Corriere della Sera - 7 ottobre 2011
Nel 2005 Londra cambia le regole: i figli hanno diritto di conoscere il donatore. Ma è una legge migliore?
Gli iscritti sono più di 33 mila, i fratellastri che si sono scoperti tali quasi novemila, i padri «ritrovati» 15 mila, i visitatori del sito, anche europei, 10 mila ogni mese: il Donor Sibling Registry da quando è nato nel 2000 per iniziativa di Wendy Kramer, mamma single del Colorado, e di suo figlio Ryan concepito col seme di un donatore anonimo, ha avuto un successo quasi inspiegabile. Per abbattere il «buco nero» della paternità genetica, bisogna inserire il numero identificativo fornito all’epoca dalla banca del seme e vedere se qualcuno si fa vivo. Perché si vuole conoscere le proprie origini? Per semplice curiosità, per essere rassicurati su se stessi, sulle proprie radici, ma anche per trovare i quasi-fratelli. Come se queste persone si sentissero la metà di una mela e intravedessero finalmente la strada per ritrovare l’altra. Se leggiamo qualche storia sul blog troviamo frasi come quella di Cara che scrive: «Il registro mi ha cambiato la vita; ora so di avere una sorella, è come scoprire una nuova famiglia». Che può rimanere virtuale, o arrivare all’incontro in carne ed ossa e poi ad una relazione.
Quella della Kramer non è l’unica iniziativa; esiste da poco un sito web, Anonymous Us, già molto cliccato, creato da Alana Stewart, una ragazza newyorkese che invita altre persone con la sua stessa storia di inseminazione artificiale a raccontarsi (in forma del tutto anonima); va alla grande anche il blog Confession of a Cryokid (un bambino nato grazie a Cryos, la banca del seme danese), avviato da Lindsay Greenawalt, concepita nel 1984 a Cleveland grazie al donatore n˚ 2035. Lindsay vuole essere l’esempio della ricerca del padre genetico e chiede ai frequentatori del suo blog di commentare le notizie in materia. Come l’ultima, di qualche giorno fa, quando un uomo ha confessato alla moglie nel corso della trasmissione televisiva Style Exposed: Sperm Donor di aver 75 figli sparsi per l’America (il record, detenuto da un altro americano, è di 150, possibile perché negli Stati Uniti non c’è limite al numero di inseminazioni del donatore, diversamente a quanto accade in Europa). Padre genetico che di là dall’Atlantico resta per legge top secret, mentre altri Paesi europei (e non) hanno concesso ai figli dell’inseminazione artificiale di conoscere l’identità del donatore al compimento dei 18 anni, senza che questa rivelazione implichi doveri di paternità, giuridici e economici.
La prima a scendere in campo contro l’anonimato fu la Svezia nel 1985; scelta analoga hanno fatto la Svizzera nel 2001, dove il nome del donatore viene conservato per 80 anni presso il ministero della Sanità di Berna in busta sigillata, l’Olanda nel 2004, poi la nuova Zelanda, l’Australia, la Gran Bretagna nel 2005. L’anonimato resta valido in Francia (anche se si discute da tempo sulla sua legittimità), in Belgio, in Spagna. In Italia il problema non si pone perché è vietata la fecondazione eterologa; ciononostante, un po’ paradossalmente, il Comitato nazionale per la Bioetica sta lavorando ad un documento sull’anonimato del donatore (forse tenendo conto di quante coppie vanno a farla all’estero!). Abbattere il «muro» che impediva di sapere, ha portato inevitabilmente ad un crollo delle donazioni: in Svizzera c’è una tale scarsità di seme che le cliniche per l’infertilità non riescono a far fronte alle richieste (e il limite di otto figli per donatore che vige in territorio elvetico non facilita il compito), in Inghilterra, dove nel 2006 un’inchiesta della Bbc documentò una situazione vicina alla paralisi, solo adesso si registra una controtendenza. Alla London Sperm Bank, la più importante del suolo inglese, i donatori stanno aumentando, non perché sia cresciuta la loro parcella, ma perché si è costruito un profilo personale del donatore, cercando di capire meglio le sue motivazioni e valorizzandole anche «nel catalogo», al di là del denaro. Allora capita che il ricco banchiere della City, felicemente sposato con prole, ritenga suo dovere fare qualcosa di altruistico in un’esistenza privilegiata e che il soldato in partenza per l’Afghanistan desideri lasciare una traccia di sé (la legge inglese ammette un limite massimo di 10 figli). «È forse il segno— commenta la sociologa Marina Mengarelli, che da anni si occupa degli aspetti socioculturali dell’infertilità — che ci si sta avviando verso l’accettazione di una genitorialità più ampia dove si riconosce dignità anche al donatore di seme».
La motivazione in certi casi diventa, però, ambigua, morbosa: la rivista Newsweek ha appena riportato la storia dell’americano Trent Arsenault, 36 anni che ha donato il suo seme a 50 donne, generando 10 figli. Ancora «vergine» si dichiara un donorsexual, un uomo la cui vita sessuale si esprime soltanto nella donazione. Mentre insieme a questi fenomeni limite, cresce una nuova frontiera: quella dello scambio di seme al di fuori di qualsiasi transazione economica e vincolo. In gennaio Beth e Nicole Gardner hanno lanciato il portale Free Sperm Donor Registry (il registro gratuito dei donatori di sperma) dove la donazione è soltanto un atto di generosità; sei mesi dopo i donatori sono già 400, i figli in gestazione una dozzina, gli iscritti più di 2000. Un registro che oltre a mandare in soffitta medici e denaro, non ammette più limiti all’anonimato, neanche quello dei diciotto anni. Sembra dare ragione a questa visione radicalizzata (che può anche esporre a qualche rischio sanitario) uno studio appena pubblicato dalla rivista Human Reproduction, realizzato da Diane Beeson, sociologa dell’università della California. Ad oltre 700 figli dell’inseminazione artificiale ormai adulti — dai 18 anni in su—iscritti al Donor Sibling Registry è stata rivolta mediante un questionario una serie di domande sul loro vissuto nei confronti del padre genetico. Nell’80 per cento dei casi viene espresso il desiderio di conoscere l’identità del donatore e di incontrarlo, ad esempio per vedere se c’è una somiglianza. «Non mi meraviglia — commenta Chiara Lalli, filosofa e bioeticista, autrice di Libertà procreativa, edito da Liguori—; è una curiosità legittima, non c’è niente di peggio che avere a che fare con i fantasmi. In una visione più serena, i figli dei donatori di seme dovrebbero avere lo stesso diritto a sapere di quelli adottivi».
Franca Porciani
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