Boom della procreazione assistita grazie alle nuove norme. I crescita il "social freesing": giovani donne congelano ovociti in attesa che maturino le condizioni giuste per diventare madri
Un balzo in avanti di cinque punti percentuali, il che significa un bambino in più ogni 6 che nascono con la fecondazione assistita. Il dato arriva dai risultati 2010/2011, sommati insieme, del centro per la procreazione assistita del Sant'Anna e del Livet, un centro privato convenzionato: "Queste cifre - spiega Alberto Revelli, docente del Dipartimento di ginecologia e ostetricia dell'Università di Torino e responsabile della procreazione assistita al Sant'Anna - mostrano ciò che noi medici abbiamo sempre sostenuto rispetto ad alcuni aspetti anti-scientifici della legge 40. Dopo che la Corte Costituzionale li ha in parte rimossi, nel 2009, i nostri risultati hanno ricominciato a salire, e nel 2010 e 2011 c'è stato un vero e proprio balzo rispetto al 2008-2009".
Ma quelle 200 gravidanze in più ottenute su 2448 cicli di fecondazione non sono l'unico risultato positivo delle sentenze (quella della Corte più i pronunciamenti di alcuni Tribunali). Le gravidanze trigemellari, quasi sempre frutto di una terapia di procreazione assistita, che nel 2008 erano arrivate a sfiorare il 4 per cento, ora sono ridiscese allo 0,3. Dal 2010, grazie alla possibilità di non reimpiantare tutti gli embrioni prodotti, i medici torinesi hanno scelto di trasferirne al massimo due. In questo modo, soltanto in tre casi si è avuta una gravidanza multipla, dovuta alla divisione spontanea di un embrione già nell'utero.
"Per noi - spiega Revelli - è un enorme sollievo non dovere sottoporre le pazienti ai rischi di una gravidanza multipla. E lo è certamente anche per loro, che prima, in alcuni casi, dovevano sottoporsi a un'embrioriduzione" (4 nel solo 2009, l'anno record nel quale, al Sant'Anna, ben 25 donne misero invece alla luce tre gemelli). Su un totale di 302 parti gemellari, nel 2011, quasi il 6 per cento riguardava mamme ultraquarantenni, quelle cioè che più frequentemente si rivolgono alla fecondazione assistita e scelgono di impiantare un più alto numero di embrioni perché non hanno molto tempo davanti a sé. Ogni donna che si rivolge al Sant'Anna, come a uno dei centri privati attivi a Torino, ha diritto a ricevere le cure più adatte al suo caso, sulla base delle scelte dei medici condivise da lei: secondo l'età e il "patrimonio ovarico" della paziente, si decide in modo personalizzato il tipo di stimolazione, si prelevano gli ovociti e si fecondano in una misura decisa di volta in volta dall'équipe medica, per poi ritrasferirne nell'utero non più di due (lo 'stato di salutè dei quali può essere conosciuto dagli aspiranti genitori, almeno a livello morfologico) e conservare eventualmente gli altri.
Nel 2011, 609 donne sono state sottoposte al prelievo di ovociti soltanto nell'ospedale pubblico: nel 2009, le pazienti erano state solo 499. Non è difficile quindi immaginare che, almeno in parte, il "turismo della provetta" che ogni anno porta centinaia di coppie torinesi soprattutto verso la Spagna si sia attenuato, e che molte pazienti decidano di fare almeno i primi tentativi nell'ospedale della loro città. Ogni coppia, almeno 400 all'anno, prima di iniziare la parte più impegnativa delle terapie si vede offrire un colloquio con la psicologa, Chiara Delia, nel quale si affrontano le motivazioni di ciascuno e si cerca di approfondire il livello di consapevolezza nell'affrontare le diverse possibilità, dal fallimento delle cure ai gemelli in arrivo.
"La procreazione assistita - spiega Sarah Randaccio, responsabile del servizio di psicologia dell'ospedale - non è una passeggiata per le pazienti. Nel servizio pubblico, cerchiamo di garantire che a nessuno venga negato un sostegno psicologico, che può andare anche al di là del primo colloquio quando se ne sente la necessità, ad esempio in caso di insuccessi ripetuti. Nel privato non sempre è così. E non è facile dare aiuto alle signore che si presentano a gravidanza già avanzata dopo aver fatto ricorso, per esempio, a un'ovodonazione all'estero, con domande mai affrontate prima che possono diventare molto importanti nel futuro di una maternità".
Sullo sfondo, ci sono nuove battaglie, come quella per rendere la fecondazione eterologa - cioè con gli spermatozoi e/o gli ovociti di persone diverse dalla coppia di aspiranti genitori - legale anche in Italia. E nuovi orizzonti, come il social freezing, la prassi di stimolare l'ovulazione nelle donne giovani, intorno ai trent'anni, per poi prelevare e congelare gli ovociti in attesa di diventare madri, magari dieci anni più tardi, una volta incontrato il partner giusto o il lavoro stabile. Le torinesi che hanno fatto questa scelta, tre delle quali sono medici, sono dodici, un'inezia se si pensa ai 7.600 bambini nati al Sant'Anna nel 2011. Ma anche un'avanguardia, tanto è vero che se nei centri privati la pratica del social freezing ha già un suo tariffario (mille euro circa per stimolazione e prelievo, 100 euro all'anno o poco più per la conservazione) nell'ospedale pubblico questa soluzione non è ancora possibile. "
Non c'è nulla di illegale, né particolari problemi etici - dice Revelli - semplicemente non si è ancora deciso a quale tipo di ticket far corrispondere questa scelta". Se ne parlerà la prossima settimana, il 16 e il 17 marzo al Museo dell'Automobile, in un grande convegno scientifico dedicato alle "mamme attempate": "La sindrome di Penelope: un figlio oltre i 40 anni". E una relazione sarà dedicata proprio al social freezing, mentre da Barcellona arriverà un medico esperto in ovodonazione.
VERA SCHIAVAZZI
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