Una campagna di ricorsi per introdurre la fecondazione eterologa in Italia. "Ci prepariamo, insieme Cittadinanza Attiva Toscana, ad aprire un'altra fondamentale battaglia di civilta' per cancellare il divieto sulla donazione di gameti". Lo annuncia in una nota Francesco Gerardi, presidente dell'associazione Hera di Catania, dopo la sentenza del 1 aprile della Corte di Strasburgo, secondo la quale le legislazioni nazionali che vietano la fecondazione eterologa, con la donazione di ovuli e sperma, violano l'articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo.
"Siamo pronti- dice Gerardi - ad avviare una campagna di ricorsi giudiziari, la stessa strada che abbiamo percorso per cambiare la legge 40 sulla fecondazione assistita nelle parti che vietavano la diagnosi genetica di preimpianto e obbligavano all'impianto contemporaneo di tre embrioni a prescindere dalle condizioni cliniche del singolo caso". Il pronunciamento della Corte di Strasburgo - prosegue la nota - sanziona la legge austriaca sulla Procreazione medicalmente assistita, che non consente la fecondazione eterologa.
Una situazione identica a quella della legislazione italiana, dove l'articolo 4 della legge 40 del 2004 vieta in modo assoluto e senza spazi d'interpretazione la possibilita' per le coppie di poter ricevere la donazione di un gamete.
"Una norma, quella contenuta nella legge 40 - evidenzia Antonino Guglielmino, direttore dell'Unita' di Medicina della riproduzione del centro Hera di Catania - che penalizza in maniera gravissima tante coppie che vengono discriminate rispetto all'accesso a pratiche mediche esistenti ed efficaci per risolvere un loro problema riproduttivo. E' ad esempio il caso in cui la donna e' in menopausa precoce, oppure uno dei due componenti la coppia e' sterile a causa di un tumore o di una malattia genetica".
"La sentenza della Corte di Strasburgo - afferma l'avvocato Maria Paola Costantini del collegio di difesa dei pazienti dell'associazione Hera di Catania - e' rilevante perche' invita gli Stati europei ad adottare legislazioni non discriminatorie e a riconoscere il diritto alla vita familiare".
La Corte europea potrebbe cosi' aprire una serie di speranze e di possibilita' anche per i pazienti italiani. "Sulla base dell'art.117 della Costituzione italiana - commenta Marilisa D'Amico, ordinario di Diritto costituzionale all'universita' Statale di Milano e membro del collegio di difesa di Hera - i diritti e la giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo sono parte dell'ordinamento del nostro paese".
"Ora e' la volta del Parlamento di cambiare la legge 40 su questo punto, oppure saranno ancora una volta le coppie e le loro organizzazioni a inserire elementi di civilta' e di ragionevolezza nel nostro Paese. Cosi' come e' successo sempre per la legge 40 con ricorsi promossi dalle coppie che hanno portato la modifica dell'art.14 mediante l'intervento della Corte Costituzionale".
Aduc - 6 aprile 2010
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