgio (22.730), la Russia (21.274) e i Paesi Bassi (17.770).

Aduc - 28 giugno 2010

domenica 27 giugno 2010

Così avrò un' altra bambina grazie alla diagnosi prenatale

Repubblica — 27 giugno 2010 pagina 1 sezione: BARI

MARIA aveva un sogno: una famiglia numerosa. Ma dopo la prima bambina, nata nel 2006, il sogno si è infranto. Oggi, dopo anni di dolore, analisie speranza, grazie alla diagnosi preimpianto ha ricominciatoa vivere: con suo marito, «cheè un angelo», la loro bambina e un' altra figlia in arrivo, all' undicesima settimana di gravidanza. Questaè la storia di una giovane donna della provincia di Lecce, alla quale abbiamo dato il nome di Maria. AVVOCATO civilista, 31 anni, è la prima donna pugliese ad avere superato lo scoglio della legge 40, quella sulla fecondazione assistita, nella parte che fino ad aprile del 2009 vietava la selezione degli ovuli e costringeva le donne italiane a chiedere aiuto all' estero, con costi molto elevati. E' stato allora, con una sentenza della Corte costituzionale, che la diagnosi preimpianto è stata "sdoganata", solo nei confronti delle coppie con problemi di fertilità. E la vita di Maria riparte da lì. Il dramma inizia nel 2008, quando sua figlia aveva due anni. Maria era rimasta di nuovo incinta, aveva partorito un bel bambino, ma presto aveva manifestato i sintomi di una malattia del metabolismo molto rara. Dopo un ricovero in un ospedale del nord Italia e la contestuale ricerca delle cause, il neonato è morto a soli 15 giorni. E' stato allora che Maria ha scoperto di aver trasmesso assieme al Dna, la malattia (due casi in Italia): una patologia che solo i maschi possono ereditare. Poi piano piano si accende una luce di speranza: consultando Internet Maria scopre la possibilità, in due centri di Roma e uno di Firenze, di selezionare gli ovuli prima di impiantarli nel suo corpo, "scegliendo" quello che non ha nel Dna tracce della sua malattia, necessariamente di sesso femminile. «Il dottor Francesco Fiorentino, direttore del Laboratorio Genoma di Roma, ci ha finalmente dato una possibilità- spiega lei - Ci ha illustrato la tecnica, ci ha detto dei tre centri. Abbiamo scelto quellodi Firenze, il "Demetra", diretto dalla dottoressa Claudia Livi, ci siamo rivolti a lei, per istinto. Lei è una persona speciale, ci ha fatto sentire a casa. Ci ha dato un listone di analisi, siamo partiti subito». Ora il miracolo è riuscito, Maria avrà un' altra bimba. «Mi aspettano questi mesi, nella speranza di averla sana. Non mi sembra vero. Due anni e mezzo fa non lo prevedevo - racconta- ti cade addosso il mondo, da un giorno all' altro ti si stravolge la vita, anche perché sei tu la causa della sua morte». Accanto a lei, suo marito: «Lui è un angelo, mi ha supportato in ogni scelta, non mi ha mai dato fretta, ha sempre rispettato i miei tempi - continua - La scelta di questo percorso è stata mia, lui non ha mai detto nulla perché io non pensassi che lui mi riteneva responsabile. Quando succedono queste cose in una coppia, o va tutto a rotolio si rinsalda come noi, siamo stati forti e fortunati a trovare in Italia queste tecniche, prima non era possibile, la legge 40 è bastarda».

MARA CHIARELLI

sabato 26 giugno 2010

"Sarò mamma di una bimba sana dopo la rivoluzione della legge 40"

Repubblica - 26 giugno 2010

Parla la prima donna che ha fatto la diagnosi preimpianto in Toscana
Dopo la sentenza della corte Costituzionale la tecnica non è più vietata

Una malattia del metabolismo che non lascia scampo ai figli maschi: muoiono entro un mese dalla nascita. Maria (il nome è inventato) ha scoperto di averla nel 2008, quando il suo primo bambino è vissuto solo pochi giorni. Da allora ha cercato una soluzione per diventare mamma, ha parlato con professionisti, spulciato internet per trovare strutture dove poter fare la diagnosi preimpianto. In Italia non c´erano: la pratica allora era vietata dalla legge 40 sulla procreazione assistita. Quel testo è stato scardinato nell´aprile del 2009 dalla corte Costituzionale proprio nella parte in cui vietava indagini sugli embrioni. «E ora grazie ad una struttura fiorentina ho una nuova speranza: sono incinta alla undicesima settimana. Aspetto una bimba sana». Maria si è rivolta al centro Demetra, convenzionato con il servizio pubblico, ed oggi è la prima donna ad aver concepito un figlio dopo aver fatto in Toscana il trattamento che evidenzia gli embrioni non malati.

Proprio dal centro Demetra, assistito dall´avvocato Gianni Baldini, era partito uno dei ricorsi che hanno spinto la Corte Costituzionale ad esprimersi sul tema della diagnosi preimpianto, rendendola possibile quando i genitori sono portatori di una grave patologia ereditaria e infertili. Il caso era quello di una coppia milanese che si era rivolta alla struttura fiorentina per chiarire se gli embrioni prodotti con le tecniche di fecondazione assistita fossero portatori della stessa grave malattia della madre. Venne fatto un primo ricorso al giudice civile di Firenze, che nel 2007 dette ragione alla coppia. Due anni dopo si è espressa la Suprema corte. Fino ad oggi, però, nessuna donna era rimasta incinta dopo la diagnosi in Toscana, o meglio a Demetra, l´unica struttura della nostra regione in grado di fare il trattamento.
Ci è riuscita Maria. «Sono felice - racconta - Ho scoperto il centro attraverso internet, lo ho contattato circa un mese e mezzo prima che fosse resa nota la sentenza della corte Costituzionale». La donna ha 31 anni e lavora come avvocato. Vive in Puglia. Oltre alla malattia del metabolismo, lei e il marito dopo aver fatto una bimba sana e dopo la morte del secondo figlio, hanno avuto problemi di fertilità. «Il 5 febbraio scorso sono stata visitata dalla dottoressa Livi. Ho fatto tutti gli esami, poi la stimolazione. Non è un cammino semplice, anzi dal punto di vista fisico è stato piuttosto pesante. Ma per un figlio queste cose si sopportano. E poi io volevo una bambina sana. Sono stata accolta in maniera stupenda, come una di famiglia». Ad analizzare le cellule degli embrioni, per scoprire se erano portatori della stessa malattia della madre, è stato il laboratorio Genoma di Roma. A dirigerlo è Francesco Fiorentino: «Voglio sottolineare che a differenza con altri centri con cui collaboriamo, quello fiorentino è convenzionato, cioè le coppie non pagano. Altrove il costo è anche di 7.500 euro. Finalmente possiamo fare la diagnosi sull´embrione. Non capisco chi è contrario: questa pratica è sempre meglio di un successivo aborto».

Il direttore sanitario di Demetra, Claudia Livi, chiarisce un punto: «Ad oggi la diagnosi preimpianto può essere richiesta solo dalle coppie che hanno problemi di infertilità, perché l´accesso alle tecniche di procreazione assistita è consentito solo a chi è sterile. Questo ce lo dice la legge ma le ultime sentenze, come quella pronunciata di recente a Salerno, dicono anche che la diagnosi preimpianto è indicata anche per coppie che non hanno problemi di fertilità ma di malattie genetiche ereditarie». Ma perché è un centro privato, anche se convenzionato, e non pubblico a fornire un servizio del genere in Toscana? «Noi siamo una équipe molto interessata alle nuove sfide, a tutto quello che ci fa crescere professionalmente ed è positivo per le pazienti. Siamo interessati e disponibili a imparare. Le nostre biologhe hanno imparato a fare il prelievo delle cellule degli embrioni e abbiamo potuto mettere a disposizione delle donne questa tecnica».

MICHELE BOCCI

venerdì 25 giugno 2010

Fecondazione, nuova tecnica con spermatozoi superselezionati

Sono veri e propri 'superspermatozoi', o meglio spermatozoi 'superselezionati', e utilizzando solo loro nella fecondazione assistita, oltre alla sostanziale certezza del buon esito (99% di efficacia) si dimezza il rischio di malformazioni del nascituro rispetto alle nascite naturali. E' il frutto della nuova tecnica IMSI (Intra morfologic sperm injection), che Severino Antinori, presidente della Warm, presentera' oggi al Congresso mondiale sull'infertilita' maschile in corso a Roma. Il segreto e' in un ingrandimento-record al microscopio, che consente di scovare i piu' piccoli difetti degli spermatozoi in esame e selezionare solo il meglio del meglio. "Con questa tecnica - spiega Antinori - riusciamo a ingrandire lo spermatozoo di 10.000 volte, e scegliamo quello con le migliori condizioni morfologiche, sia nella testa che nella coda". La tecnica, di cui Antinori e il suo team sono gli inziatori nel mondo insieme agli israeliani dell'universita' di Tel Aviv, funziona: "In Italia ho gia' fatto nascere 300 bambini cosi' - spiega Antinori - e a livello internazionale, su 1.000 casi in tutto, le malformazioni sono state appena l'1% del totale, contro il 2% che esiste in natura e il 4% delle tradizionali tecniche di fecondazione assistita". Unico problema, le accuse di "eugenetica", che pero' non sfiorano Antinori: "Alcuni media internazionali, ovviamente di matrice cattolica, ci accusano di fare selezione genetica. Ma noi non scegliamo gli spermatozoi per creare bambini biondi e con gli occhi azzurri, ma solo per utilizzare quelli piu' idonei alla fecondazione assistita. Poi se il bambino e' bello o brutto, lo decide la natura".

Aduc - 25 giugno 2010

mercoledì 16 giugno 2010

Trecento bambini nati in vitro

Trentino — 16 giugno 2010 pagina 03 sezione: CRONACA

TRENTO. In Trentino sono circa 300 i bambini nati “in vitro”. In futuro questo numero è destinato ad aumentare. Perché il problema dell’infertilità delle coppie è pressante e la lista d’attesa di coloro che si rivolgono al centro di fecondazione assistita di Arco è piuttosto lunga. Il dottor Arne Luehwink, il primario, sta attendendo i rinforzi che l’Azienda sanitaria gli ha promesso. «L’obiettivo - dice il medico - è quello di arrivare a rispondere a 600 richieste complessive dei diversi trattamenti all’anno. Oggi riusciamo ad arrivare circa alla metà. Con un potenziamento potremmo dare un maggior numero di risposte. Principalmente mancano anestesisti: li aspettiamo con ansia». Sono sempre di più le coppie che si rivolgono ad Arco, l’unico centro in provincia che si occupa di fecondazione assistita, ma il problema non è legato ad un aumento dei casi di infertilità, bensì ad un cambio di mentalità che però non è ancora compiuto dal tutto. L’infertilità è nella maggior parte dei casi una malattia, ma resiste ancora forte il tabù: «Ancora oggi - dice il primario - è più facile fare outing sull’omosessualità o sulla positività all’Aids che sul tema dell’infertilità». Si smonta anche il luogo comune per cui l’ambiente e l’inquinamento siano all’origine dell’infertilità che colpisce una coppia su dieci a livello europeo (e il Trentino rispetta questa media). All’origine, invece, c’è la tendenza a ritardare sempre di più il concepimento di un figlio. E più si attende, meno facile sarà mettere in cantiere l’erede. E’ una questione naturale: prima dei 35 anni la “materia prima” è in buono stato, poi lentamente ma inesorabilmente si deteriora. La società moderna invece tende a far concentrare la coppia su altre cose, tra cui anche il lavoro e la carriera, portandole a coronare il sogno del figlio quando rischia di essere troppo tardi. E ne soffre l’equilibrio demografico. In Germania la media delle gravidanze è di 1,3, un numero troppo basso per garantire una crescita equilibrata della popolazione. Si dovrebbe arrivare almeno ad una media di 2. Il fattore età è dunque determinante. Chi “sfora” questo limite naturale può dunque trovarsi a fare i conti con l’infertilità, tendenzialmente dovuta alla donna ma molto spesso associata a quella del partner. E così le coppie si rivolgono al centro arcense. Il percorso è seguito attentamente perché la questione è delicata in tutti i suoi aspetti, non ultimo quello psicologico. Prima si verifica la situazione e si cerca di capire quale sia il reale problema che impedisce la fecondazione naturale. Poi si interviene nel modo più opportuno. Quello più “semplice” è la fecondazione intrauterina che si esegue in anestesia generale. Molto più complesso e delicato è invece l’intervento “in vitro”, dove l’embrione viene “creato” in laboratorio ed impiantato nell’utero entro cinque giorni. Non si tratta di manipolazione genetica, cioè non si interviene sulla scelta o sulla qualità del “futuro bambino”, poiché comunque si lavora sulla materia prima della coppia richiedente (la legge italiana non prevede la fecondazione eterologa). C’è anzi un rischio leggermente superiore rispetto al metodo naturale di nascite con malformazioni. Per questo tipo di intervento i tempi d’attesa variano dagli otto ai nove mesi.

Robert Tosin

Fecondazione, esperti: congelamento ovociti per donne con cancro

Congelare ovociti o pezzi di tessuto ovarico per avere piu' chance di diventare mamme dopo il cancro. Lo sostengono gli esperti riuniti ieri a Bologna al convegno 'Maternita' dopo il tumore: le nuove frontiere della scienza'. Secondo gli ultimi dati della Banca tumori, in Italia nelle donne fra i 15 e i 44 anni malate di un tumore maligno si registra una riduzione della mortalita' del 27,81%. Una bella notizia, che pero' porta con se', come rovescio della medaglia, il problema della qualita' di vita futura di queste pazienti. E quindi della loro maternita'.
"Le terapie utilizzate per curare i tumori portano a uno stato di sterilita' irreversibile - spiega Andrea Borini, presidente della Societa' di conservazione della fertilita' ProFert - Le ovaie sottoposte a radioterapia e a chemioterapia perdono il loro patrimonio follicolare facendo entrare la paziente in menopausa forzata. E' quindi importante poter conservare oociti o pezzi di tessuto ovarico da utilizzare dopo la guarigione dal tumore. Oggi nel mondo sono nati piu' di mille bambini da ovociti congelati e tredici da tessuto ovarico".
La tecnica, dunque, sembra funzionare, a patto che gli interventi siano tempestivi: vanno eseguiti prima dell'inizio delle cure. Cio' significa, sottolineano gli specialisti, che l'oncologo che ha in cura la paziente deve informarla di questa possibilita' nel piu' breve tempo possibile e agire in stretta e immediata collaborazione con un esperto di procreazione assistita. "Negli Stati Uniti, se un oncologo non informa la paziente della possibilita' di preservare la sua fertilita', rischia una azione legale", spiega Fedro Peccatori, direttore del Progetto fertilita' e gravidanza in oncologia all'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano.
"E' importante fin da subito - afferma Peccatori - valutare il rischio di infertilita' relativo al trattamento previsto, considerare la prognosi oncologica e discutere delle diverse opzioni di preservazione della fertilita' con la paziente".
Secondo uno studio presentato al congresso della Societa' americana di oncologia clinica (Asco), gli oncologi affermano che 'se non sanno non dicono', cioe' se non conoscono bene un argomento preferiscono non parlarne.
"E' quindi necessario creare prima di tutto una rete di informazione che coinvolga i medici e le pazienti e che poi agisca sul campo con rapidita'", evidenzia Borini, spiegando che "il tessuto ovarico puo' essere prelevato dal chirurgo direttamente nell'ospedale in cui e' in cura la donna, congelato e poi spedito in un Centro specializzato per la conservazione".

Aduc - 16 giugno 2010

sabato 12 giugno 2010

Affitta l’utero in Ucraina e torna col figlio L’inchiesta sarà archiviata

Corriere della Sera - 12 giugno 2010

Nessun reato contestabile a una coppia trevigiana

VENEZIA - Quattro mesi di indagini hanno portato ad un nulla di fatto. O meglio alla convinzione che non possa essere contestato alcun reato alla coppia trevigiana finita al centro della cronaca a inizio anno dopo che nei giorni di Natale era stata fermata all’aeroporto Marco Polo di Venezia insieme ad una bambina appena nata dall’«utero in affitto» di una donna ucraina. Il magistrato titolare dell’indagine, il pm veneziano Giovanni Zorzi, ha infatti trasmesso all’ufficio Gip lagunare una richiesta di archiviazione per i due genitori, i quali erano stati indagati con la pesante accusa di alterazione dello stato civile. Secondo il pm infatti in presenza di un certificato di nascita valido in cui si dice che la donna è la madre - emesso dall’Ucraina, paese in cui la «maternità surrogata» è consentita dalla legge -, la legge italiana non prevede la contestazione di un reato. Anzi, l’ufficiale di stato civile del comune trevigiano in cui vive la coppia ha provveduto, dopo essersi consultato con un’altra procura, quella di Treviso, a trascrivere il certificato in Italia; resta solo aperto ora un procedimento di fronte al Tribunale per i minorenni, per valutare se alla luce del comportamento tenuto la coppia sia idonea a tenere il bambino.

Un esito che apre la porta a chi, non riuscendo ad avere figli per via naturale, cerca disperatamente un modo alternativo per potersi godere un bambino. Una vicenda che ancora una volta si colloca a cavallo tra giustizia penale, etica e buon senso: è ammissibile considerare madre una donna che in realtà non ha portato in grembo il bambino, ma che ha «prestato» ad un’altra donna il seme del marito? In Ucraina lo è, tanto che si è sviluppato un mercato di circa un migliaio di coppie all’anno, provenienti da tutto il mondo: ci sono gli annunci su internet, con pacchetti - tanto per citare un esempio - da 4.900 euro («economico» con un unico tentativo), 8.900 («doppio»), 12 mila («ideale», quanti tentativi si vogliono), fino a 30 mila euro. La coppia era stata pizzicata a Natale in aeroporto, con la bimba di 25 giorni. I due avevano simulato una gravidanza di lei, salvo poi andare a ritirare la piccola in Ucraina. Alla frontiera erano stati fermati dalla Polizia e da lì era nata l’indagine. Le dichiarazioni dei due presunti genitori e l’indagine genetica hanno confermato tutto: lui aveva dato il suo seme alla donna ucraina. Ma secondo una legge del 2008 in questo caso sul certificato di nascita viene indicato il nome della «finta» mamma, senza indicare in alcun modo che concepimento, gravidanza e parto sono avvenuti nel corpo di un’altra donna.

Un caso sicuramente complesso, ma che si basa comunque - questa la tesi del magistrato - su un atto regolare di un paese straniero, su cui ovviamente la giustizia italiana non può mettere bocca. L’utero in affitto, oltre che in Ucraina, ritenuta però la «patria» della pratica, è consentito anche in Gran Bretagna, Stati Uniti, Israele, Russia. Sembrerebbe quindi caduta - in attesa di quanto disporrà il gip - la pesante accusa di «alterazione di stato», prevista dall’articolo 567 del codice penale: si va dai tre ai dieci anni di reclusione in caso di alterazione dello stato civile di un neonato, sostituendolo, addirittura dai cinque ai quindici anni in caso di false certificazioni o attestazioni nella formazione di un atto di nascita. «Non è il pm che ha acconsentito bonariamente a scagionare la coppia in questione, ma si tratta di una situazione probabilmente insuperabile per il diritto penale italiano - commenta l’avvocato bolognese Giorgio Muccio, esperto di questioni legate alla fecondazione artificiale e consulente di un noto blog sul tema - Per evitare casi del genere il legislatore italiano potrebbe porre mano alle norme penali, soprattutto relative alla territorialità, perché se un fatto non è previsto come reato in un paese straniero, non è possibile contestarlo una volta rientrati in Italia».

Alberto Zorzi

mercoledì 9 giugno 2010

GRAN BRETAGNA - Procreazione assistita e legge 40, un terzo dei 'turisti' europei e' italiano

Continuano a farsi notare gli effetti negativi della Legge 40 sulla fecondazione assistita, legge fortemente voluta e ottenuta dal Vaticano, anche se già demolita in buona parte dalla Corte Costituzionale (italiana) per incostituzionalità. Ebbene, quasi un terzo delle coppie che girano l'Europa per sottoporsi a trattamenti di fecondazione assistita viene dall'Italia. Lo afferma uno studio pubblicato dalla rivista Human Reproduction, che ha investigato sui pazienti di cliniche della fertilita' di sei paesi. I ricercatori della task force della societa' europea per la riproduzione umana e l'embriologia (Eshre) hanno sottoposto 1230 questionari a sei cliniche per la fertilita' in Svizzera, Belgio, Danimarca, Slovenia, Spagna e Repubblica Ceca, chiedendo la provenienza dei pazienti dall'estero. Il risultato e' stato che il 31,8 per cento delle coppie viene dall'Italia, di gran lunga il paese piu' rappresentato fra i 49 riscontrati dai questionari, seguito da Germania (14,1 per cento), Olanda e Francia. Per quanto riguarda le motivazioni, quelle legali sono le piu' rappresentate. Si reca all'estero per aggirare norme restrittive il 70,1 per cento degli italiani e l'80% dei tedeschi, mentre al secondo posto c'e' la ricerca di una migliore qualita' delle cure. "Il fenomeno del 'turismo riproduttivo' e' in ascesa, soprattutto per evadere leggi troppo restrittive nei rispettivi paesi - ha concluso l'articolo - questo rende necessario stabilire degli standard europei di qualita' per i trattamenti".

Aduc - 9 giugno 2010

martedì 8 giugno 2010

Fecondazione, una mozione al Senato “Consentire l’eterologa anche in Italia”

Repubblica - 7 giugno 2010

I radicali presentano una mozione contro la Legge 40 al Senato: "La norma è incostituzionale nella parte in cui vieta in maniera assoluta le tecniche eterologhe". Un principio ribadito anche da una recente sentenza della Corte di Strasburgo: "L'Europa rispetti i diritti inviolabili dell'individuo e l'uguaglianza di tutti i cittadini"

L’eterologa è un diritto e la Legge 40, così com’è, non è compatibile con la giurisprudenza europea. L’articolo 4 della tanto discussa norma che regola la fecondazione assistita in Italia torna a far discutere. Questa volta la piazza è il parlamento italiano. La radicale Donatella Poretti, segretaria della commissione Igiene e Sanità, ha presentato una mozione al Senato contro il divieto di avere figli usufruendo del seme di un donatore o dell'ovocita di una donatrice.

“La legge 40 – scrive Poretti – è incostituzionale nella parte in cui vieta in maniera assoluta le tecniche eterologhe, la donazione cioè dei gameti, in quanto viola gli articoli 2 e 3 della Costituzione: i diritti inviolabili dell'individuo e l'uguaglianza di tutti i cittadini”.

Un principio ribadito anche da una sentenza della Corte di Strasburgo che, lo scorso 7 aprile, ha specificato che la fecondazione eterologa non si può impedire. Perché proibire il ricorso alla donazione di ovuli e sperma per la fertilizzazione in vitro è una violazione dell'articolo 8 della convenzione europea per i diritti dell'uomo. I giudici hanno stabilito che gli Stati non sono obbligati a legiferare in materia di Pma ma, se lo fanno, tale legge deve essere coerente e prendere in considerazione gli interessi di tutti, anche di quelli che per concepire hanno bisogno della donazione.

La sentenza è entrata così in contrasto con le disposizioni contenute nell’articolo 4 della norma che stabilisce: “È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”. Oggi nel nostro Paese non si può diventare genitori con l'ausilio del seme di un donatore o dell'ovocita di una donatrice.

I nove senatori che hanno presentato la mozione, tra cui Emma Bonino, riprendono la sentenza e ricordano al Governo di rispettare gli impegni presi a Interlaken, cioè di “tener conto degli sviluppi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo” e di non difendere dinanzi alla Corte costituzionale l’articolo 4 perché in contrasto con l'impegno assunto a Strasburgo dallo Stato italiano il 10 e 24 marzo 2010 in ordine al piano d'azione di Interlaken.

La Legge 40 insomma, dopo le sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Strasburgo, resta nell’occhio del ciclone. Nel 2009 la Consulta aveva dichiarato illegittimi due articoli della norma, e in particolare quelli che vietavano la diagnosi genetica di preimpianto e obbligavano all'impianto contemporaneo di tre embrioni a prescindere dalle condizioni cliniche del singolo caso. Se, così come è avvenuto nell'aprile del 2009, i giudici ritenessero incostituzionale l’articolo 4, la legge sulla procreazione medicalmente assistita sarebbe, di fatto, cancellata.

sabato 5 giugno 2010

Più facile diventare mamme dopo un tumore al seno

Corriere della Sera - 5 giugno 2010

La somministrazione dell’ormone Lhrh mette al riparo le ovaie dai danni dei chemioterapici e salva la fertilità

Dal nostro inviato Chicago – Prima vincono la battaglia contro un tumore al seno, poi vogliono diventare mamme. Nessuna controindicazione, dicono le ricerche: la gravidanza, per chi è sopravvissuta alla malattia, è sicura. C’è però un problema: le terapie adiuvanti, quelle prescritte dopo l’intervento chirurgico per prevenire le ricadute, possono provocare una menopausa precoce e compromettere la fertilità della donna. Una soluzione, però, esiste, è nuova e la propone Lucia Del Mastro all’Asco, il congresso annuale degli oncologi americani che è in corso a Chicago.

MENOPAUSA PRECOCE - «Abbiamo sperimentato una tecnica semplice – spiega l’oncologa che lavora all’Istituto Tumori di Genova – che consiste nella somministrazione di un ormone, un analogo dell’Lhrh (quest’ultimo viene prodotto dall’ipotalamo, una ghiandola del cervello e , attraverso l’ipofisi, un’altra ghiandola cerebrale, interferisce con l’attività delle ovaie, ndr). Questo farmaco mette a riposo l’ovaio, riducendo così l’effetto tossico dei farmaci chemioterapici». Lo studio, coordinato da Lucia Del Mastro, il primo al mondo di questo tipo, ha dimostrato che il farmaco riduce del 20 per cento (dal 50 per cento al 30 per cento) il numero di donne che vanno incontro a una menopausa precoce, preservando quindi la fertilità.

FECONDAZIONE IN VITRO - Le tecniche utilizzate finora, per consentire una gravidanza dopo le chemioterapie, consistono fondamentalmente nel congelamento degli ovuli che vengono poi utilizzati per la fecondazione in vitro. In rari casi si è congelato anche l’intero ovaio che è stato poi reimpiantato. «Non sono poche oggi le donne che vanno incontro a un tumore al seno sotto i quarant’anni – aggiunge Lucia Del Mastro. - La percentuale si aggira attorno al 4 per cento di tutti i casi, il che significa almeno 1.500 donne ogni anno in Italia. E, secondo i dati che abbiamo a disposizione, il 33 per cento non ha figli». Lo studio ha coinvolto 16 centri per un totale di 280 pazienti, divisi in due gruppi, uno trattato e uno no, dimostrando l’efficacia del farmaco, ma lasciando ancora aperta la discussione sul suo meccanismo d’azione.

DUE MECCANISMI - «Ci possono essere due meccanismi – commenta l’esperta. - Il primo consiste in una riduzione della quantità di sangue che arriva all’ovaio e di conseguenza anche in una riduzione dei chemioterapici, presenti nel sangue, che possono raggiungere la ghiandola. Il seconda sta nel fatto che l’Lhrh blocca gli ormoni che fanno maturare i follicoli, preservandoli».

Adriana Bazzi