Repubblica - 7 aprile 2010
Le associazioni gridano vittoria e preparano i primi ricorsi giudiziari. Il primo sarà presentato a Bologna il 15 aprile, seguiranno Firenze, Roma, Catania e Milano. È l'effetto della sentenza della Corte di Strasburgo: "Il divieto della fecondazione eterologa contrasta con la convenzione europea dei diritti dell'uomo".
Una valanga di ricorsi giudiziari sono pronti a partire entro una settimana. Il primo sarà presentato a Bologna il 15 aprile, seguiranno Firenze, Roma, Catania e Milano. E una seconda tornata partirà a maggio. È l'effetto in Italia della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che stabilisce che la fecondazione eterologa non si può impedire. Perché proibire il ricorso alla donazione di ovuli e sperma per la fertilizzazione in vitro è una violazione dell'articolo 8 della convenzione europea per i diritti dell'uomo.
È un colpo duro quello che il pronunciamento della Corte di Strasburgo infligge alla Legge 40 sulla "Procreazione medicalmente assistita" perché la sentenza entra in contrasto con le disposizioni contenute nell’articolo 4 della norma che stabilisce: “È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”. Oggi nel nostro Paese non si può diventare genitori con l' ausilio del seme di un donatore o dell'ovocita di una donatrice.
“Siamo di fronte a una sentenza rivoluzionaria per tutte le coppie italiane”, annuncia Antonino Guglielmino, direttore dell'Unità di Medicina della riproduzione del centro Hera di Catania. "I giudici di Strasburgo infatti, lo scorso primo aprile, hanno condannato le autorità austriache perché la legge nazionale che regola la procreazione assistita non consente di ricorrere all'eterologa". E hanno stabilito che gli Stati non sono obbligati a legiferare in materia di Pma ma, se lo fanno, tale legge deve essere coerente e prendere in considerazione gli interessi di tutti, anche di quelli che per concepire hanno bisogno della donazione.
“Per questo - aggiunge Guglielmino - siamo pronti ad avviare una campagna di ricorsi giudiziari. La stessa strada che abbiamo percorso per cambiare la legge 40 sulla fecondazione assistita nelle parti che vietavano la diagnosi genetica di preimpianto e obbligavano all'impianto contemporaneo di tre embrioni a prescindere dalle condizioni cliniche del singolo caso". Ma se anche in questo caso, così come è avvenuto nell'aprile del 2009, i giudici ritenessero incostituzionale la norma, la legge sulla procreazione medicalmente assistita sarebbe, di fatto, cancellata.
Questo potrebbe anche incidere sul fine del ‘turismo della provetta’. E potrebbe riportare in Italia la possibilità di curare anche le coppie infertili. Basti pensare che in cinque anni di divieti, continua Guglielmino, la legge 40 ha costretto quasi 50mila coppie ad emigrare per un figlio e a pagare 8mila euro per andare in Spagna, 5-6 mila per andare a provare in Grecia, fino a 20 per andare in Russia e 5 per andare in Ucraina.
"Ci rivolgeremo ai Tribunali civili di ogni città, nella sezione famiglia” annuncia l’avvocato Maria Paola Costantini del collegio di difesa dei pazienti dell'associazione Hera di Catania. “E chiederemo ai giudici di concedere alle coppie con problemi di salute la possibilità di donare ovuli e sperma per la fertilizzazione in vitro. E lo faremo appellandoci alla sentenza della Corte di Strasburgo”.
La pronuncia del primo aprile infatti parla chiaro: per le due coppie austriache, che si sono rivolte alla Corte nel 2000, la fecondazione in vitro con donazione di sperma o ovuli era l'unica soluzione per poter procreare. E le autorità austriache hanno violato il loro diritto al rispetto della vita familiare e quello a non essere discriminati. E i giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo hanno dato loro ragione stabilendo tra l'altro che gli Stati non sono obbligati a legiferare in materia di procreazione assistita ma se lo fanno tale legge deve essere coerente e prendere in considerazione i differenti interessi legittimi.
Adele Sarno
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