Repubblica — 25 maggio 2010 pagina 3 sezione: TORINO
Il caso della mamma-nonna di Torino (ma la donna arriva in realtà da un piccolo centro del Piemonte) diventa spinoso. Non tanto per l' ospedale Sant' Anna, dove la donna - 57 anni compiuti e un marito settantenne - è seguita già da alcuni mesi nel reparto della professoressa Tullia Todros, quanto per chi dovrà occuparsene in seguito: i servizi sociali e gli psicologi del territorio d' origine. Se dal punto di vista fisico, infatti, la gravidanza della donna non ha comportato difficoltà particolari, dall' altro il caso è osservato con estrema attenzione e potrebbe finire sul tavolo del Tribunale per i Minori. La coppia potrà accettare oppure no di seguire un percorso di sostegno psicologico, ma in caso contrario i servizi del Comune di residenza potrebbero segnalare questo rifiuto al Tribunale. Esistono o meno le condizioni affinché l' interesse del bambino sia pienamente tutelato, come prevede la legge? O il fatto di ritenere del tutto «normale» far nascere un figlio quando si ha abbondantemente raggiunto l' età di diventare nonni rappresenta di per sé un rischio per il minore? Il dibattito, non nuovo in Italia anche da quando la legge ha stabilito limiti assai restrittivi per la fecondazione assistita, torna a riaccendersi. E se la storia della coppia - lui pensionato, lei impiegata - non dovesse concludersi col lieto fine, richiedendo l' intervento dei servizi sociali, si tratterebbe con ogni probabilità del primo caso italiano nel quale un bambino nato grazie a una fecondazione assistita viene sottratto alla donna che lo ha portato in grembo per nove mesi. La legge, infatti, non fa distinzioni - né potrebbe farle - tra i figli concepiti «naturalmente», oppure con l' intervento anche accanita dei medici. Le statistiche internazionali fissano in cinquesei tentativi la soglia oltre la quale la fecondazione assistita deve fermarsi, ma la letteratura medica è ricca di casi che si spingono molto al di là. Non ci sono limiti al «diritto» degli adulti di desiderare e cercare la maternità o la paternità. E l' eventuale violazione delle norme italiane coinvolge solo i medici, nel caso in cui sia provato la loro partecipazione a cure procurate all' estero. Un paradosso, specie se si pensa alle lunghe trafile necessarie alle coppie per altro ben più giovani che chiedono di essere dichiarate idonee all' adozione e alla facilità - almeno fino a oggi - di diventare invece madri grazie all' ovodonazione praticata all' estero. E se i ginecologi preferiscono non azzardare previsioni sul futuro di questo bambino, la palla passa ad altri professionisti, appunto gli assistenti sociali e gli psicologi. In ospedale intanto uno stretto «cordone sanitario» si è chiuso intorno alla paziente per consentirle di arrivare fino al momento del parto senza essere disturbata. «Non mi pronuncio sul caso, certo non condanno questa signora - ha detto la professoressa Todros - adesso quello che conta è portare a termine questa gravidanza nel migliore dei modi e ci sono tutti i presupposti perché questo possa avvenire». L' interessata, poi, non ha voluto dichiarare nulla ai medici che la seguono sull' origine della sua gravidanza, né è in alcun modo tenuta a farlo. Quel che è certo è che l' età media delle donne che partoriscono continua a crescere, ponendo all' ospedale problemi nuovi: non solo fisici (pressione alta e gestosi sono più frequenti nella mamme «attempate») ma anche e soprattutto psicologici, perché l' industria della fecondazione assistita non sempre segue adeguatamente questo aspetto. Nel solo 2008, al Sant' Anna hanno partorito 27 donne di più di 45 anni di età, mentre sono state ben 644 le mamme ultraquarantenni. Ma il caso della nonna-mamma resta un record.
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