Repubblica - 28 settembre 2010
Un'indagine della Società europea di riproduzione umana e embriologia ha fatto l'identikit delle persone che "migrano" per inseguire il sogno di avere un figlio: sposate, 37 anni in media, eterosessuali. Alla Francia il record degli omosessuali, agli inglesi quello dei più "vecchi", l'Italia al top per gli sposati e l'Olanda per i rimborsi. I più si spostano ritenendo "ostili" le leggi del proprio Paese
ROMA - Le chiamano "crossing border" perché per cercare di avere un figlio vanno all'estero. Hanno problemi di fertilità, legati a fattori fisiologici o di età; per ragioni giuridiche o di qualità dell'assistenza ritengono che per raggiungere la gravidanza il luogo ottimale non sia il proprio paese; hanno in media 37 anni, sono sposate ed eterosessuali. E' il ritratto delle persone che, all'interno di 20-25mila coppie con problemi riproduttivi, emigrano ogni anno oltre confine inseguendo il sogno di un figlio. Tra queste, una su tre è italiana (31,8%); un record, se si considera che la Germania è seconda in classifica con il 14,4%, seguita da Olanda con il 12,1% e Francia (8,7%). Ad analizzare i flussi e le ragioni del turismo riproduttivo in Europa è la Società europea di riproduzione umana e embriologia (Eshre) che, con uno studio pubblicato su Human Reproduction 2, ha dimostrato che il fenomeno è ben radicato e che sono soprattutto "leggi ostili" a spingere gli aspiranti genitori fuori dai confini nazionali. "Per questo - dicono i ricercatori - sarebbe opportuno pensare a una legislazione uniforme a livello europeo".
Le mete preferite. L'indagine Eshre ha preso in considerazione 1.230 persone che hanno intrapreso un percorso di procreazione medicalmente assistita (Pma) fuori dai confini nazionali. Tutte hanno scelto un centro specializzato tra i 44 selezionati dallo studio in Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Slovenia, Spagna e Svizzera, ossia i maggiori Paesi "d'accoglienza". Le strutture prese in esame, infatti, insieme rappresentano circa il 50% di quelle che ricevono coppie straniere. I dati raccolti dimostrano che di solito ci si sposta verso il Paese più vicino: gli italiani preferiscono la Svizzera (51,4%) e la Spagna (31,7%), i tedeschi la Repubblica Ceca, gli olandesi e i francesi il Belgio, i norvegesi la Danimarca, mentre gli inglesi si spostano in prevalenza verso la Spagna e la Repubblica Ceca. Nel complesso delle "migrazioni" europee, il Paese più amato dalle "crossing border" è il Belgio che in media viene scelto tre volte su dieci. In particolare, nel 96% dei casi dagli olandesi, nell'85% dai francesi e nel 54,3% dei casi che riguardano coppie non europee.
I trattamenti richiesti. Nel caso dell'Italia, lo studio rivela un po' a sorpresa che si va all'estero non tanto per trattamenti specifici vietati nel nostro Paese, come la diagnosi preimpianto o la fecondazione eterologa (donazione di seme, ovociti o embrioni), richiesti solo nel 40% dei casi; ma anche per sottoporsi a trattamenti leciti in Italia, ma che si crede siano più efficaci in Paesi dove, in presenza di leggi più liberali, si spera di trovare strutture qualitativamente migliori e più "esperte". Come gli italiani, anche i tedeschi (90%) e gli inglesi (90,6%) vanno altrove per tecniche di riproduzione assistita quali Fivet, Icsi, secondo livello. I francesi (43%) e gli svedesi (43,4%) invece richiedono in prevalenza la donazione del seme e questo dato, più che con maggiori problemi di fertilità dell'uomo, si spiega con l'alta percentuale di single (donne) che si sottopongono al trattamento. Le donne più in difficoltà invece sono le inglesi, che sei volte su dieci si spostano per la donazione di ovociti.
"Perché ti sposti?". La maggior parte dei cittadini italiani (70,6%), tedeschi (80,2%), francesi (64,5%) e norvegesi (71,6%) ha risposto alla domanda dando la colpa alle leggi vigenti nel proprio paese. Le difficoltà di accesso alle terapie invece penalizzano gli inglesi (34%) che viaggiano però soprattutto perché hanno un trattamento fallito alle spalle (37,7%). Cercano all'estero la qualità delle terapie gli olandesi (53%), gli italiani (46,3%) e i tedeschi (32,8%). Quanto alle spese, raramente il proprio stato dà un mano: in media solo il 3,8% riceve un rimborso totale dal sistema sanitario nazionale e il 13,4% uno parziale. I più tutelati sono gli olandesi che nella maggior parte ottengono dallo Stato un rimborso totale (22,1%) o parziale (44,4%).
L'identikit delle aspiranti madri. Le "crossing border" italiane in media hanno tra i 35 e i 39 anni (40,5%), sono sposate (82%) e nel 55% dei casi hanno scelto di sottoporsi alla Pma all'estero d'intesa con il proprio medico specialista. La percentuali delle over 45 si ferma al 7,5% dei casi, mentre è più significativo il dato delle under 35, che arriva al 27,3 %. I dati confermano da un lato che l'età della maternità si sposta sempre più in avanti e dall'altro che molte donne hanno problemi di fertilità malgrado la "giovane" età riproduttiva. L'età media rilevata dallo studio fra tutte le nazionalità del campione è di 37,3 anni. Le aspiranti madri più attempate sono le inglesi, che in 3 casi su 10 si sottopongono a trattamenti di Pma a più di 45 anni, e le tedesche (10,8%).
Orientamento sessuale e stato civile. Le coppie italiane della ricerca sono sposate nell'82% dei casi (il tasso più alto, contro una media del 69,9%); nel 17,2% si tratta di coppie conviventi, nell'0,8% si tratta di single. Sul dato degli aspiranti genitori omosessuali/bisessuali si misura tutta la differenza culturale tra il nostro ed altri Paesi: si va dall'1,5% italiano al 39,2% della Francia ed al 32,7% svedese. In Svezia, oltretutto, questa percentuale fa il paio con quella dei single che rappresentano il 43,4% del totale di quanti ricorrono alla Pma all'estero. In pratica, sui 53 casi svedesi contemplati nella ricerca, oltre 21 riguardano donne single che hanno cercato la gravidanza ricorrendo alla donazione del seme.
Come si sceglie la meta. Nel complesso del campione, i canali di scelta privilegiati a pari merito sono il proprio specialista e internet (41,1%). Se sul dato del web incide decisamente la linea seguita dagli svedesi (internet per il 73,6%), in quello sui medici è determinante (55,2%) il comportamento degli italiani, a riprova del fatto che nel nostro Paese la classe medica, chiamata a dividersi tra i limiti della legge e le esigenze del paziente, finisce comunque per svolgere un ruolo "positivo" - e magari "ufficioso" - di mediazione, almeno nella fase di indirizzo, che precede il trattamento. In generale, in un caso su quattro la scelta della meta straniera per la Pma avviene su consiglio di amici e molto raramente su indicazione di associazioni di persone con esperienze simili alle spalle.
Adele Sarno
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